Duribanchi / Questo e' proprio un paese bizzarro
Martedì 7 Febbraio 2023
“Spiace dirlo, ma il debito pubblico prodotto nei decenni è una montagna che pesa sulle spalle di tutti. Servirebbe una revisione ponderata del welfare. Ma soprattutto delle inutili spese. Della inutile burocrazia. Delle mille partecipate.”
Andrea Bosco
Mettiamola così: l'ipocrisia del mondo è talmente spessa da risultare repellente. In Turchia un maremoto ha mietuto vittime, ha spianato case, ha devastato una regione. Le case durante la scossa più forte si spostavano di tre metri. Ovviamente solidarietà da parte di tutto il mondo. Anche da parte di chi fino ad un minuto prima del sisma si faceva la guerra. Solidarietà incrociata da Russia e USA. Da Grecia e Israele. Il problema è: e dopo? Tra una settimana? Tra sei mesi? Ancora guerra, ancora morti, come se niente fosse?
Mettiamola così: ma chi volete creda che in trent'anni nessuno si fosse accorto che Matteo Messina Denaro non aveva lasciato il suo territorio? Il boss si spostava in tre diversi “covi” che sono risultati semplici case, andava a spasso, andava in ospedale, telefonava, portava a cena una signora a Mondello, guidava: insomma faceva il cacchio che gli pareva sotto al naso non solo delle forze dell'ordine ma di una comunità che non si è mai chiesto chi fosse quell'Andrea sbucato dal nulla e che qualche somiglianza con le foto segnaletiche di quando Messina Denaro era giovane pure la presentava.
Tutti collusi? Tutti (giustamente) impauriti? Tutti distratti? Tutti mafiosi? Qualche cosa non torna. Per trent'anni, Matteo Messina Denaro uccel del bosco. Poi eleggono la Meloni e “bingo”: beccato. Qualcuno risponda. Perché quell'uomo crudele che ordinò di sciogliere nell'acido un tredicenne è lo stesso che trent'anni dopo intercettato al telefono dice (ad una Vispa Teresa che evidentemente non si è posta, ascoltandolo, alcuna domanda) mentre è bloccato nel traffico: “Ma quali commemorazioni per quel Falcone di questa minchia”. Affermazioni da Padrino.
Mettiamola così: gli hackers che hanno colpito 120 siti nel mondo sono dei delinquenti. Se facenti parte di una Spectre o di qualche Stato Canaglia, nessuno lo sa. Anche se appare improbabile che almeno il Mossad su di loro non abbia notizie. Contro delinquenti di queste entità le soluzioni sono due, considerata la pericolosità macroscopica delle loro azioni. I terroristi rubano vite sparando. Gli hackers dissolvono le vite premendo un bottone. Ergo: o li sopprimi. Senza processo, privandoli di ogni tipo di garanzia essendo gli hackers più pericolosi di qualsiasi banda armata. Oppure li arruoli. Li porti nel sistema come accade nel film “Prova a prendermi” dell'inafferrabile falsario Leonardo Di Caprio, finito a fare lo specialista per il governo degli Stati Uniti. Ma certamente non li lasci in libertà.
MILANO O CARA – Demens definivano i latini un delirante. Uno che non riesce ad afferrare la realtà. Mai mi permetterei di offendere il sindaco della città dove vivo. Ma cosa da cittadino devo pensare di un sindaco che ipotizza una ciclabile di fronte a Via Fatebenefratelli, sede della Questura di Milano? Si può arrivare a detestare un sindaco mullah in bicicletta che nel segno della trasformazione green ha imposto ai suoi cittadini la dittatura delle due ruote?
Se transiti ogni mattina in via Boccaccio verso Piazzale Cadorna (non si sa ancora per quanto, visto che nel segno del politicamente corretto, il nome di quel generale, i talebani del pensiero dominante lo vorrebbero rimosso) dovendo slalomeggiare tra bici, monopattini abbandonati, scooters prepotentemente posteggiati sul marciapiede ti senti violentato. Avesse almeno Beppe Sala la decenza di cambiare quel nome in “marcia-bici” considerato che non c'è ciclista che non consideri gli spazi che dovrebbero essere adibiti ai soli pedoni, in piste da percorrere a sostenuta, qualche volta a folle velocità, attentando all'incolumità degli sventurati cittadini che a Milano hanno la sfortuna di abitare.
