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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Una sfida all'ultimo pixel

Venerdì 11 Agosto 2023

 

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Ormai la sport è ritagliato sui gusti e le tendenze del solo pubblico televisivo e se ne fa sempre più arrendevole e prono, interpretandoli su ogni possibile tecnologia, dal tascabile al gigantesco. Lo spettacolo ha le sue regole, ...

Giorgio Cimbrico

TMO, VAR, Hawkeye, linee virtuali (fuorigioco, gol-non gol, meta-non meta, record mondiale, misura che assegna il momentaneo vertice) per il pubblico televisivo: lo sport vuole essere sempre più esatto, attendibile, gradevole, specie per chi lo guarda su video di ogni dimensione, dal tascabile al gigantesco. Sino all’ultimo pixel.

World Athletics, già IAAF, ha mandato nel ripostiglio dei materiali che non servono più la plastilina: ora è l’asse di battuta altamente tecnologico a decretare se un salto è buono o no. Sui ritti dell’asta viene montata una piccola telecamera che indica la reale misura superata. Non ha più senso dire: “Quel 5.70 valeva 5.90”. Prelusivo alla sparizione dell’asticella? Si accettano quote.

In tutta questa tecnologia trionfante – che esclude il fascino sottile del dubbio – lascia perplessi la nuova regola sulle false partenze che verrà applicata ai Mondiali di Budapest. Nuova regola per modo di dire: allo starter viene semplicemente data la discrezionalità di giudicare se un atleta merita di correre sub judice: si è mosso perché altri, un battito di ciglia prima, si sono mossi sui blocchi?

Rimane la squalifica alla prima “falsa”, rimangono i 100 millesimi che non devono essere varcati ma viene inserito questo aspetto in cui l’occhio e le sensazioni umane possono avere la loro parte. Al termine della gara, il giudice arbitro esaminerà i dati e le immagini a disposizione ed emetterà la sentenza alla quale sarà possibile fare appello. Il terreno può diventare minato e delicato.

Altre novità: ai Mondiali, nelle semifinali e nelle finali, nessuna corsia sarà vuota e nessun concorso sarà a undici. In caso di infortunio o di ritiro, due atleti/e e due staffette, le migliori escluse della prima fase eliminatoria, saranno tenute “in caldo” per subentrare. Le competizioni a ranghi completi sono più gradevoli.

Nei 1500, 5000 e 3000 siepi il passaggio del turno avverrà solo in forza dei piazzamenti e non con i tempi di recupero. La decisione nasce all’insegna dell’equità: meglio evitare che gli atleti dell’ultima batteria corrano “a cronometro” per estromettere quelli di precedenti turni lenti.

I recuperati, ormai noti come “q” piccole, rimangono nelle gare veloci, negli 800, negli ostacoli. Ma per loro l’attesa del verdetto sarà resa più confortevole con la creazione di una sala (World Athletics pubblica un modellino) con divani, rinfreschi, tappetini per lo stretching, televisori per seguire le gare, possibilità di avere contatti con gli allenatori. L’occhio della telecamera non li perderà d’occhio: una reazione violenta di gioia o di sconforto può provocare piccole impennate dello share.


Sul piatto girano nuovi dischi 


Abituati come eravamo ad assistere a epici scontri tra tedeschi dell’est e dell’ovest, russi, ceki, lituani, estoni e ovviamente generazioni di americani, ci stiamo accorgendo che sul piatto è stato messo un altro disco.

Alla vigilia dei Mondiali tra i primi dieci ci sono tre giamaicani, un samoano, un austriaco, e uno sloveno XXXL, Cristjan Ceh (che ha l’aspetto di Clark Kent prima che si trasformi in Superman), ha buone chances di concedere il bis mondiale. Resiste la Lituania grazie al ritrovato Andrus Gudzius e al figlio d’arte Mikolay Alekna, progenie del formidabile Virgilius. La presenza di uno svedese, Daniel Ståhl, detto l’orso ballerino, riporta ai tempi disinvolti di Ricky Bruch. Gli americani sono spariti. In compenso si sono messi, specie le ragazze, a lanciare il martello.

La geografia classica è saltata per aria. Ma non è capitato solo al disco. Il giavellotto ha iniziato la sua mutazione a Londra 2012, con la vittoria di Keshorn Walcott, di Trinidad & Tobago che ha ricevuto in dono un’isoletta con un faro. Quel buonanima di Janis Lusis diceva che il giavellotto era una faccenda per baltici. Ora non ce n’è uno che possa accampare ambizioni. A parte il ceko Vadleich, i dominatori degli ultimi anni (Walcott, Peters, Chopra) vengono da paesi dove lo sport principale è il cricket. Qualcosa vorrà dire.

Tutto cambia. Una delle più forti velociste, Julien Alfred, grande protagonista della stagione NCAA e capace di lasciare il segno anche nelle sue prime esibizioni europee, è nata a St Lucia, bella isola dei Caraibi orientali, 179.000 abitanti. E chi poteva immaginare che il Botswana, un tempo Bechuanaland, sarebbe diventato una fucina di quattrocentisti: quest’anno nove tra 44 basso e 45 alto, come usa dire oggi. Tra questi, Letsile Tebogo che al giro di pista si dedica episodicamente. A Budapest sarà una delle stelle di 100 e soprattutto 200 dopo il 19”50 londinese.

Si dice: il mondo è bello perché è vario. L’atletica, in questo senso, è stupenda. Lo è sempre stata (vent’anni fa il titolo mondiale dei 100 andò a Kim Collins, di St Kitts) ma adesso lo scenario è un caleidoscopio: pietruzze colorate che ruotano e incantano.

Dallo Zambia, la vecchia Northern Rhodesia, proviene Muzala Samukonga, campione del Commonwealth e sceso sotto i 44”0. Il più forte velocista europeo, arrivato a minacciare i record continentali di Marcell Jacobs e di Pietro Mennea, è Zharnel Hughes, di Anguilla, territorio britannico d’oltremare retto da un governatore, 15.000 abitanti scarsi all’ultimo censimento.

Felix Sanchez ha aperto la strada, Luguelin Santos l’ha spianata e ora la Repubblica Dominicana (da non confondere con Dominica che ha un’eccellente triplista, Tia Lafond) è diventata una piccola potenza nei 400 donne con Marileidy Paulino e Fiordaliza Cofil ed è campione mondiale in carica nella 4x400 mista.

Joe Fahnbulleh e Emmanuel Matadi sono cresciuti in America, in fuga dalla guerra civile endemica che insangoina il loro paese, ma in pista vanno per la Liberia; Anderson Peters, due titoli mondiali nel giavellotto, è di Grenada, come Kirani James, tre volte sul podio olimpico dei 400; l’irlandese che ha fatto irruzione tra le migliori euroee di sempre si chiama Rasidat Adeleke ed è nata a Dublino da genitori nigeriani, stesse radici di Maro Itoje, seconda linea dell’Inghilterra: Janee Kassanavoid, una delle tre martelliste americane che hanno guadagnato il posto per Budapest, è comanche e un anno fa a Eugene è stata la prima nativa americana a conquistare una medaglia mondiale; Luis Grijalva, rifugiato guatemalteco, ha frantumato la barriera dei 13 minuti nei 5000 e punta a un piazzamento nelle zone alte.

L’atletica ha più macchie del Gattopardo e quando cambia non rimane la stessa.

 

 

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