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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Faccende importanti con quattro salti

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Lunedì 18 Settembre 2023

 

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Atletica da brivido caldo, da lacrime di gioia per il suiveur che è anche un po’ voyeur. Eugene è stata un negozio belga di praline: quale mangio subito? Quale porto a casa per gustarle e rigustarle sino in fondo? Mentre il giorno si fa storia.

Giorgio Cimbrico

Gudaf Tsegay è la tigrina con il piede leggero (sarebbe piaciuta a Karen Blixen) andata vicinissima (21 centesimi di troppo) all’abbattimento della barriera dei 14 minuti che poco più di 80 anni fa venne superata, in piena guerra dal neutrale Gunder Hagg. Ipotesi eretica: se per la cavalcata londinese di vent’anni fa Paula Radcliffe ebbe il sostegno di maratoneti di discreto valore, perché non pensare che Faith Kipyegon e Gudaf possano correre in 3’45” e 13’50” sostenuti dal ritmo giusto di colleghi adatti?

L’una e l’altra hanno impartito lezioni sull’arte della corsa: Faith, 3’50”72 ballando da sola per metà gara in un crescendo che ha finito per accendere chi la seguiva da lontano: l’etiope Welteji, la scozzese Muir, l’altra etiope Hailu e l’australiana Hall, scesa sotto i 3’57”, record dell’Oceania. La piccola-grande donna non ha finito la sua stagione perfetta, i mesi del triplo record mondiale 1500/Miglio/5000 (ora perduto dopo cento giorni) e della doppietta 1500/5000 a Budapest. Il 1° ottobre sarà a Riga per il titolo mondiale del miglio su strada; quanto a Gudaf, ha passato i 3000 in un tempo, 8’26”, che smuove l’invidia di molte rassegnate a vedere allontanarsi i suoi talloni.

In un meeting intitolato a Steve Prefontaine e con una distanza che porta l’etichetta di Bowerman Mile in onore di un vecchio guru abile imprenditore, il mezzofondo ha espresso le sue armonie, come l’organo uscito dalla fervida immaginazione di Marcel Hansenne

Jakob Ingebrigtsen torna nella natia Sandnes per sposarsi, portando in dote due Diamanti e una collezione sempre più vasta di record continentali, preludio ad assalti totali nel futuro molto vicino. Alla vigilia del 23° compleanno Jakob è primatista dei 1500, del Miglio, dei 2000, dei 3000 e delle Due miglia e lo è stato dei 5000 prima che il limite gli fosse strappato dallo spagnolo Mohamed Katir. Le prestazioni sulle due distanze meno frequentate sono anche record mondiali.

Allenato dal fratello Henrik (ancora capace di correre i 3000 in 7’34”) ha migliorato uno dei record più vecchi: al Bislett, nel 1985, il calligrafico Steve Cram aveva sostituito nella cronologia Sebastian Coe, non ancora lord. Ingebrigtsen, in realtà, ha fatto molto di più: in una metronomica successione di giri (a larghi palmi, 56”0, 56”0, 56”0 e 55”0) ha avvicinato il record del mondo di Hicham el Guerrouj, ormai vicino alle nozze d’argento, mancandolo di sei decimi (3’43”73 contro 3’43”13 del magnifico marocchino) e, dopo un passaggio in 3’28”9, ha trascinato Jared Nuguse, americano di radici etiopi, al record USA: era 3’46”91 di Alan Webb, ora è 3’43”97.

E’ curioso che i primi quattro (el Gueroruj, Ngeny, Jakob e Jared) siano sbocciati da due gare, entrambe memorabili. Anche in questo caso, chi stava davanti ha fatto accendere le polveri di chi correva dietro: 3’47”65 di George Mills, terzo britannico di sempre, 3’47”69 di Mario Garcia, record spagnolo, 3’48”06 di Reynold Cheruiyot, record mondiale U-20.