Vigili? Mai visti. O meglio: solo quelli adibiti al verde. Quelli sono operativi in Via XX Settembre se ti azzardi a posteggiare l'auto (in zona la cosa è diventata quasi impossibile) sui “rialzi” tra due alberi. Non c'è un filo d'erba a terra, non si capisce quale “verde” gli addetti “curino”, ma se ti “beccano” ti multano. Ma devi avere un'automobile di vecchia data, di quelle che Sala vorrebbe vedere maciullate in un auto-demolitore. Perché quelle di ultima generazione la sfangano: quelle i “guardiani del verde” non le vedono. Anche se sono più numerose delle “vecchie signore della strada”. E' un uomo singolare Beppe Sala, ormai famoso per le tutine aderenti da pistard che ogni mattina sfoggia mentre si “allena” dando l'esempio ai concittadini. Area C, area B, presto area A: poi AA. Poi forse AAA.
Il paradosso è che nella città che vorrebbe imporre la pedalata anche agli ottantenni, la prossima Milano-Sanremo classicissima delle due ruote, pur continuando ad esibire il “logo”, inizierà da Abbiategrasso, che ha “coperto” le spese (pulizie e straordinari dei vigili) a RCS, visto che Sala ha declinato l'invito. Così fan tutti: anche in Francia e in Belgio. Le “classicissime” partono e arrivano da luoghi impensabili che violentano la tradizione, come ben sanno gli appassionati del Giro d'Italia, “esportato” ovunque fuori dal Bel Paese. Con tutto il rispetto per Abbiategrasso: non si può andare a cenare da Cracco per ritrovarsi nel piatto gli spiedini della “Sora Lella”.
Beppe Sala, non lo sa, probabilmente: lui va in bici e quindi in Via Hoepli, che pure è poco distante dal suo ufficio a Palazzo Marino, difficilmente, immagino, andrà. Ci andasse potrebbe constatare lo scempio perpetrato dai suoi assessori: per camminare, magari per andare nell'omonima, premiata Libreria, devi metterti in fila indiana. Perché i locali si sono “divorati” il marciapiede, mettendo tavoli e sedie quasi a ridosso delle vetrine dei bar. Per ora la Hoepli si è salvata. Ma non è detto possa farlo a lungo. Sala ha bisogno di quattrini. I negozi in Galleria (ormai è solo fashion, terzo polo cittadino dopo Montenapoleone e Spiga) hanno affitti impossibili per gli “umani”. Milano è costosissima.
Sala ha vere erezioni quando commenta il “turismo” che ha internazionalizzato la città. Ma dovesse mai fermarsi a riflettere, si accorgerebbe che Milano sta entrando nel trip che ha dequalificato Venezia: il “mordi e fuggi” di gente che transita dal Duomo alla Galleria (dove si sprecano i selfie di culi in posa), ignora la Scala, va in Montenapo (spesso a guardare più che a comprare) e in 24 ore torna da dove è venuta. Senti parlare tutte le lingue del mondo tra il Camparino, Armani, Gucci, Prada e Vuitton: tranne che il milanese. Del resto il Corriere della Sera ha pubblicato una inchiesta segnalando che per bolla immobiliare e affitti non sostenibili, dal 2020 sono state chiuse 549 botteghe storiche con almeno 40 anni di attività. E' la Milano che piace a Beppe Sala. Che non ha messo un euro per aiutare i negozi a conduzione familiare. Tutele?
A Sala piace la rigenerazione urbana che nei quartieri provoca autentiche metamorfosi. I dati sono di Confcommercio per una realtà inarrestabile. Ha raccontato Ariberto La Rocca titolare dell'Antica Cartoleria del Novecento in Piazza Risorgimento, ultracentenaria (124 anni) attività che sta per chiudere: “Tanti riconoscimenti, anche da parte della Regione. Ma è fumo negli occhi, perché quando c'è bisogno, nessuno aiuta”. Gli investimenti di Sala sono nelle ciclabili, nelle rotonde da vietare alle auto (come accadrà a Piazzale Loreto), nelle zone verdi che se va bene nessuno frequenterà, se va male diventeranno presidi prossimi venturi di delinquenti, trapper, sbandati di ogni tipo. Dove i vigili non vanno neppure sotto tortura e dove anche Carabinieri e Polizia hanno difficoltà ad intervenire. Come insegnano le brutali cronache dei parchi cittadini e di zone sensibili come la Stazione Centrale. La cosa più inquietante nella Milano di Beppe Sala è l'indifferenza che l'amministrazione dimostra verso gli anziani: prime vittime dei radicali cambiamenti, commerciali e urbanistici.
