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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Cent'anni Primo / Un piccolo segreto che aiuta a capire

Venerdì 14 Luglio 2023

 

nebiolo-iaaf


“E’ negli episodi sconosciuti, magari anche minuscoli che, spesso, si può leggere cosa sta nel profondo del cuore di un uomo. Nel caso di Nebiolo: l’umanità. Ovvero, quella sintesi tra spirito e materia che, secondo Carrel, costituisce una 'persona'".

Giorgio Reineri

C’è un saggio, in letteratura, che s’intitola “L’homme cet inconnu”. Venne scritto, quasi novant’anni or sono, da uno scienziato e filosofo francese, Alexis Carrel: l’uomo, sostiene Carrel, è materia e spirito che si mescolano in un‘unica realtà alla quale diamo il nome di “persona”. Socrate e Platone, invece, la pensavano un po’ diversamente: l’uomo è la sua anima, il corpo la sua prigione. Chi, tra la visione “cristiana” di Carrel e quella dei grandi filosofi greci, sia più vicino alla verità nessuno –, e certamente non noi –, è in grado dirlo. Ma che l’uomo rimanga oggi, a milioni d’anni dall’inizio della sua evoluzione, un mistero, anche l’umile, antico cronista può, ragionevolmente, affermarlo.

Così era, per chi scrive, Primo Nebiolo di cui si ricorda, in questo giorno, il centenario della nascita. Individuo di forte personalità, di smodate ambizioni, d’intelligenza pronta e acuta, di inesauribile capacità di progettazione, di gran desiderio di potere e, su tutto, di un incrollabile senso d’autostima. Ma cosa prevaleva nel profondo della sua anima, forse sconosciuto a lui stesso? Quale era la possibile sintesi – la sua “persona” – per usare il metro di giudizio di Carrel? E se invece si fossero prese, per misura, le idee di Socrate e Platone, sarebbe stata l'anima (di Nebiolo) capace di evadere la prigione del corpo?

Non c’è una risposta certa ma soltanto degli indizi. Comportamenti che contraddicevano la vox populi, secondo cui Nebiolo sarebbe stato un formidabile cinico: capace di abbattere ogni sentimento, di schiacciare ogni principio morale, pur di raggiungere l’obbiettivo prefisso. E uno di questi indizi è un piccolo segreto che, chi scrive, si porta dentro da almeno un quarto di secolo: dai giorni ormai lontani in cui gli venne, da Nebiolo, affidato un compito che, in qualche misura, contrastava con l’idea romantica del giornalismo, libero e non servile. Dirigere la comunicazione della Federazione Internazionale di Atletica Leggera, IAAF secondo l’acronimo inglese. 

Accadde tutto in un tardo pomeriggio di primavera, a Montecarlo. Lo stadio Louis II era ormai immerso nella penombra e quel capo della comunicazione IAAF sgambettava sull’erba fina, godendosi anche gli sforzi severi di molti atleti francesi, tesserati per la federazione monegasca. Il tempo del lavoro d’ufficio era passato da un pezzo, ma la prudenza consigliava di portarsi appresso il “cellulare”: una chiamata importante – del Presidente, da chi altri sennò? – poteva arrivare ad ogni momento, e soprattutto quando ci si illudeva di poter correre in libertà. 

E la telefonata arrivò. Il primo pensiero fu di nascondere il fiatone: respirare normale, in modo che il Presidente non s’accorgesse che il suo capo-ufficio stampa se la spassava col “jogging”, invece di studiare nuove strategie di comunicazione. E il secondo fu ancora peggiore: cosa sta capitando, ché Nebiolo ha una voce così grave e non incline allo scherzo?

“Ho licenziato una tua impiegata, la signora …..” disse non appena gli arrivo’, a 700 chilometri di distanza, nella sede romana della IAAF, il “pronto, Presidente" di chi scrive. E, poi, a seguire, un rapido mitragliamento di lamentele per i comportamenti della signora in questione: poca lealtà, anzi insubordinazione, menefreghista, prepotente, interessata solo agli affari propri e non a quelli della Federazione. Un’interminabile litania di colpe che, al responsabile dell’ufficio in cui operava la signora, apparvero subito come frutto di maldicenze più che di comportamenti sbagliati. 

Contraddire Nebiolo, opporsi a una sua decisione, non era tuttavia semplice, per chicchessia. Chi racconta aveva, è vero, il vantaggio di una frequentazione antica, dagli anni dell’agonismo nel CUS Torino, sino a quelli dei rapporti intercorsi, nei decenni, tra un giornalista e un dirigente sportivo internazionale. Esisteva, dunque, una certa confidenza e, nonostante la profonda differenza di carattere, anche stima: due cose che, tuttavia, Nebiolo sapeva come seppellire, se le circostanze lo avessero consigliato.

Iniziò così un interminabile colloquio. Passeggiando a bordo campo (di calcio), per oltre un’ora, riuscì, a chi oggi ricorda, d’instillare nella mente di Nebiolo qualche dubbio: forse quella signora non era poi così poco professionale come l’aveva dipinta. Il suo curriculum era tutt’altro che disprezzabile: conosceva l’atletica, che aveva cominciato a praticare ai tempi del liceo, a Milano; conosceva perfettamente quattro lingue; godeva della stima di molti giornalisti d’ogni nazionalità; certo aveva difetti, ma i meriti erano superiori. E poi, c’era dell’altro.

“Che cosa d’altro”, domandò Nebiolo.

– Ha una famiglia da sostenere, fu la risposta.

“Ma non ha un marito?” la replica.

– No, è sola con tre figli ancor da crescere.

Ci fu un lungo momento di silenzio. E poi Nebiolo sospirò: “Io non metto sul lastrico una madre di famiglia. Chiudiamo qui la questione.” 

E’ negli episodi sconosciuti, magari anche minuscoli che, spesso, si può leggere cosa sta nel profondo del cuore di un uomo. Nel caso di Nebiolo: l’umanità. Ovvero, quella sintesi tra spirito e materia che, secondo Carrel, costituisce una “persona”.

PS: la signora di cui s’è narrato è stata recentemente “pensionata” dalla IAAF – pardon: World Athletics – su disposizione di un uomo dal cuore di Lord: Sebastian Coe. 

 

 

 

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