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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / La nostra cara bestia verde

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Venerdì 24 Febbraio 2023

 

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Sono dieci anni dal 16 marzo 2013 quando la conta finale (22-15) annunciò che la collezione degli scalpi strappati nel “6 Nazioni” si allargava: dopo Scozia, Galles e Francia, toccava all’Irlanda. E domani come finirà?

Giorgio Cimbrico  

Bandiere molto simili e rapporti stretti: capita a chi ha vissuto lunghi, aspri, a volte crudeli risorgimenti. E così verdi e azzurri, tricolori e repubblicani, irlandesi e italiani affondano nel tempo i loro contatti, sino a radici da cui è sbocciata un’iniziazione, un addio all’infanzia ovale.
Prima Union storica affrontata al tempo dei primi accenni di vagiti da parte di Azzurra? L’Irlanda, nel giorno di San Silvestro del 1988, a Lansdowne Road, quello vecchio che, tremolante com’era ad ogni passaggio del treno locale, sembrava colpito da un Parkinson strutturale.


E’ l’Italia della breve stagione da CT di Loreto Cucchiarelli e al numero 14 gioca un padovano nato nel luogo, Arquà, amato da Francesco Petrarca che vi spirò: è Massimo Brunello che da tempo sta dando eccellente prova di sé come allenatore e allevatore di grossi “pulcini”. Punteggio, 31-15. E’ un primo sbarco in un mondo nuovo e non è una resa senza condizioni.

Quasi dieci anni dopo, al tempo del “6 Nazioni-ombra”, l’Irlanda diede luce verde alle ambizioni azzurre: il ’97 iniziò con una giornata dublinese limpida e fredda e si chiuse in un luminoso pomeriggio decembrino a Bologna, alfa e omega ricchi di lietezze per la squadra di Georges Coste, catalano di Francia, fabbro e filosofo dell’Italia che stava per trovare posto alla tavola delle cinque grandi.

L’estremo dei trifogli, sconfitti a domicilio e al Dall’Ara, era Conor O’Shea che avrebbe incrociato ancora, in altra veste, le vicende del rugby italiano; l’apertura azzurra era Diego Dominguez che a Dublino, al solito, lasciò i suoi segni da mangusta: 22 dei 37 punti opera sua, compresa la meta allo scadere che rese più profondo il solco. Dopo, venne Grenoble: la Mala Pasqua del ’63, di cui sta per ricorrere il 60° anniversario, vendicata.

La felicità e il suo mantenimento non sono elementi solidi. Da quel momento il verde divenne un colore proibito, finì per associarsi alle tonalità della bile, e il trifoglio si trasformò in una liana che attorciglia e soffoca. Capitò sia in occasione di pesanti rovesci, sia per sfide decise da decisioni discutibili: dopo che un’occhiata al filmato rivelò che due mete irlandesi erano fasulle, Pierre Berbizier tracimò in un’ira che è scontato etichettare come quella che invase Achille: funesta.  

Anche per l’ora più bella sta per scattare un anniversario tondo: dieci anni dal 16 marzo 2013 quando alla conta finale (22-15, meta di Giamba Venditti, ora team manager, e calci in mezzo ai pali di Luciano Orquera e Gonzalo Garcia) annunciò che la collezione degli scalpi strappati nel 6 Nazioni si allargava: dopo Scozia, Galles e Francia, ora toccava all’Irlanda. Immagini e sensazioni: i 74.714 dell’Olimpico, un record su suolo italiano per un match del 6 Nazioni, la commozione di Andrea Lo Cicero che chiuse la carriera con 103 caps e sparse lacrime di fronte allo spontaneo “homenaje” del pubblico, il senso di impotenza, di narcosi che catturò gli irlandesi, spinti all’indietro, capaci di collezionare tre cartellini gialli (il gesto più brutto venne da Brian O’Driscoll, tacchettata a Favaro steso a terra) e di giocare un terzo del match in inferiorità numerica. 

Quella data, è triste e necessario rimarcarlo, segna anche l’ultima vittoria casalinga degli azzurri: 3 su 30 all’Olimpico, con misera percentuale del 10 per cento. E a Dublino, un anno fa, un altro numero molto tondo e molto desolante: la sconfitta numero 100 di Azzurra. In questo caso il 10% viene appena superato. 

In questo lungo frattempo l’Italia ha vacillato a lungo prima di dare freschi e contemporanei segni di risveglio; l’Irlanda si è trasformata in una macchina perfetta, all’insegna del possesso prolungato, dell’organizzazione, della capacità di impatto, delle creatività nello stretto offerte da Jonathan Sexton. Sono gli elementi che l’hanno trasformata nella “bestia nera” degli All Blacks proiettandola in cima al ranking che mette in fila il mondo La fresca vittoria con la Francia ha reso ancor più solida la posizione. Santi, poeti e eroici patrioti possono gioire in un Empireo colorato di verde.

 

 

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