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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
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Duribanchi / L'uomo che aspirava a farsi re

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Martedì 11 Aprile 2023

 

berlusconi-23 

“Fatta la tara dei pro e dei contro che hanno contraddistinto la vicenda umana, imprenditoriale e politica di Silvio Berlusconi, quanto sta accadendo in questi giorni in Italia, non ha precedenti, a mia memoria”.

Andrea Bosco

Non sta ancora bene, ma si sta rimettendo. Questo almeno recita l'ultimo comunicato dello staff medico dell'ospedale San Raffaele di Milano dove Silvio Berlusconi è da qualche giorno ricoverato. Berlusconi soffre di una infezione polmonare oltre che di una forma di leucemia cronica. Con la quale, non essendo “acuta“ si sopravvive, ma che in un uomo di 86 anni presenta alcune criticità. La notizia ha ovviamente fatto il giro del mondo.

Chi detesta il Cavaliere si è “mosso” come se fosse ad un passo dall'incontro con l'implacabile Signora, sfornando prematuri “coccodrilli”. Ipotizzando il futuro politico di Forza Italia, la sua “inevitabile“ crisi, la sua “dissoluzione“, la “spartizione“ delle spoglie da parte dei partiti pronti ad inglobare eventuali transfughi. Financo la possibile discesa in campo (politico) da parte della figlia Marina: l'abile manager che sta guidando gli asset più importanti della galassia berlusconiana.

Chi venera il Cavaliere si spinto in espressioni di spinto servilismo. Fatta la tara dei pro e dei contro che hanno contraddistinto la vicenda umana, imprenditoriale e politica di Silvio Berlusconi, quanto sta accadendo in questi giorni in Italia, non ha precedenti, a mia memoria.

Sono arrivati a Berlusconi, attorniato dai figli e dalla moglie, oltre che dagli amici più cari (Fedele Confalonieri, Gianni Letta, Marcello dell'Utri, Antonio Tajani) i messaggi di tutto il panorama politico: da parte degli “alleati“ e da parte di molti degli avversari. Compresi Conte e Schlein. Il suo “popolo” ha inondato di pensieri il Giornale diretto da Augusto Minzolini, al quale subito dopo le prime cure si è concesso telefonicamente con un aneddoto inedito sul fronte degli odiati “comunisti“. Un prete esule dalla Russia, suo insegnante di religione ai Salesiani che “non parlava di religione ma di come in URSS la gente o scappava, o finiva in galera, o moriva“. Impossibile verificare l'attendibilità del racconto. E il nome del prete esule, interessato alla politica più che ai Vangeli.

Ma vera o falsa sia la “storia“ il Cavaliere è uno che le spara grosse (come gli rammentò, quando fu invitato all' ONI, in una vignetta Giannelli: “occhio che qui il soffitto è di vetro“), l'effetto è stato dirompente. A dimostrazione che anche in precarie condizioni fisiche, Berlusconi resta un genio della comunicazione. C'è gente che da Brindisi si è accampata fuori dal San Raffaele con striscioni e gigantografie, simili a quelle che il Cavaliere usò per una campagna elettorale dove incombeva sorridente da ogni angolo delle città. Era la stagione nella quale ancora non aveva scoperto Tik-Tok.

In ogni caso Berlusconi da quando negli anni Novanta “scese in campo“ è diventato nell'immaginifico collettivo “uno che non puoi scansare“. E non importa se a suo tempo sia sceso in campo per difendere l'Italia dai “comunisti“ o per difendere le sue aziende. Le due cose si sono “fuse“. Una è diventata propedeutica all'altra. Ebbe ragione lui: Dell'Utri al quale affidò la costruzione di Forza Italia e la selezione di quella che sarebbe diventata la classe politica del partito, era contrario che Berlusconi corresse alle elezioni. Ma i sondaggisti del “Vangelo secondo Crespi“ gli assicurarono che se si fosse speso in prima persona avrebbe trionfato. Narrano che prima di farlo avesse offerto il suo appoggio economico a Fermo (detto Mino) Martinazzoli, neo segretario di una Dc messa alle corde da Tangentopoli. Ma che il “cattocomunista“ Martinazzoli rifiutasse quasi con sdegno. A testimonianza che, di fiuto politico, l'uomo di Orzinuovi ne aveva poco.

