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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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I sentieri di Cimbricus / Noah Lyles, il nostro N. 1 dell'anno

Lunedì 16 Ottobre 2023

 

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Un tentativo di anticipare il verdetto sull’Atleta dell’Anno con un’avvertenza: puntare su di lui assicura modesti guadagni. Capita quando vengono messe la mani su tre titoli mondiali e viene conquistata la vetta mondiale su 100, 200 e 4x100.

Giorgio Cimbrico

Noah Lyles  è un predestinato, membro di quella tribù dal nome breve, da titoli si diceva una volta: Owens, Hary, Hayes, Hines, Smith, Lewis, Surin, Dix, Blake, Gay, Bolt. Poche lettere, pronunciate in velocità. E’ un interessante tipo di prodotto genetico, nato da due buoni atleti che ne hanno generato uno del loro livello, Josephus, e uno formidabile, animato da forti ambizioni: più che forti, senza limiti.

Alto e pesante il giusto, 1,80x70, è dotato di una coordinazione che gli viene da un’infanzia di ginnasta e di una forza ascensionale (basta guardarlo prima che si chini sui blocchi) che gli ha permesso di improvvisare 2,03, oltre a qualche salto mortale dopo la linea del traguardo: per fortuna l’abitudine è stata abbandonata. Ma la caratteristica che Noah sa sublimare è l’aderenza: disegna curve perfette evitando perdite di assetto nel raccordo con il rettilineo. Da quel momento, miccia accesa nella fase lanciata. Molto veloce e molto bello. 

Dicono sia uno spaccone, uno smargiasso, che parli troppo. Il mondo è diventato troppo educato e molto ipocrita. Noah non recita nessuna parte: è arrivato molto lontano partendo dalla corsia peggiore, quella della miseria. Il padre Kevin, 45”01 nel ’95, due anni prima che Noah nascesse, a un certo punto sparisce e lascia Keisha (quartermiler da 52”48) con i piccoli: l’altro è Josephus, 10”03, 19”93, 45”09.

A Gainesville, Florida, non se la passano bene. Keisha vende cosmetici porta a porta, abitano dove capita, fanno la fame. Noah ama sua madre, la porta con sé. Non ha dimenticato nulla di quegli anni difficili. A 17 anni vince l’Olimpiade giovanile e a 19 il Mondiale under 20 battendo, nei 100, Filippo Tortu. E’ l’anno dell’accelerata nella distanza che inizia ad amare: 20”09.

Il tempo è passato: Noah è riuscito a digerire la sconfitta di Tokyo (terzo dietro il miglior Andre de Grasse di sempre, 19”62, e a Kenny Bednarek) e l’anno scorso ha dato vita all’annata perfetta. 12 vittorie su 12 gare nei 200. Tempo peggiore, 19”99. Neppure Usain Bolt era riuscito a tanto. Il gioiello della corona è il 19”31 della finale di Eugene: record americano strappato per un centesimo al Michael Johnson che frantumò il record mondiale ad Atlanta. Solo Bolt, 19”19, e Yohan Blake, 19”26 in una sue rare apparizioni sulla distanza, hanno fatto meglio.

E così Noah si è messo in testa che il record è possibile e lo ha fatto anche scrivere dall’Adidas sulle scarpe: 19”10. Nel frattempo ricorda i suoi inizi da sprinter puro e comincia a pensare che un doppio assalto sia possibile. Pensa bene: ai Trials perde di due centesimi da Christian Coleman che centra il primo dei suoi due 9”83, il tempo che servirà a Noah per la prima corona. Nel frattempo, a Londra, è la lepre non raggiunta dai due levrieri: lui 19”47 (finirà per essere il suo miglior tempo dell’anno), Letsile Tebogo 19”50, Zharnel Hughes 19”73. Il record europeo di Pietro Mennea è salvo per un centesimo e può tagliare il traguardo del 44° anno di durata.

A Budapest finisce il lavoro con 19”52 (è il suo terzo titolo sui 200) e con la staffetta, riproponendo un vecchio scontro con Pippo Tortu. Anche questa volta un metro o poco più li divide.

 

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