La radicalizzazione del collettivismo del Centro Commerciale e del Supermercato che esclude il dettaglio, il particolare, il rapporto umano tra chi acquista e chi vende: quel rapporto di fiducia che una “catena commerciale” rende impossibile. Dove il cliente non è una persona, ma solo un numero da “sbrigare” velocemente alla cassa. Milano una volta era celebre per avere sempre “il cuore in mano”. Oggi la sua cultura e la sua tradizione socialiste sono state sostituite da un affarismo cafone nei modi e nella sostanza. Se abbandoni le periferie, gonfiando il petto per i “lustrini” del centro, stai creando le condizioni per il disastro. Prima o dopo anche i marchi più celebri (Brooks Brothers, Ralph Laurent chi erano costoro?) fanno i bagagli. Segnali. Beppe Sala ha in giunta alcuni ottimi assessori. Altri, decisamente pessimi. Non aggiungo altro.
ANARCHIA – Cospito ancora non mangia? La notte dormo egualmente. Cospito è un criminale che ha sparato alle gambe ad un uomo. Che aveva progettato un attentato ad una caserma dei Carabinieri che solo per puro caso non ha provocato una strage. La legge lo tratta come un mafioso pericoloso? Fa bene la legge a trattarlo in questo modo. Tentare di rieducare chi non si è mai (come Cospito) pentito per le sue azioni è fatica sprecata. Persino Cesare Beccaria, uno come Cospito, lo avrebbe mandato a quel paese.
Non entro nella dinamica politica. Dalmastro e Donzelli sembrano i protagonisti di un comico fumetto. Ma sostenere abbiano violato segreti di Stato è una idiozia: quei “segreti” erano stati spiattellati prima dell'intervento di Donzelli in Parlamento da un quotidiano con 24 ore di anticipo. Ma certamente Donzelli non ha mostrato né garbo, né misura nei confronti dei parlamentari del Pd che Cospito erano andati a visitare. I parlamentari spesso lo fanno di andare dai carcerati. Pannella lo faceva sistematicamente. Le carceri italiane sono uno schifo, dove i suicidi si sprecano. Ma sono per lo più proprio i “visitatori” ad opporsi alla costruzione di nuovi e più funzionali istituti di pena. Sono i “visitatori” ad opporsi ad esempio al trasferimento dei carcerati in un luogo più adeguato e moderno di quanto non sia il carcere di San Vittore a Milano.
Ma questo è un paese bizzarro. Dove un “collegato” alla mafia va in televisione (dopo aver promesso di fare clamorose rivelazioni su politici, Stato e organizzazioni criminali), non dice una mazza, ma con mille sottintesi, forse millantando, forse mentendo, forse facendo uno “sporco lavoro”, di fatto minaccia per conto di quei gentiluomini che come Cospito vorrebbero la fine del 41-bis: carcere duro. Improvvisamente il 41-bis sembra essere diventato la priorità del Paese. Del resto fior di giornalisti “riformisti” ti spiegano che “in fondo” in trent'anni c'è stato un “solo” morto: quel Biagi (ucciso dalle Nuove Br) che aveva prodotto una riforma del lavoro. Ti spiegano che gli anarchici “sono quattro gatti”. E che il 41-bis è “disumano”. Che non c'è ragione di tenerlo in essere.
Come per la Russia del macellaio Putin, una parte dell'opinione politica e pubblica italiana è schierata dalla “parte sbagliata”. E fa niente se Baffone Stalin, massacratore di 20 milioni di kulaki (il resto mancia), sia stato celebrato da Putin in pompa magna, come padre della patria: i “cattivi” sono sempre gli americani. Per non parlare della “bionda”: serva di Biden e di Draghi, labara e borgatara: “inadatta” a governare. Letta Enrico lo spiega tutti i giorni. Nessuno è più critico con la sinistra (con questa odierna sinistra) di chi è stato “di sinistra”.
Quando occupavi l'università, venivi picchiato dai celerini e passavi la notte al fresco: non per difendere i Cospito (come accaduto a Roma alla “Sapienza” o a Torino, landa di impuniti anarchici) dal 41-bis. Ma per ottenere una mensa universitaria, per ottenere i piani di studio, per ottenere che i “baroni” si “degnassero” più di una volta al mese. Per ottenere una sessione in più di esami. Per ottenere che le stanze per gli studenti “fuori sede” fossero affittate a prezzi ragionevoli. Per ottenere di avere un rappresentante degli studenti nel consiglio di facoltà. Durò, poco: un paio d'anni. Poi arrivarono gli adoratori dei Marco Boato e dei Toni Negri. Quelli che pretendevano il “voto politico”. Quelli che ti ueggiavano durante gli esami perché avevi deciso di mollare il “movimento”. Quelli di Lotta Continua. Che erano i più violenti.