Silvio Berlusconi ha segnato l'Italia degli ultimi trent'anni. Più di qualsiasi altro leader. Non ha fatto le riforme liberali che aveva annunciato (anche perché farle nell'Italia delle eterne lobby democristiane e marxiste è praticamente impossibile) ma ha portato l'Italia nell'alveo dei paesi che “contavano“. Oggi l'Italia conta assai meno, come noto. Ha sdoganato i post fascisti più di quanto non avesse fatto Bettino Craxi. Si è circondato di “teste d'uovo“ liberal e riformiste, tranne liberarsene rapidamente una volta incamerato il potere. Nella schiera dei “pensatori“ che partecipavano ai meeting organizzati da Dell'Utri ci fu il fior fiore degli intellettuali: da Colletti a Volponi, a Marcello Pera, al filosofo Cacciari. Erano i tempi nei quali Berlusconi si era invaghito di Erasmo da Rotterdam e di Thomas More: L'elogio della follia e l'Utopia. I maligni sostenevano non li avesse mai letti e che Dell'Utri li avesse per lui riassunti in dei “bigini“. Tempi nei quali tutto gli appariva possibile e seduceva gli italiani con libri che invitavano a “svegliarsi con il sole in faccia“ nel segno dell'ottimismo. Gli avversari reagivano con pubblicazioni nelle quali lo definivano “imbonitore”, “piazzista“ e “venditore“.

Nessuno ha mai saputo spiegare fino in fondo le origini della sua ”controversa” fortuna. Tanti hanno provato a farlo. La letteratura su Berlusconi (al 90 % detrattiva, per 10 % agiografica) è sterminata. Ma in fondo, tra mafia e politica (qualcuno dice anche Chiesa) nessuno ha mai potuto trovare la “pistola fumante“. Da “palazzinaro“ a proprietario di tre televisioni, costruendo veri imperi edilizi e editoriali, la strada è stata lunga: non priva di intoppi e di situazioni poco chiare. Berlusconi, però, ha subito 140 processi. Tutti necessari o puro accanimento giudiziario? In uno solo è stato condannato: condanna che gli valse la perdita dello status di parlamentare. Scontò la pena andando a raccontare le barzellette ai vecchietti ospiti di Don Mazzi.

Oggi, la prefazione di Gherardo Colombo al libro uscito postumo di Enzo Carra (uno dei protagonisti politici che Mani Pulite spedì in galera), getta nuova luce su quella stagione che cambiò il paese. Ha rivelato Colombo, che faceva parte del pool di Milano, che i magistrati avevano proposto ai politici coinvolti di non subire detenzioni se avessero “vuotato il sacco“ e avessero abiurato. Un patto scellerato, che la politica rifiutò, e che evidenzia come in quella stagione la Procura di Milano abbia operato ben al di là della proprie competenze. Il Muro di Berlino era caduto. La Storia aveva messo una pietra tombale sulla utopia comunista. Il Pci era alla ricerca di un nome e di una identità. Indro Montanelli mi mandò a intervistare Salvatore Veca, presidente (allora) della Fondazione Feltrinelli: stavano, allora, cercando una soluzione. Era il Pci che cercava un nuovo nome: partito comunista non era più spendibile. Era la “cosa rossa“ che sarebbe diventata Pds. L'azione del pool di Milano, nelle parole di Gherardo Colombo (uno che di quella stagione ha fatto una interessante esegesi, anche spietata per i riflessi avuti sulla società italiana e per i tanti morti suicidi in carcere) si evidenzia come più di una indagine giudiziaria. Un dirigente socialista (Moroni), morto suicida, lo scrisse in una accorata lettera a Giorgio Napolitano: “avverto attorno a tutta questa vicenda qualche cosa di oscuro“. La valenza politica di certa magistratura si è poi esplicitata nel corso degli anni. Smascherata infine nel “verminaio“ descritto da uno di loro: il “pentito“ Palamara.

Questo non significa che i partiti non “rubassero“. Rubavano con la complicità degli imprenditori che sborsavano, nell'ambito di un sistema corrotto e malato. Significa che “tutti“ rubavano. Ma che non tutti furono indagati e perseguiti. Partiti come la Lega, ma anche An soffiarono sul fuoco fino a farlo diventare un incendio. Berlusconi contribuì alla “demolizione” di quel sistema lasciando mano libera ai vari Funari, che “sensibilizzavano“ la “ggente“. Ben prima di Michele Santoro, l'ex cabarettista Funari che aveva ambizioni politiche fu l'artefice di una evoluzione trash del modo di comunicare. Funari, alla fine, sarà da Berlusconi “silurato”: travolto da una idea di onnipotenza “popolare” (oggi si direbbe “populista“) che nel ducato di Berlusconi non poteva avere (più) rappresentatività.

