Italian Graffiti / Le 66 facce della giustizia sportiva
Venerdì 9 Dicembre 2022
Parliamo di calcio: “La gente chiede chiarezza, pulizia, comportamenti limpidi; chiede che venga garantito l’onore a questo mondo straordinario che fa parte a pieno titolo del sistema industriale del Paese”. Andrea Abodi dixit.
Gianfranco Colasante
Nei giorni scorsi – con inusuale senso di opportunità (“mondiali” senza l’Italia, le irrisolte vicende delle designazioni e delle plusvalenze, e il caso Juventus che rischia di scoperchiare la “giara” di Pandora) – la FIGC di Gabriele Gravina ha presentato il nuovo codice federale di giustizia. Ovviamente sotto lo sguardo corrusco del Duce. Lo ignoravo, ma me lo sono trovato sul computer grazie ad una informativa su FB di Antonello Valentini.
Per i più giovani: laurea con una tesi sulla “responsabilità penale” e passaggi al Corriere della Sera e alla RAI, prima di arrivare in FIGC dove è rimasto 27 anni da capo ufficio stampa e poi da potente direttore generale. “Affidato a un avvocato di larga esperienza e di solida preparazione come Giancarlo Viglione da anni al vertice dello staff giuridico della Federcalcio – precisa Valentini –, il codice” vuole essere “uno strumento prezioso per le società di calcio, per gli uffici legali, per gli esperti di diritto sportivo, per i giornalisti e per tutti gli operatori del settore.” Appunto.
Non ho motivo di dubitare delle affermazioni di Valentini – figlio d’arte e non solo (suo fratello Giovanni è stato vice a Repubblica e direttore all’Espresso) – che per i suoi trascorsi nel Gotha del giornalismo molte ne ha viste e molte ne sa. A pieno titolo nel club che conta, anche dall’alto di sette “mondiali” e sei “europei”. Rammento che negli ultimi miei giorni al Foro Italico, venne a farmi un lavata di capo perché, improvvidamente, avevo pubblicato su lo Sport Italiano (il mensile del CONI) un articolo di Ruggiero Palombo che metteva in guardia dall’entusiasmo che aleggiava nel Palazzo sulla quotazione in borsa delle società di calcio. A quale titolo lo facesse, non era chiaro. O forse si.
Tornando alla presentazione, nel parterre, informa sempre Valentini, era radunata la solita bella gente, dal vice-guardasigilli Francesco Paolo Sisto all’avvocato generale dello Stato, Gabriella Palmieri Sandulli (tra l’altro presidente del collegio di garanzia del CONI). “Tempestività e celerità devono sempre più caratterizzare il lavoro della giustizia sportiva, sulla base di norme chiare e perentorie –, hanno detto tutti –, confermando l’impegno ad accelerare i tempi di indagini e sentenze.”
Prendiamone atto. Non poteva ovviamente mancare il neo-ministro dello Sport, Andrea Abodi che – traggo sempre dal post su FB – pare essere stato il più prudente: “la gente chiede chiarezza, pulizia, comportamenti limpidi; chiede che venga garantito l’onore a questo mondo straordinario che fa parte a pieno titolo del sistema industriale del Paese”. Ignoro chi avrebbe l'onere di garantirlo.
Questa lunga premessa perché la faccenda della giustizia sportiva – a mio modesto parere – meriterebbe una riflessione più ampia che con l’andar delle cose appare sempre più opportuna. Come ha cercato di fare recentemente Sergio Rizzo (ricordate “La Casta”?) nel suo ultimo saggio: “Potere assoluto”, un volume pubblicato a primavera da Solferino e incentrato sui “Cento magistrati che comandano in Italia”. Quelli che animano il sistema amministrativo, con una datata tendenza ad esprimersi al meglio nello sport: intendo nel calcio, certo, ma anche nel CONI e nelle altre Federazioni.
