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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / L'uomo che atterro' nel futuro

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Lunedì 1° Maggio 2023

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“Tutto unico, perfetto, destabilizzante: record del mondo di 55 centimetri. La misurazione fu difficile. “Ehi nonno, qui facciamo Natale”, disse Ralphi a Adriaan Paulen, quel giorno in giacca rossa da presidente della giuria d’appello.”

Giorgio Cimbrico

Ralph Boston stava per arrivare agli 84 anni: li ha mancarti per dieci giorni. Ha attraversato ed è stato protagonista di giorni memorabili. Il primo fu il 12 giugno 1960, a Walnut, quando atterrò a 8.21 e chiuse il regno lungo un quarto di secolo di Jesse Owens, 8.13 nel “giorno dei giorni” di Ann Arbor. Jesse era nato in Alabama, Ralph a Laurel, Mississippi, due stati che dei diritti civili si erano infischiati.

Quel record fu il primo di sei e l’inizio di un duello a distanza con Igor Ter Ovanesian, sovietico e soprattutto armeno: Ralph saltò 8.21 a Modesto nel ’61, e allungò a 8.28 a Mosca, nel classico URSS-USA, lasciando lontano a 8.01 Igor che replicò con 8.31 l’anno dopo nell’altura della natia Yerevan. Boston pareggiò a Kingston, nel ’64, e riprese il vertice: 8.34 ai Trials per Tokyo. Si spinse dove non si era mai spinto alcuno, 8.35, a Modesto nel ’65, e Igor replicò a sua volta nella preolimpica del ’67 a Città del Messico. “Ma prima dei Giochi, a Leninankan – raccontava Ter Ovanesian – mi ero fatto misurare un nullo da 8.67”.

Ai Giochi, vantaggio per Ralph: vinse a Roma con 8.12 (terzo l’elegante Igor con 8.01) e finì secondo a Tokyo nella gloriosa giornata del gallese Lynn Davies. Pare sia stato proprio lui – generoso – a dire a Davies quando era il momento di saltare in quel giorno di vento balzano. Alla fine, Davies 8.07, Boston 8.03, Ter Ovanesian 7.99.

Il 18 ottobre 1968 si ritrovarono tutti sulle pedana di Città del Messico. “Cos’ho fatto?”. “Hai saltato 29 piedi, anche di più”. “Va be’, Ralph, ora salti tu e mi dai un calcio nel culo”. “No, Bob, io così lontano non ci arrivo”. Prima di esser schiacciato da quel che aveva appena combinato, di sentire le ginocchia che non tengono, di rischiare il collasso, Bob Beamon è allegramente inconsapevole.

Ha appena saltato lungo, così lungo che i giudici hanno deciso di non servirsi del lettore ottico e di servirsi del vecchio nastro misuratore e un certo punto uno che mormora “fantastico, fantastico”, gli dice 8.90 e lui che non mastica il metrico decimale non capisce e allora chiede lumi a Boston, che gli ha dato una mano in qualificazione quando dopo due nulli stava per uscir fuori e anche per questo primo salto di finale, gli ha detto: “vai e fai un salto valido”.

“E ora, il russo e l’inglese cosa faranno?”. Il russo è Igor Ter Ovanesian detto il principe Igor: “I nostri sembrano salti da bambini”. L’inglese è Lynn Davies, gallese, quello che dice è l’ora di andarcene tutti a casa. “Bob, hai distrutto la gara”, dice Ralph. E tutto questo intrecciarsi di parole, tutto questo dopo, dura molto più di quel suo decollo, di quella parabola altissima, a più di un 1,30 da terra, di quell’atterraggio in cui non un solo centimetro viene buttato: uno pterodattilo che prende terra, un Concorde che tocca la pista.

Tutto unico, perfetto, destabilizzante: record del mondo di 55 centimetri. La misurazione fu difficile. “Ehi nonno, qui facciamo Natale”, disse Ralphi a Adriaan Paulen, quel giorno in giacca rossa da presidente della giuria d’appello.

Quel giorno Igor capi che l’altura poteva essere determinante. Da commissario tecnico dell’Urss la sorte gli diede quel capolavoro di elasticità che era il suo compaesano d’Armenia Robert Emmian,e così decise di sfruttare quei vantaggi a Tsakhadzor, Caucaso e organizzò lì per lì una garetta e Robert arrivò a 8,86.

Quel giorno, un altro giorno dei giorni, sull’altopiano del Messico: si sapeva che Bob poteva fare il colpo perché aveva saltato 8,30 indoor ma poi era rimasto a riposo forzato, sospeso dall’Università del Texas perché si era rifiutato di gareggiare contro Brigham Young: “i mormoni sono razzisti”. Ma nessuno poteva azzardare potesse arrivare sin laggiù, dove finisce la pedana, dove non arriva l’occhio elettronico.

Di tante stupite e ammirate cose che vennero scritte, la più ironica testimonianza rane quella del povero Renato Morino che raccontava di una cena in cui c’era chi sottolineava l’importanza del vento, ancora due metri spaccati a favore naturalmente, chi la rarefazione dell’aria, chi l’atmosfera elettrica offerta dal temporale appeso all’orizzonte, chi la novità e l’efficacia del prodigo tartan, e quel salto infinito diventava sempre più corto, sino a quando la presa di coscienza ebbe la meglio, togliendo di mezzo le cesoie di analisi piccine, limitate.

Era stato, come sulla spiaggia di Kitty Hawk, un volo e questo doveva bastare. Per batterlo, sarebbero stati necessari quasi 23 anni e la musa di fuoco che ispirò Mike Powell, la parca che impedì a Carl Lewis di chiudere il suo inseguimento: 8,95 a 8,91.

 

 

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