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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
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I sentieri di Cimbricus / L'uomo che pennellava i distacchi

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Sabato 24 Dicembre 2022

 

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Vittorio Adorni – il ciclista che non amava gli stereotipi, ma coraggio ed ardimento – se n’è andato a 85 anni in uno dei pochi giorni dell’anno in cui quelli della carta stampata non lavorano. Capitò anche con Charlie Chaplin.

Giorgio Cimbrico

Una volta, a pranzo a Parma: un carrello di bolliti imponente. Vittorio Adorni si stupiva dell’esattezza dei ricordi del suo interlocutore. Secondo, Van Springel, a 9’56”, primo di un’altra corsa, era il “catenaccio” di Tuttosport. Mai più capitata una cosa del genere. Adorni sorrideva e assentiva. Quel ritaglio doveva essere nella sua collezione. 

Primo, sul circuito dei Tre Monti, a Imola (pubblico stimato, un quarto di milione), lui, l’elegante trentenne parmigiano di San Lazzaro che, confermò anche quel giorno, tra un boccone di testina e uno di petto di gallina non d’allevamento, che si era tenuto compagnia con le romanze di un suo conterraneo: c’è un parmigiano che non ami Giuseppe Verdi? Di sicuro cantò, nella testa, brani della Traviata, forse del Trovatore. 

Aveva un solido repertorio e soprattutto aveva tutto il tempo: da quando, sulla salita di Frassineto, aveva lasciato Rik van Looy, vecchio dittatore che voleva dare l’ultimo colpo di pennello alla grande tela dipinta in carriera, mancavano ottanta chilometri abbondanti, due ore come minimo. “Stia tranquillo – disse al CT Mario Ricci – non finirà in volata. Lo stacco e me ne vado”. Così, deciso. Come se il traguardo fosse dopo quello strappo. 

E così, se otto anni prima il 3 settembre era stato il giorno di Livio Berruti, il 1° settembre 1968 divenne il giorno di Vittorio Adorni, nel segno del coraggio, dell’ardimento, dell’esplorazione di se stesso e sui sentieri di una musica amata che gli risuonava nella testa, un’ottima compagna di fuga. 

Doveva essere il mondiale della sfida tra Eddy Merckx e Felice Gimondi e invece tutto si scombussolò sin dalle prime tornate, con molti azzurri all’attacco (Bitossi e Taccone, al solito, i più arrembanti) e un gregario di Felice, Lino Carletto che si agganciò ad Adorni, a van Looy e al portoghese Agostinho. I quattro presero sino a otto minuti, ne persero un paio quando il gruppo fece un timido tentativo di ricucire, ne guadagnarono altri quattro prima che Vittorio decidesse di andarsene: sulla maglia azzurra ombre di sudore. Quattro anni prima, a Sallanches, in Savoia, era stato piegato allo sprint dall’olandese Jan Janssen. Meglio provarci e non rischiare un’altra fregatura, come quella toccata a lui e a Raymond Poulidor. 

Quando suonò la campana, la tensione era svanita lasciando spazio all’attesa. Soltanto la caduta di un meteorite poteva abbatterlo. Il meteorite non cadde e Vittorio arrivo a braccia dispiegate. Dietro, nessuno. Necessari dieci minuti meno qualche secondo per vedere Herman van Springel anticipare il gruppo e passare il traguardo. Dancelli, Taccone, Bitossi, Gimondi davanti a quel poco che rimaneva del gruppo. Merckx ottavo. 

I malpensanti malpensarono che Eddy avesse dato una mano al suo luogotenente (alla Faema) che a sua volta gli aveva dato una grossa mano al Giro attirandosi l’ira degli italiani che tifavano Gimondi. Adorni amava i distacchi che lasciano il segno, che fanno la storia: vinse il Giro del ‘’65, con 11’ su Italo Zilioli e 12’ su Gimondi.

Era un uomo elegante, spigliato, intelligente, lontano dai vecchi stereotipi del corridore. Bruno Zavoli lo volle opinionista fisso al Processo alla Tappa. Finì anche in televisione, presentatore di un programma che, almeno nel titolo, quegli stereotipi riproponeva: “Ciao Mamma”. Presidente del consiglio dei professionisti all’interno dell’UCI, assessore allo sport a Parma, se n’è andato a 85 anni in uno dei pochi giorni dell’anno in cui quelli della carta stampata non lavorano. Capitò anche con Charlie Chaplin. 

 

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