I sentieri di Cimbricus / Nuove storie di isole e di isolani
Mercoledì 23 Agosto 2023
Quattro metri di inatteso progresso per razzolare il titolo del disco. Laulauga Tausaga, tatuata e massiccia come un pilone, sapeva che ce l’avrebbe fatta: “So che qualcuno mi ha aiutato, penso siano stati i miei antenati”.
Giorgio Cimbrico
Ogni uomo è un’isola, diceva John Donne in uno di quei versi diventati imperituri per esser finiti nella pagina che precede l’inizio della vicenda di “Per chi suona la campana”. Anche l’atletica è molto isolana. In queste ore, al solito Caribe si sono aggiunte le Hawaii, dove è nata Laulauga Tausaga che per aspetto, nome e tatuaggi non è rischioso indicare di radice samoana. Lau ha realizzato il miracolo che tutti gli atleti sognano: mandare all’aria un pronostico, spingersi al di là delle proprie fantasie, più o meno come fece Billy Mills a Tokyo ‘64.
Aveva 65 metri e mezzo di record personale, ha lanciato a quasi 70, 69.49, e ha fregato Valarie Allman che alle brucianti sconfitte comincia a fare l’abitudine: un anno fa, a Eugene, battuta dall’occhialuta cinese Bing Fen che si migliorò di tre metri. Sarà un caso – anzi, due – ma Valarie è una che invita le altre a superarsi. Un’aura magica alla rovescia.
Tausaga, 25 anni e massiccia come un pilone, era alla terza finale mondiale: dodicesima e dodicesima. “Mi sono detta che dovevo far meglio e da qualcuno devo aver l’aiuto. Penso siano stati i miei antenati”.
Ancora isole: la più nobile e ricca di glorie, la Giamaica. Purtroppo non esiste più lo spazio per quegli incontri delle nazionali che tanti appassionavano noi europei ma che avevano il loro spazio anche al di là dell’oceano, specie a livello universitario. Oggi la Giamaica, coltivata come terra di sprinter, sarebbe in grado di affrontare e battere un bel numero di paesi se il programma del match escludesse il mezzofondo.
Qualche nome da annotare: Jaydon Hibbert, 19 anni da compiere, che non si fosse infortunato aveva tutte le chances per andare sul podio o vincere il triplo; Wayne Pinnock che giusto qualche ora fa ha offerto una nitida, perfetta esecuzione che l’ha portato a prendere sabbia a 8.54 (nella finale altri due gialloni, Gayle, già campione a Doha, e McLeod); Roshwan Clarke, due record mondiali under 20 nei 400H con mezzo secondo di progresso (da 47”85 a Kingston a 47”34 a Budapest) tra l’uno e l’altro; Antonio Watson 44”13, terzo giamaicano di sempre alla pari con Naton Allen dopo un miglioramento secco di quattro decimi e miglior tempo di ingresso in finale. Watson è nato in un giorno fatale, l’11 settembre 2001.
Nomi nuovi: Ackera Nugent, 21, 12”43 nei 100H, Ryiehm Forde, 22, 9”95, finalista nei 100. Nome quasi nuovo: Oblique Seville, 22, quarto a Eugene, quarto a Budapest, re della costanza: nei tre turni 9”96, 9”90, 9”88. Ne riparleremo.
Nel “dodici” del disco c’erano due giamaicani, Fredrik Dacres, quinto, e Trave Smikle, undicesimo, e tra quelli del peso, uno, Rajindra Campbell, finito senza misura ma capace di spedire la palla a 22.22 al meeting di Madrid.
Domandina finale: perché non c’è più nessun giamaicano o giamaicana – a parte Shelly Ann Fraser – che abbia un nome normale come John, Peter, Mary, Grace?
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