Il fine settimana di Eugene ha dato una scossa al mezzofondo: Beatrice Chebet, 14’05”92, è diventata la terza di sempre; Athing Mu e Keely Hodgkinson hanno portato i record nazionali a 1’54”97 e 1’55”19 e trovato posto tra le prime dieci di sempre, una compagnia piuttosto datata; Winfred Yawi, kenyana che ha scelto il Bahrain, è diventata la seconda All time nelle siepi scavalcando una compatriota (Ruth Jebet) che aveva fatto lo stesso salto incorrendo in una positività; Ingebrigtsen e Yomif Kejelcha, dopo appassionante spalla e spalla (7’23”63 a 7’23”64 per il norvegese), sono ora alle spalle di Daniel Komen e del suo terribile record reatino e di el Guerrouj, e Grant Fisher si è sistemato nelle zone alte con un record americano portato a 7’25”47; Marco Arop, altro prodigio di radice sudanese, ha ceduto per cinque centesimi (1’42”80 a 1’42”85) al giovane Emmanuel Wanyonyi centrando un importante record canadese.

Armand Duplantis (foto WA) aveva chiuso i Mondiali di Eugene scavalcando 6.21. Ora, stessa pedana, 6.23, il settimo record mondiale del giovanotto che non desta invidia tra colleghi pronti a portarlo in trionfo. Per chi ama le cifre, è la 74ª ascensione, tra quote vincenti e prestazioni “ancelle”, da 6 metri o più. Sergei Bubka ne mise in fila 46. “So che il limite è molto in alto ma io spero di poter continuare a saltare bene e di andare più su di oggi”. Messaggio semplice e chiaro. I 6.30 non sono lontani per chi fa tutto a una velocità impensabile per gli altri e sa sbrigare faccende importanti con quattro salti.

Sprint: il formidabile ordine d’arrivo dei 100 (Christian Coleman 9”83, Noah Lyles 9”85, Ferdinand Omanyala 9”85, il nuovo gigante giamaicano Kishane Thompspn 9”87) ha preceduto la resurrezione di Andre de Grasse, 19”76: chi aveva predetto il canto del cingo del canadese ha assunto l’aspetto di una Pizia dagli annunci fallaci.

Shericka Jackson ha messo le mani su due diamanti: ha messo in fila le altre sui 100 (10”70, su Marie Josèe Ta Lou 10”75, su una ritrovata Elaine Thompson, 10”79, e su Sha’Carry Richardson frenata dal cespuglio che si era fatta montare sul capo) e ha avuto l’onore di chiudere lo spettacolo: poteva essere un momento terremotante, l’abbattimento del 21”34 di Florence Griffith. Non è stato così: dopo una curva perfetta Shericka si è irrigidita in rettilineo. Il responso, 21”57, rafforza la sua posizione di leader storica: cinque delle migliori otto prestazioni di sempre sono cosa sua.

Tuffare le mani nel forziere di Eugene significa imbattersi in un doppio 2.03 (di Yaroslava Mahuchih e della simpatica Nicola Olyslagers già McDermott), in un peso in cui mortai (Joe Kovacs e Tom Walsh) e cannoni a lunga gittata (Ryan Crouser e Leonardo Fabbri) hanno tuonato riportando al successo il “piccolo” Joe (22.93) andato a piegare, per due centimetri, Ryan che giocava in casa. Tom, 22.69, e Leo, 22.31 (seconda misura di sempre del fiorentino) non hanno recitato da comparse.

In fondo a un’annata dura e dolce Femke Bol è scesa ancora sotto i 52”, Karsten Warholm ha dovuto incassare sconfitta (46”39 a 46”53) da uno scatenato Rai Benjamin (se Eugene porta bene a Duplantis, porta malissimo al norvegese e Hanley Parchment, altissimo e coordinatissimo, è andato sotto i 13” giustiziando ancora una volta Grant Holloway. Sui 60 Grant è imbattibile e imbattuto, sui virtuali 90 anche, ma 110 sembrano troppo lunghi.

Tutto questo è stato offerto ad Hayward Field e a un pubblico non troppo numeroso. Eugene è perfetta e lontana.

 

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