GUERRA E CANZONETTE – Ospitare il messaggio di Zelensky a Sanremo è giusto o no? Persino Piersilvio Berlusconi sul tema ha detto la sua: “Da cittadino, vorrei che a Sanremo ci fossero solo cantanti e musica”. Assonanza di intenti con Matteo Salvini. E' dura sostenere l'Ucraina mentre il prezzo del gas vola, al pari dell'inflazione. E' dura continuare a vedere una guerra che appare senza fine. Ma solo Putin può mettere fine al massacro. E' Putin da convincere. Zelensky è la vittima. Superior stabat lupus: è Putin il lupo che cerca ogni pretesto per sbranare l'agnello. Dice Conte Giuseppe contrario all'invio di armi all'Ucraina: “L'Italia, il governo Meloni attivino la diplomazia”.
E perché non lo fa lui, Conte Giuseppe? Lui che con Putin (che gli telefonò e in meno di un giorno gli mandò un contingente di 300 persone anti Covid, peccato che oltre la metà fossero militari e non medici e almeno un centinaio quasi certamente delle spie) ha avuto ottimi rapporti personali. Perché non lo fa Silvio Berlusconi che nella dacia di Puntin a lungo ha dimorato? L'amico Putin che gli mandò il “lettone”, diventato attrazione a Villa Grazioli? Lo Spirito mille volte rivendicato di Pratica di Mare: possibile sia andato totalmente disperso? Biden non è Bush, ma Putin è ancora Putin. Mai cambiato. Perché non lo fa Salvini, che con un partito russo vicino a Putin ha stretto (via Lega) una alleanza economica e politica? Il fatto è che i fautori della diplomazia, “il lavoro” vorrebbero lo facesse per loro il Papa. Che anche recentemente ha dichiarato di essere disposto ad andare ad incontrare sia Putin che Zelensky. Immagino se questi due signori dovessero creare le condizioni per arrivare almeno ad un cessate il fuoco. Un Papa non può sputtanarsi facendosi prendere in giro da chi la pace non ha intenzione di farla.
A proposito, signor Conte Giuseppe, ma li legge i giornali? Ogni giorno beccano truffatori (roba da 400.000 euro a botta) che hanno percepito indebitamente il reddito di cittadinanza. Reddito che ha salvato bisognosi e fragili, Ma che ha aumentato a dismisura la pigrizia di troppi. Che ha incentivato ancora più massicciamente il lavoro “in nero” (due redditi è meglio che one). E che ha scatenato la creatività truffaldina di chi ha assaltato la “diligenza”. Proprio nulla, signor Conte, da rimproverarsi? Le rammento che quelli non sono soldi “suoi” o del “movimento”, come in campagna elettorale ha fatto credere. Quelli sono soldi “nostri”. In minuscola parte anche “suoi”. Con un minimo di onestà intellettuale ora lei dovrebbe adoperarsi per sanare i guasti prodotti, invece che ragliare alla “luna”, incitando allo scontento sociale.
La mancanza di lavoro al Sud è una piaga. Ma al Nord non va tanto meglio. Del resto, non si è voluto un mondo dominato dalle macchine? Questi sono i risultati. Una volta pagavano solo i cittadini privi di un titolo di studio. Ora scopri che una laureata in ingegneria si è giustamente incavolata dopo essersi sentita offrire 900 euro al mese di stipendio. Come si fa a rimediare a questa situazione? Abbassando le tasse. Se lo Stato italiano sanziona ormai per quasi il 50%, a breve sarà impossibile trovare un posto di lavoro.
Spiace dirlo, ma il debito pubblico prodotto nei decenni è una montagna che pesa sulle spalle di tutti. Servirebbe una revisione ponderata del welfare. Ma soprattutto delle inutili spese. Della inutile burocrazia. A Roma i dipendenti pubblici (tra vigili, Atac, e via discorrendo) sono assenti dal lavoro nella percentuale di tre su cinque. Dite voi, politici, dica lei signora Giorgia Meloni, ma oltre mille “partecipate” sono davvero necessarie al paese? Renzi le aveva drasticamente ridotte ma non basta. Ora il parlamento si sta scannando sulla autonomia differenziata delle regioni. Che non deve e non dovrà penalizzare le regioni più deboli. Ma che vivaddio dovrà, dovrebbe imporre il principio che ogni “buon padre di famiglia” impone ai suoi cari: non si spende più di quanto si incassa alla fine di ogni mese. O no?
