Osservatorio / La tragicomica Saga degli Europei 2024
Domenica 7 Maggio 2023
Sono note le difficoltà per riportare a Roma la rassegna europea. Come sempre, anche stavolta il successo ha molti padri, mentre la sconfitta è orfana. Pare pertanto opportuno provare a fare un po’ di chiarezza, segnalando colpe e meriti.
Luciano Barra
Credo che per quanto è accaduto in questi ultimi anni sui Campionati Europei di Atletica Roma 2024 ce ne sia abbastanza per permettere a Netflix di mettere in piedi una divertente saga. Per questo mi propongo come consulente onorario in quanto ne ho scritto abbastanza nel passato ed avevo previsto quanto ora sta accadendo e che si è evidenziato nella recente riunione del Consiglio della Fondazione, sintetizzato nell’intervista di Franco Fava a Stefano Mei pubblicata il 6 maggio.
Riepilogo in maniera sintetica. A fronte di una candidatura presentata nel 2020 la Federazione Europea ha assegnato, nell’ottobre dello stesso anno, alla Città di Roma ed alla FIDAL i Campionati, che celebrano i 50 anni dalla precedente edizione romana del 1974 ed i 90 anni dalla edizione inaugurale di Torino nel 1934. Insisto nel dire che si trattava di una candidatura solida economicamente e con forti appoggi istituzionali. Molto migliore di quelle che io stesso avevo vissuto ai tempi di Nebiolo e di quelle da me gestite nei venti anni di responsabile di tale materia nella Federazione Europea, in diversi ruoli.
Poi sono intervenute le elezioni della FIDAL, fine Gennaio 2021, che hanno portato Stefano Mei alla Presidenza della Federazione. Lui fu eletto con un suo pacchetto di voti pari al 38% e conseguentemente con un Consiglio che lo vedeva in minoranza. Tutti gli avrebbe consigliato –, ed io lo feci –, di trovare un compromesso per compattare la Federazione e governare in tranquillità. Così lui non fece, aiutato in maniera poco intelligente dal presidente del CONI, Giovanni Malagò, che oltre ad avvallare tutta una serie di scelte gli mise a totale disposizione Anna Riccardi. Lei siede nel Consiglio della FIDAL come membro del Consiglio della IAAF e non come dirigente CONI. Il suo voto è stato determinante per riequilibrare la maggioranza del Consiglio, ed anche per ribaltare quanto fatto precedentemente sulla Candidatura di Roma 2024, lei consenziente.
E da allora è iniziata un’operazione di smantellamento su quanto ero stato presentato con successo al momento della Candidatura. Mentre poteva essere comprensibile il cambiamento di alcuni nomi, un grave errore è stato quello di cancellare la Fondazione che era stata costituita, costituirne un’altra con un nuovo Statuto. Il tutto basato su alcune interpretazioni del contratto organizzativo tutte da verificare e che da quanto sembra (vedasi ordine del giorno del prossimo Consiglio Federale) spetterà a qualcun altro giudicare. Doveva servire ad organizzare meglio? O piuttosto ad occupare più saldamente posti di potere ed a distribuire incarichi e prebende?
All’interno di questa saga un capitolo a parte meriterebbe raccontare quanto accaduto nella scelta del CEO della Fondazione, che spiega in maniera inequivocabile la mancanza di capacitò manageriali di Stefano Mei. Un anno e mezzo fra bando, recezione di una trentina di CV, scelta di tre nomi e, dopo quasi un anno, scelta di una persona che oggi è riconosciuta inadatta sia dalla FIDAL, e quindi da chi l’ha scelto, che dal Governo. La definizione più propria del rapporto fra Presidente e DG è “separati in casa”. Il tutto giustificherebbe la compilazione di un manuale di come non si dovrebbe fare.
