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I sentieri di Cimbricus / Il campione del mondo che visse due volte

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Domenica 22 Ottobre 2023

 
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“A 86 anni è uscito dalla nebbia che l'aveva avvolto negli ultimi anni. Il padre, Bob anche lui, faceva il minatore. Lavorava sottoterra il giorno in cui i figli divennero campioni del mondo: non se l’era sentita di chiedere un giorno di permesso.”

Giorgio Cimbrico

Se n’è andato Bobby Charlton: dieci giorni fa era stato il suo 86° compleanno. Chissà se l’aveva capito: tre anni fa Lady Norma aveva annunciato che Sir Bobby era sempre più lontano dalla realtà. La parola demenza fa male. Anche Jack, suo fratello, scomparso tre anni fa, era finito nella nebbia. “Per lui le parole non saranno mai abbastanza”, è stato il laconico, intenso messaggio del Manchester United che perde il giocatore sceso 758 volte un campo con quella maglia, che ha diretto per lunghi anni la “macchina” dell’Old Trafford e che ha avuto in sorte la South Stand che porta e porterà il suo nome.

E l’Inghilterra smarrisce un altro dei campioni del mondo del ’66: gli ultimi anni sono stati severi, spietati. Ora è toccato a Bobby, uno dei più grandi numeri 10 della storia. Un numero nobile.

Tutto cominciò con un miracolo: il 6 febbraio 1958, Bobby, vent’anni, era molto felice. La sera prima, a Belgrado, aveva segnato due gol nel 3-3 con la Stella Rossa. A Monaco di Baviera, dopo un primo tentativo di decollo, l’aereo si schiantò a fondo pista, nella neve. Morirono in 23, otto erano giocatori dello United, i Busby’s Babes e Matt, allenatore e creatore di quel gruppo, ne uscì gravemente ferito. Duncan Edwards, prodigioso talento, ebbe lesioni gravi e la sua agonia durò due settimane. Bobby se la cavò e un mese dopo era già in grado di scendere in campo in quella squadra ricostruita nel dolore. Non dimenticò quell’inferno, quello strazio.

Dieci anni dopo, nel ’68 della swinging London, per la prima volta una squadra inglese visse la Coppa dei Campioni: era lo United di Bobby che segnò due dei quattro gol con cui, a Wembley, venne liquidato il Benfica. Anche allora, come due anni prima, furono necessari i tempi supplementari. Diversi da quelli drammatici e ancor oggi ricchi di interrogativi del 30 luglio 1966: quelli dello United furono trionfali, senza nessun gol fantasma.

Bobby era in campo anche quel giorno, davanti a una quarantenne sovrana vestita in un giallo intenso. L’Inghilterra era una signora in rosso: era il suo colore, quello che portava sempre addosso. In più, c’erano tre leoni. In Nazionale, 106 caps e 49 gol: fondamentali i due che segnò al Portogallo di Eusebio in semifinale e che spedirono gli uomini di Alf Ramsey alla sfida con la Germania, ancora Ovest. Per lui, gioia doppia: bello diventare campioni del modo a fianco del fratello Jack, il “giraffone” che si sarebbe fatto amare dagli irlandesi.

Aveva capelli radi e fini e aveva l’abitudine di riportarli con cura, ma bastava uno scatto per farli volare via, per farli pendere come fili. E aveva il volto che uno si attende da un inglese proletario perché quella era l’origine: Ashington, Northumberland, Inghilterra del nordest, non lontana dal border scozzese. Il padre, Bob anche lui, faceva il minatore. Lavorava sottoterra il giorno in cui i figli divennero campioni del mondo: non se l’era sentita di chiedere un giorno di permesso.

A sedici anni Bobby era già fuori di casa: l’avevano preso allo United come apprendista e a quel tempo voleva dire campare con pochi scellini, pulire le scarpe di quelli della prima squadra, tenere in ordine gli spogliatoi, avere disciplina, sognare, un giorno o l’altro, di diventare un regular, uno che prendeva lo stipendio. Per lui quel giorno arrivò nel ‘57, a vent’anni, ma in prima squadra si era già affacciato qualche mese prima.

Da allora si sono srotolati i numeri dei suoi record: tre quarti di un migliaio di match per lo United (primato battuto da Ryan Giggs), 249 gol, tre titoli, una coppa d’Inghilterra. Bobby aveva vissuto una Premiership rustica, alla buona, le stagioni in cui gli “stranieri” erano irlandesi, nordirlandesi come quello strambo ragazzo di Belfast, George Best, scozzesi, gallesi, e nel lungo tempo che gli è stato concesso ha assistito a una trasformazione, a stipendi folli, a investimenti mostruosi, a interventi di affaristi di tutti i continenti. Chissà cosa ne pensava sino a che la mente è stata lucida.

 

 

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