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Duribanchi / Quando lo squadrismo diventa kultura

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Venerdì 26 Maggio 2023

 

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“Nessuno pretende che un gruppo di ragazzi ideologizzati abbia presente Voltaire (che poi, neppure fu lui a dirlo) con il suo: ‘Non condivido il tuo pensiero, ma sono pronto a morire affinché tu possa esprimerlo’. Si pretenderebbe però …”.

Andrea Bosco

Ha scritto Aldo Cazzullo rispondendo ad alcuni lettori sul Corriere della Sera in relazione all'episodio che ha visto una quarantina di contestatori (29 denunciati) protagonisti di una gazzarra al Salone del Libro di Torino, atta ad evitare la presentazione del libro (“Una famiglia radicale“) del ministro Roccella (suo padre fu uno dei fondatori con Marco Pannella del Partito Radicale) che “si è trattato di un atto di inciviltà ma non di fascismo“. Cazzullo non era presente al Salone (“da anni non mi invitano“) ma dalle immagini si sarà fatto, immagino, una idea dell'accaduto.

O magari si sarà fatto raccontare la contestazione dall'inviata del Corriere Alessia Rastelli. Il libro di Roccella non presentava elementi “provocatori“. Secondo i contestatori “via i fascisti dal Salone“, la sola presenza del ministro di Fratelli d'Italia lo era. Il loro intento non era quello di contestare magari confrontandosi (una loro rappresentante invitata sul palco dalla ministra ha letto un comunicato – peraltro conflittuale con la sintassi – rifiutando poi con sdegno il dialogo), ma solo quello di impedire al ministro di parlare. La ministra Roccella, ha posizioni precise (e certamente discutibili) sull'aborto e soprattutto sull'utero in affitto (il governo Meloni ha proposto di rendere la pratica per legge “delitto universale“) ma nella fattispecie era a Torino (invitata) per presentare un libro.

Ha ragione Cazzullo: non si è trattato di “fascismo“. Cosa seria al pari dell'antifascismo. Ma di squadrismo da collettivo studentesco, sì: lo è stato. Impedire di parlare a qualcuno in un luogo pubblico è pratica disgustosa. “Taci amerikano“ ti dicevano nel 1968 all'università se alle assemblee monopolizzate dai gruppuscoli più violenti osavi esprimere idee diverse dal “sentire popolare“ del tempo. Intendiamoci, non c'è paragone con quei tempi: il gruppuscolo di Torino ha fatto “casino“. I collettivi del Sessantotto ti picchiavano se ti azzardavi a porre domande scomode ai Marco Boato o ai Toni Negri: ti picchiavano di brutto. E se reagivi (perché qualcuno reagiva) organizzavano squadracce punitive. Poi qualcuno di questi gentiluomini è finito a sparare per emulare la Br. Ma questo è un altro delicato, doloroso, mai compiutamente esaminato, mai sanato discorso. C'era il terrorismo rosso accanto al terrorismo nero. Accanto a quella zona d'ombra relativa alle complicità della politica e dello stato. Dei servizi segreti deviati: italiani ed esteri. Altri tempi.

Alla fine, dopo tre ore, e dopo aver invitato la Forza Pubblica a “non intervenire“, Roccella se n'è andata senza aver potuto dire una parola. Assieme all'avvocato Bernardini De Pace che avrebbe dovuto intervistarla e con lei dialogare.

Sul palco, ad un certo punto, dopo un'ora di ingiurie e proclami era salito anche il direttore uscente del Salone, lo scrittore Nicola Lagioia che ha, inutilmente, cercato una mediazione con i collettivi vocianti. Niente da fare: respinto con perdite Lagioia se n'è andato spiegando che non era suo compito preservare l'evento e che il suo metodo è “il dialogo e non il manganello“. Inseguito dai “vergognati“ della deputata di Fdi Montaruli da lui peraltro prontamente ricambiata con una “pregiudicata condannata in via definitiva per peculato“. Lagioia, scrittore pluri-premiato, uomo di sinistra (difficilmente se non lo sei ottieni lo “Strega“), intellettuale dalle poliedriche qualità ha negli anni abilmente saputo resuscitare il boccheggiante Salone del Libro torinese, sottraendolo con destrezza alle mire “fieristiche“ di Milano. La recente edizione è stata un successo: 215 mila visitatori contro i 168 mila del 2022.

Lagioia ha fatto con il Salone più o meno quello che Beppe Sala ha fatto con Milano: l'ha globalizzato ed internazionalizzato. Ha aperto (non l'ha spalancato ma socchiuso sì) l'uscio anche alla cultura di “destra“. Insomma Nicola Lagioia (che ha saputo come un vecchio democristiano navigare con la bandiera di molti governi – suo iniziale sponsor “Richelieu” Dario Franceschini – fino a Draghi, salvo non sentirsela di continuare con un governo nel quale intravvede “il rischio di una deriva autoritaria“) è un intellettuale di valore, originario della Puglia che ha messo radici a Roma e a Torino, che non si accoda alle Murgia e ai Saviano, che evita di pronunciare la parola “fascismo“ ma che “teme una restrizione delle libertà dei diritti“.

Vale a dire, proprio quanto hanno fatto i ragazzotti e le ragazzotte che hanno impedito a Roccella di parlare.

Per inciso a Roccella è arrivata la solidarietà da parte di pochi esponenti dell'opposizione: Renzi, Violante, il sindaco di Torino (Pd ) Lo Russo.

Non è arrivata quella di Ely Schlein (tallonata dalle elezioni europee) la cui disamina è stata per alcuni versi inquietante. “Contestare è un diritto“. Applausi. “Questo governo ha un problema con il dissenso“. Boh. “I politici hanno mille occasioni per dire la loro: i contestatori, no“. Ergo se al prossimo comizio di Ely Schlein dovessero presentarsi gli attivisti di Casa Pound col proposito di silenziarla, sarebbe lecito? No, non lo sarebbe: sarebbe squadrismo. Come quello ascoltato e visto a Torino. Come quello che ancora vige in troppe università italiane. Come quello vissuto da chi “amerikano“ non era, ma che dopo essere stato marxista aveva deciso che quella “chiesa“ non faceva per lui.

Si è guardato bene Lagioia di “inventare“ un evento “riparatore“ per Roccella. Che consentisse all'editore di Roccella di non subire un danno. Che consentisse a Bernardini De Pace di non venire bullizzata. Che consentisse di ripristinare la decenza. Nessuno pretende che un gruppo di ragazzi ideologizzati abbia presente Voltaire (che poi, neppure fu lui a dirlo) con il suo: “Non condivido il tuo pensiero, ma sono pronto a morire affinché tu possa esprimerlo“. Si pretenderebbe, però, che il direttore del Salone del Libro si astenesse dal comportarsi in successione come Don Abbondio, poi come Pilato. Lagioia in fuga dal palco di Roccella è una immagine che resterà nella Storia.

La cosa “oscura“ è che la direttrice entrante del Salone, Annalena Benini, fine intellettuale (pare sponsorizzata da Alain Elkan) abbia detto che “Lagioia ha il mio totale sostegno: avrei fatto la stessa cosa“. Ecco la questione è la “cosa“. Quale? Perché cercare una mediazione in un momento di tensione è “cosa“ onorevole e sottoscrivibile. Abbandonare la nave in balia dei marosi non lo è. Farlo è stato disonorevole. Una decisione, quella di Lagioia, da Schettino.



 

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