BASKET – Non parlo volentieri di basket. Ma l'esonero di Walter De Raffaele dopo 13 anni di lavoro alla Reyer, dopo due scudetti e un paio di Coppe, mi impone di raccontare il perché di una decisione tanto drastica, nonostante gli ottimi rapporti personali ed umani dell'allenatore con il proprietario Brugnaro e il presidente Casarin. La crisi di risultati (e nonostante una sontuosa compagna estiva di rafforzamento e rinnovamento) parte da lontano. Da tre stagioni la Reyer ha fallito ogni obiettivo, provocando una disaffezione nel pubblico, sfociata nelle ultime gare casalinghe, in aperta contestazione.
Le colpe di De Raffaele (gioco monotematico, abuso delle conclusioni da tre punti, paurosa involuzione in difesa a lungo marchio di fabbrica della Reyer made in WDR) sono risultate simmetriche a quelle della dirigenza (assenza di scountig, nessun giovane da valorizzare dal vivaio o dall'esterno, scelte discutibili nel corso degli anni, giocatori infortunati come Morgan, messi a posto per mesi salvo poi perderli a fine stagione, giocatori inadatti all'idea di squadra dell'allenatore), a quelle dei giocatori (protagonismo, nessun attaccamento alla maglia, involuzione rispetto a consolidate caratteristiche).
Nella presente stagione hanno fatto discutere i casi Freeman e Sima, “tagliati” in corso d'opera. Casi che hanno fatto venire in mente i precedenti Charalampopulos, Phillip, Sanders, Echodas. L'allenatore ha sempre detto la sua sul mercato. E proprio per questo aver “sbagliato” così tante volte la tipologia degli interpreti ha portato ad una situazione alla fine insostenibile. A volte prendi i Bramos, gli Stone, i Tonut, gli Haynes, i Daye (pur tra alti, bassi e lune) ma raramente capisci che la vera differenza te la fanno i Cerella con il loro agonismo.
De Raffaele ha fatto moltissimo per una Reyer che da decenni aveva perso l'abitudine a vincere. Prese il posto di Carlo Recalcati che fu giubilato per molto meno rispetto alla deriva inarrestabile presa da WDR. Del resto se perdi troppe gare per un canestro e mezzo qualche domanda sulla tua gestione dovresti portela. Casarin ha scritto all'amico Walter una bella lettera di commiato. De Raffaele, livornese garbato ma poco empatico, aveva sbroccato due giorni prima dell'esonero spiegando che lui a Venezia “non doveva dimostrare nulla”. Non sono i tifosi a “cacciare” gli allenatori. Li cacciano i proprietari, qualche volte i giornalisti, più frequentemente i giocatori. De Raffaele ha fatto poco per “catturare” i tifosi. La società ha fatto di peggio chiudendo lo storico blog della tifoseria che pur con molte critiche negli ultimi tempi (ferale per WDR il gesto della “paperetta” dopo una vittoria) non era mai andata oltre il limite dell'educazione.
Alla fine i tifosi, tanto erano entusiasti per la squadra femminile, quanto erano depressi per quella maschile. Una squadra di ragazze con lo spirito Reyer, capace di rimontare in Coppa 15 punti di scarto e di qualificarsi al turno successivo. L'altra, la maschile, incapace di reggere la pressione di gare “praticamente vinte” e malamente buttate. Walter De Raffaele a Venezia sarà ricordato. Il tempo rivaluterà (e alla grande) i trofei da lui conquistati. Ma non sarà mai “amato”. Venezia è una piazza difficile. Con una tifoseria sempre più anziana. Con una proprietà fantastica per impegno e disponibilità economica. Ma anche con un impianto inadeguato ad una società di blasone. La crisi della Reyer rispecchia, nelle modalità, quelle di Venezia. Città irriconoscibile, che i giorni del Carnevale trasformeranno in una sorta di Disneyland più che in una città che rincorre i fasti descritti da Canaletto, Guardi, Longhi. Raccontati a teatro da Goldoni. Celebrati da Casanova e in modo irriverente da Giorgio Baffo. Fino alla poesia della “letteratura disegnata” di Hugo Pratt, il viaggiatore che andava in giro per il mondo come Marco Polo.
Ad assistere alla sconfitta della Reyer contro Brindisi in tribuna c'era Pozzecco. Il Poz in Laguna ha “inimici” e sostenitori. Ma se c'è uno in grado di risollevare una squadra esangue e psicologicamente a terra, questo è il Poz. La galera oro-granata è finita tra i marosi. Questo è il tempo degli “attributi”. Come incitava i galeotti, il capovoga sull'ammiraglia di Sebastiano Venier (il comandante alto come un cestista e che soffrendo di gotta impartiva ordini in babbucce) a Lepanto, battendo il ritmo da battaglia: “Duri i banchi!”
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