I sentieri di Cimbricus / Arbitri? E' l'ora della rottamazione
Lunedì 6 Novembre 2023
Lo sport sta diventando molto esatto (?), noioso e soprattutto lunghissimo: una volta una partita di rugby durava un’ora e venti, ora sfora le due ore. Nel calcio i recuperi-fiume hanno spazzato via il concetto di novantesimo minuto.
Giorgio Cimbrico
Liquidiamo gli arbitri, sono superati, superflui. La febbre dell’esattezza a tutti i costi li ha resi inutili. E così non esponiamoli a brutte figure, a umiliazioni, ad attacchi imbecilli dagli imbecilli che fondano la loro realtà, la loro povera vita sui social. Un robot che assimila i dati, dotato ovviamente di intelligenza artificiale, ed è fatta.
Oggi è molto raro che un arbitro indichi il dischetto del rigore, che tiri fuori il cartellino rosso. L’apparato tecnico può smentirlo: meglio aspettare il check, come è di moda chiamare il controllo. L’esattezza è la parola d’ordine del nostro tempo finto, asettico, plastificato. Gli ordini vengono molto dall’alto. Dai padroni che non sono le grandi organizzazioni sportive.
Il rugby ha il TMO, il calcio il VAR, il tennis l’Occhio di Falco, e in questo caso non c’è molto da eccepire. Persino il basket che si gioca su un campo piccolo ed è governato da tre arbitri, ricorre all’intervento del video. Ripercorrere è la parola d’ordine, spesso usando velocità diverse che non rispecchiano la realtà vera, appena alle spalle. E’ su quella che sarebbe bene giudicare.
Cancellato il fascino del dubbio, dell’errore: la meta/non meta di Bobbie Deans, il gol/non gol di Geoff Hurst, la mano di Diego Armando Maradona, il nullo di un quarto di unghia quando Carl Lewis saltò 10 yards e, nella schema, certe zuffe che si scatenavano per una “botta “sospetta. Tutto questo era il sale, era il pepe, erano le preziose spezie delle Molucche dello sport.
In settimana sull’argomento è intervenuto Steve Hansen, allenatore (vincente) degli All Blacks: “Il TMO non è più quello delle origini”. Venticinque anni fa il TMO, “Television match officer”, venne salutato come un atto di magnifico coraggio del rugby: finalmente si poteva stabilire se era o non era meta. Nel ’99, test novembrino dell’Inghilterra a Twickenham, una meta di Dan Luger venne assegnata dopo che la ripetizione dell’azione andò sul maxi-schermo: la videro in 82.000 più quelli a casa.
Oggi il TMO – in realtà una trimurti con una quantità di video in grado di offrire rallentati e super-rallentati – decide su ogni aspetto, stabilisce se un giocatore deve essere allontanato per dieci minuti o per il resto della partita. Nel frattempo l’escalation non si è fermata: è stato istituito il bunker, una giuria che promuove un’istruttoria che in otto minuti decide se chi è già punito deve esserlo in forma definitiva. La squadra del bunker, anonima, non è nemmeno nello stadio: durante la Coppa del Mondo era stata sistemata a Roland Garros. Un piccolo dato: nei suoi primi 130 anni nel rugby c’erano state due espulsioni, nell’ultimo Mondiale, otto.
Non dissimile il percorso del VAR calcistico e dei suoi derivati: anche qui dal gol/non gol si è passati all’esame di altri aspetti: fuorigioco segnalati per una punta di ginocchio, per una treccina, per la punta di una scarpa.
Lo sport sta diventando molto esatto (?), noioso e soprattutto lunghissimo: una volta una partita di rugby durava un’ora e venti, più velocissimo riposo. Ora tocca e sfora le due ore. Nel calcio i recuperi-fiume hanno spazzato via il concetto di novantesimo minuto: quattro, cinque minuti la coda del primo, anche sette, otto quella del secondo. Per lo sport è scattato un requiem automatico, ma nessuno vuole accorgersene.
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