Vinse le elezioni, Berlusconi. Il maremoto Tangentopoli si saldò allo tzunami Berlusconi. Il quale, a lungo ha subito l'astio di buona parte dei media. Al pari di larga fetta della pubblica opinione. Non fece terminare la “guerra fredda“ (cosa della quale ancora si vanta), ma intrecciò valide alleanze sul piano internazionale: quella con Vladimir Putin, soprattutto. E mal gliene incolse. Amicizia mai rinnegata, ancora per lui, fonte di guai e polemiche. Eppure, in molti reputano che se c'è uno in grado di dialogare con il macellaio di Mosca, per porre fine all' invasione dell'Ucraina, questo sia proprio Berlusconi. Più della Cina, più della Turchia, più della “Sorella Bandiera“ transalpina. Forse persino più del Papa.

Quelli che lo odiano insinuano, poco elegantemente, si sia fatto ricoverare nei giorni antecedenti alla Pasqua per poter far “sfruttare“ una millenaria similitudine. Sembra la “sfangherà“ anche questa volta: è un combattente nato. Sembra che la parodia che Antonio Ricci dedicò al Cavaliere Mascarato (“Sono invincibile“) non fosse poi tanto lontana dalla realtà. Spregiudicato, donnaiolo, capace di circondarsi di eccellenti avvocati che lo hanno tirato sempre fuori dalle peste, innamorato dell'idea di far diventare l'Italia una Repubblica presidenziale (desiderio neppure occulto di un uomo che aspirava a farsi re), ispiratore di leggi ad personam, insofferente verso la stampa che lo criticava (L'editto bulgaro contro Biagi, Luttazzi e Santoro è storia), oppositore di qualsiasi legge (e non solo da parte sua, in Italia) relativa al conflitto di interesse, sensale di voti, stordito negli ultimi anni (prima probabilmente di aver trovato la pace dei sensi), da “cene eleganti” e signorine disponibili (è scolpita nella vicenda italica la minorenne marocchina Karima, presunta “nipote del presidente egiziano Moubarak, prelevata a notte fonda dalla Questura di Milano da una sua balconatissima “igienista dentale“ (diventata successivamente consigliera regionale in Lombardia), Silvio Berlusconi, presidente di tutto (“con un filo di tette, sosteneva Enzo Biagi, farebbe anche l' annunciatrice nelle sue televisioni“), gaffeur impareggiabile che gli valse il soprannome di “Silviolo“ (dopo aver sostenuto a Pratica di Mare, essere stata fondata l’Urbe da Romolo e Remulo), anticipatore di tutte le cazzate con le quali avrebbero successivamente ammorbato l'Italia i Cinque Stelle, ha comunque segnato la storia del Paese.

Non ha creato i “milioni di posti di lavoro“ che spergiurava avrebbero fatto diventare “ricchi“ gli italiani, ma ha abbassato le tasse, ha dato respiro alle piccole imprese. Ha soprattutto contribuito a definire un bipolarismo politico non ancora compiuto, non ancora di consistenza statunitense. Ma che anche in Italia (se vorrà uscire dalla perenne instabilità politica) dovrà essere realizzato. Oggi non è più lui a dare le carte nel centrodestra. Ma risulta che Meloni tenga in conto le sue opinioni. Qualcuna la respinge al mittente. Ma sostanzialmente lo ascolta. Come quando le avrebbe detto: “Ti serve avere una opposizione non spappolata che asciughi i 5 Stelle“.   Cattaneo, Mulè e Ronzulli (gli ispiratori delle fallite Idi di settembre) ridimensionati ne sono la dimostrazione.

Berlusconi è amato e odiato. Non sono mancati quelli che gli hanno augurato di schiattare. Ma tutto sommato sono emersi maggiormente quelli che hanno gridato “Forza Silvio“. Del resto aver scippato ai tifosi (connotandolo in un Partito) l'incitamento “Forza Italia“ ha qualche cosa di diabolicamente geniale. Al pari della gestione che ha accompagnato i cento successi del Milan: scudetti e sette Champion's. Berlusconi ama dire di essere stato il presidente più vincente della storia del calcio mondiale. Le iperboli sono il suo mestiere ma è possibile sia vero. Il Milan ha vinto tantissimo sotto la sua presidenza. Mettendo in vetrina campioni quali Van Basten, Gullit, Donadoni, Ancellotti, Savicevic, Maldini, Baresi, Boban, Desailly e cento altri. Oggi assieme a Galliani (dopo aver venduto il Milan al cinese più improbabile e misterioso della storia dell'umanità) si diverte con il Monza.