Personalmente ritengo responsabili dell’attuale situazione: in primis Stefano Mei, nel suo CV non credo che ci sia l’organizzazione di alcunché, nemmeno del Giro del Palazzo; poi Giovanni Malagò (con l’appendice di Anna Riccardi) e la Federazione Europea che ha passivamente accettato tutti i cambiamenti che hanno portato all’attuale situazione. L’ho scritto a Malagò ed alla Federazione Europea in tempi non sospetti. Credo che le successive dimissioni di Gianni Gola da membro del Consiglio della Fondazione e della sua sospensione da Presidente Onorario della FIDAL siano stati un segnale premonitore di cosa stava accadendo. Se una persona seria e perbene come Gola aveva preso una decisione così grave, un motivo c’era. Il Ministro Abodi lo ha capito ed ha fatto di tutto per convincerlo a recedere. Un po' meno Giovanni Malagò, che già si era distinto nel non proteggere Alfio Giomi, che era stato molto importante e determinante nella sua combattuta elezione a presidente del CONI. La gratitudine non si è mai dimostrata la qualità migliore di Malagò.
Merita stilare un parallelo fra Giovanni Malagò e Stefano Mei. Sono molto simili negli aspetti positivi ed in quelli negativi. Per i primi credo che gli si debba dare il merito, ad ambedue, degli ultimi risultati conseguiti ad Olimpiadi ed altro. Di fatto Malagò è il capo della Preparazione Olimpica ed ha avuto il merito, nel suo continuo rapporto con tecnici ed atleti delle Federazioni, di motivarli nella giusta maniera. Stefano Mei da ex-atleta di vertice ha saputo fare la stessa cosa, ha protetto i finanziamenti a favore del settore tecnico ed ha messo quindi atleti e tecnici nelle migliori condizioni. Ovviamente va ricordato come all’inizio della sua presidenza aveva previsto di sostituire l’attuale DT (Antonio La Torre) con qualche tecnico che l’aveva aiutato elettoralmente. Poi ha dovuto recedere per l’impopolarità della decisione e per i risultati che La Torre aveva raggiunto grazie ad un programma partito da lontano.
Detto dei meriti, è giusto anche analizzare i limiti od i difetti dei due presidenti. Anche qui sono simili. Non hanno capito che chi è a capo di un’Istituzione (come CONI e Federazione) non può fare il presidente di un Comitato Organizzatore. Ora Stefano Mei la butta in caciara sostenendo che la politica l’attacca per i risultati da lui raggiunti. Mi pare un’idiozia. Chi conosce Andrea Abodi sa che è una persona seria e non avvezzo a logiche partitiche. Mei viene attaccato dalla politica e dalle istituzioni del territorio (quindi da destra e da sinistra) perché si sono resi conto che non è in grado di essere a capo di un’organizzazione dove, tra l’altro, sono le istituzioni a sostenerne il finanziamento.
Ambedue, Malagò e Mei, hanno annunciato che le rispettive manifestazioni che presiedono (Giochi Olimpici Invernali e Campionati Europei di atletica) saranno i migliori di sempre. Beati loro. D’altronde Malagò ha un precedente come presidente di Comitato Organizzatore dei Mondiali di Nuoto del 2009, precedente non esaltante visto il grande deficit accumulato, e lui non era presidente della Federazione Nuoto.
Differentemente da 30 anni fa oggi organizzare una manifestazione è un impegno politico, manageriale ed economico che non può permettere di sedere su due sedie che nascondono momenti di contrasto d’interesse e soprattutto capacità diverse, per non parlare del tempo che ambedue gli incarichi richiedono. Ancora: Malagò è Mei hanno come comune denominatore quello di non sapersi scegliere i collaboratori giusti. Malagò in 10 anni ha uno score di separazioni ed abbandoni impressionante. Attualmente Malagò è completamente isolato. Mei per sua parte è evidentemente mal consigliato da chi gli è più vicino.
Malagò e Mei hanno anche in comune –, e lo hanno dimostrato con dichiarazioni esplicite –, la convinzione del complotto ai danni di Alex Schwazer. Nel caso di Malagò ciò è molto grave essendo lui, fra l’altro, membro del CIO. A proposito, avevo iniziato parlando di Netflix. Devo confessare che dopo aver visto, controvoglia, il documentario da loro mandato in onda sul pluri-squalificato marciatore ho deciso di querelare Netflix, gli ispiratori ed altri che hanno voluto nelle quattro puntate identificarmi come il colpevole di tanti misfatti. Peccato che le carte dicono differentemente. Ve ne terrò informati.
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