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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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I sentieri di Cimbricus / "Spero di vederti saltare ancora"

Venerdì 21 Luglio 2023

 

brumel 


Questo il messaggio che il bostoniano John Thomas indirizzò a Valeri Brumel all’indomani del terribile incidente. Secondo a Roma, primo a Tokyo, tra il 1960 e il ‘64 Valeri l’aveva superato 8 volte su 9 occasioni. Il decimo scontro non ci fu mai.

Giorgio Cimbrico

Oggi, 21 luglio, cadono i sessant’anni dall’ultimo record del mondo di Valeri Brumel e cinque giorni dopo Mick Jagger festeggerà gli 80 anni. Sempre in tema di anniversari fondi, Valeri non è più tra noi da vent’anni. In vita Mick, che sarebbe andato d’accordo con Mozart, ha avuto il “cartellino blu” che nel Regno Unito spetta a chi ha lasciato un segno. Il suo è stato sistemato sulla facciata della stazione di Dartford, dove incontrò Keith Richards: l’uno e l’altro avevano sottobraccio dischi di Muddy Waters e di Chuck Berry: nasceva il primo nucleo dei Rolling Stones.

Mick, magro e secco, saltava e continua a saltare in queste interminabili nozze di diamanti con la musica e con il mondo: pare abbia confessato che si comporta così per impedire al cecchino di prendere la mira e farlo secco. Molto probabile sia una fandonia, ma è molto bella.

A Brumel mancava una “m” e una “l”, quelle di Beau Brummell, l’arbiter elegantiarum della fine del XVIII secolo e inizi del XIX. Per il resto, lo stesso stile. La famiglia di Valeri era baltica, il luogo di nascita, Tolbuchino, era siberiano; l’adolescenza, ucraina.

Il sesto record del mondo venne durante lo “scontro dei titani”, URSS-USA, ed era la terza volta che Valeri saliva dove non era mai salto nessuno in un confronto che non era solo sportivo: aveva iniziato a Mosca nel ’61 e continuato a Stanford nel ’62.

Quel giorno la competizione con se stesso fu lunga e abbastanza complicata: 2.10 alla prima, 2.15 alla seconda, 2.18 alla prima. A quel punto aveva vinto: chiese 2.23 e superò la quota solo alla terza. Passò a 2.28 e dopo due errori, andò al di là. A quel punto, 11 salti. Non era stanco e decise di andare a sfidare una nuova dimensione, 2.30, che ancora oggi fa una certa impressione e può donare insperati piazzamenti. La pedana del Lenin era in terra, le scarpe avevano chiodi che sembravano rampini da arrembaggio. L’asticella andò giù tre volte. Il primo 2.30 sarebbe arrivato dieci anni dopo: Dwight Stones a Monaco di Baviera, adottando il nuovo stile rivoluzionario.

Quel 21 luglio, quattordici salti e sei errori. Dieci mesi prima, sempre a Mosca (record del mondo a 2.27) la percentuale era stata migliore: dodici salti e quattro errori. I falli si rivelarono decisivi l’anno dopo a Tokyo: Brumel salto 2.16 alla prima, John Thomas (era il remake di Roma ’60), alla seconda. A 2.18 tutti e due al di là subito. A 2.20, dopo quattro ore in pedana, né l’uno né l’altro scavalcarono. Thomas ebbe la piccola consolazione di dividere con Valeri il record olimpico.

Era il 21 ottobre 1964. Meno di un anno dopo, il 6 ottobre, il più sublime interprete del ventrale perse una delle sue ali e iniziò il suo viaggio verso la notte. Lo schianto arrivò la sera su una di quelle enormi “prospektive” moscovite, umida di una pioggia che l’oscurità stava trasformando in patina ghiacciata. La moto era guidata da Tamara Golikova, campionessa delle due ruote, Valeri era sul sellino del passeggero. Tamara ne uscì indenne, Valeri no.

Quando lo portarono all’ospedale e frugarono nelle sue tasche, alla ricerca dei documenti, il medico di servizio venne scosso da una sferzata: quello era Brumel e il piede destro, quello dello stacco, era attaccato alla gamba da filamenti di pelle. Un’operazione dopo l’altra (ventotto), un tormentato cammino della speranza, un graduale abbandono da parte di tutti, anche della moglie (“Cosa facevi in moto con Tamara?”) che ottiene il divorzio. Solo un piccolo raggio di sole: “Non arrenderti. Spero di vederti saltare ancora”, gli scrisse il gentile Thomas, mai invelenito dalle sconfitte.

“Un dolore che mi torturava”, lascerà scritto mentre provava a rientrare e con quel piede rimesso assieme in qualche modo saltò 2.06. Negli anni che lo divisero da una morte prematura, calatagli addosso a 60 anni, poche notizie. Una annunciava che il suo dramma “Secondo tentativo” era rimasto in scena cinque anni al teatro Sladovski. Unico in tutto, persino nella sua dolente autocelebrazione.

In questa rara foto a colori, tratta dal Rapporto Ufficile di Tokyo '64, John Thomas osserva il salto vincente di Valeri. Si notino i cascami di gommapiuma che costituivano la zona di caduta.

 

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