Ma soprattutto Berlusconi ha cambiato il costume del paese portando la pubblicità nelle case degli italiani (prima lo spazio RAI era occupato dal solo “Carosello“) incrementando i consumi. Creando necessità che non c'erano. Ancorando i telespettatori al mondo dei quiz. La programmazione di “Dallas“ serie televisiva americana, rivelò un mondo fatto di intrighi, tradimenti, passioni e ciniche speculazioni, spietati affaristi. In televisione: il mondo che la RAI di Bernabei aveva cercato di anestetizzare attraverso la cultura, dai “Promessi Sposi“ alla “Cittadella“. Berlusconi è stato per certi versi un rivoluzionario. Programmi come “Striscia la notizia“ o “Drive In“ o “Il Costanzo show“ hanno mutato il modo di fare televisione, ben prima che Maria De Filippi mitridatizzasse con i suoi talent e i suoi “incontri d'amore”, la sua tv della commozione e della “riconciliazione“, i gusti del pubblico.

Ora il vecchio drago al quale il mago Silvan fa un baffo, sta eseguendo l'ennesimo gioco di prestigio. Auguri di cento ulteriori anni di vita (del resto un suo medico affermò che “tecnicamente Silvio, potrebbe vivere fino a 120 anni“). Farebbero circa altri quaranta anni. Con i suoi più feroci oppositori già transitati al camposanto. O al massimo su una sedia a rotelle con copertina e dentiera. Comunque andranno le cose, l'operazione “Silvio“ è stata un grandioso successo di marketing. In pochi giorni i sondaggi hanno assegnato a Forza Italia un punto e mezzo in più. Giorgia Meloni lo ha rassicurato sul fatto che non lancerà alcuna Opa sul suo partito, i giornali gli dedicano quotidianamente dalle tre alle quattro pagine. In televisione nei talk si parla solo di lui. I tg aprono con le sue condizioni di salute. Solo per Pasqua, il Papa (con l'aiuto del Padre Eterno) gli ha tolto la scena.

Notarella finale: io con “lui” ho litigato. Dal suo punto di vista aveva le sue ragioni. Ma dal mio punto di vista, le mie erano migliori. La storia è conosciuta, finita in alcuni libri e non mi va di raccontarla ancora. Ma anche se ci ho litigato e non mi piace la sua ossessione di “piacere a tutti“ (è dai contrasti che si alimenta il progresso) anche se non mi capacito che ancora non si sia trovato un erede politico (a meno che davvero non si reputi, immortale), devo ammettere che mi affascina. E non per le cose che solitamente affascinano gli italiani, sempre pronti come spiegava Flaiano a “correre in soccorso del vincitore“. Ma per quel fascino che emanava dal Real Madrid di Puskas, Gento e Di Stefano. Per quel calcio fatto di rigore e immensa qualità tecnica. Per quelle cinque Coppe dei Campioni vinte di fila.

E' il medesimo fascino che mi hanno ispirato le “scarpette rosse“ del Simmenthal di Rubini, Gamba e del mio vecchio amico Gabriele “Nane“ Vianello. O i Boston Celtics di Larry Bird. A Los Angeles c'erano i Lakers di Magic e Jabbar. Ma quel “biondo“ con la faccia da boscaiolo che correva dinoccolato sul parquet e segnava “sempre“, anche dalle posizioni più improbabili, ti entrava nel cuore. Come fece quando ero ragazzino, l'angelo dalla faccia sporca: Enrique Omar Sivori. Come sta facendo Matilde Villa, la fanciulla di 18 anni con la coda di cavallo che spinge (con la maglia della Reyer) il pallone come faceva Villetti. Ci sono donne e uomini che sanno fare piovere monete d'oro (qualche volta a dire il vero solo placcate oro) dal naso delle persone. Oro o ottone che sia, per farlo bisogna comunque essere bravi.

Il Cavaliere di Arcore è – a mio parere – capace di farlo. Lunga vita a lui. Senza Berlusconi, in fondo, di cosa parleremmo? Delle ballerine di quarta e quinta fila che popolano il panorama politico? Berlusconi è Wanda Osiris che scende dallo scalone imbellettata (anche lui col cerone ci va pesante) e che sbattendo le ciglia gorgheggia alla platea: “Sentimental …“. Qualcuno lo considera un pericoloso “pifferaio“. Nessuna pietas, neppure per la sua grave malattia. Gliene hanno augurate di immonde. Lui (che sempre rammenta di aver avuto una zia suora) dirà che “sa perdonare“. Del resto se insegui l'immortalità della Storia, il perdono, per raggiungerla, è una componente essenziale. Probabilmente Alexander Pope non figura nella biblioteca di Berlusconi. Nel caso, il Cavaliere rimedi. Una occhiata al “Saggio sulla critica“ uno con le sue aspirazioni, dovrebbe darla. Specie al passo dove Pope sostiene che: “Errare è umano, perdonare è divino“.

 

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