Dico datato, perché ricordo a me stesso che già il malcapitato Mario Pescante, da presidente del CONI, aveva dovuto verificare ai suoi tempi che i magistrati “impegnati” nello sport non erano, come gli avevano fatto credere, “solo” 156 ma addirittura 173. Da quei numeri straripanti – correva il Natale del 1997, Veltroni vigilante a Palazzo Chigi –, partì una complessa mediazione con il CSM per far scendere il totale a 70 unità, un corposo cenacolo poi concordato a 66 magistrati ordinari, ma “con salvaguardia integrale di tutti gli organi giudicanti del calcio a livello nazionale” (come scrisse la Gazzetta, 27 Dicembre 1997).
Da quei lontani giorni è trascorso un quarto di Secolo e – a stare a quanto si legge – pare che il tempo di sia cristallizzato e la presenza, l’influenza e il peso, della magistratura sia il solo aspetto immutato e immutabile nello sport nazionale. Circostanza che salta in evidenza già dalle prime pagine del libro di Rizzo dove l’accento viene posto sulle prerogative dei consiglieri di Stato, alti magistrati – “che hanno il potere di emettere sentenze su ogni causa che contrapponga la società civile alla pubblica amministrazione” – e che monopolizzano l’intero sistema giudiziario sportivo. Curiosamente si scopre poi che il loro numero è oggi pari a quanto concordato dal CONI di Pescante nel 1997: sono sempre 66. Semmai molto, ma molto più potenti. Si può solo notare che quel traguardo è stato toccato nel 2021, regnante Malagò, con una decina di nuove cooptazioni rispetto al passato.
Riepiloga Rizzo: “La maggior parte di loro gira attorno al pallone. Dei 66 magistrati di cui sopra, ben 42 sono negli organi di giustizia sportiva di una sola delle 44 federazioni sportive affiliate al CONI, ossia la Federcalcio: 13 consiglieri di Stato, 19 giudice del TAR, 9 contabili e un militare. Altri 14 li troviamo, appunto, al CONI: 6 consiglieri di Stato, 4 dei TAR, 3 della Corte dei conti e uno della Procura militare. Se poi calcoliamo i 4 magistrati in forza all’antidoping, non ne restano che 6 nelle 43 federazioni diverse dalla FIGC. Magistrati ordinari, al contrario, zero carbonella. O meglio: ci sono anche loro, ma pensionati.”
Difficile districarsi tra le centinaia di nomi eccellenti e tra i tanti casi sciorinati dal libro del vice-direttore di Repubblica (che si apre con la bizzarra vicenda Juventus-Napoli del 2020, risolta da Franco Frattini tanto per restare all’argomento, …). In quelle pagine si rintraccia anche Giuseppe Chiné, già capo di gabinetto del ministro Franco all’Economia, il soglio dove “si scrivono provvedimenti di natura fiscale che hanno impatto assai significativo anche sul mondo dello sport e del calcio”. Oggi a Chiné, dal dicembre 2019 a capo della procura federale, è affidato il caso Juventus dove non sarà agevole districarsi tra plusvalenze e stipendi fantasmi. E trovare il tempo per farlo.
Per la conclusione, mi affido sempre a Rizzo: “Che il problema del cortocircuito fra incarichi nella giustizia sportiva e il lavoro di magistrato amministrativo non sia soltanto la fantasia di qualche inflessibile moralità, bensì una faccenda piuttosto seria”, se ne accorsero anche in Parlamento. Tanto che un gruppo di senatori – all’indomani della sentenza De Lise/Lotito – rivolsero una interrogazione chiedendo che il governo dichiarasse l’incompatibilità per “magistrati del TAR e del Consiglio di Stato ad assumere incarichi nella giustizia sportiva della FIGC e del CONI”.
Risultato? Richiesta archiviata e “siccome la magistratura è indipendente, il governo se ne lava le mani”. Presidente del Consiglio era allora Berlusconi. Chissà come andrebbe oggi, con il guardasigilli Carlo Nordio che intenderebbe riformare la giustizia partendo dalle intercettazioni (proprio quelle su cui si basano in gran parte i guai della “vecchia signora”) e, soprattutto, con la presidente Giorgia Meloni che alle pressioni normative ed economiche del calcio ha già detto seccamente no. Chi vivrà, vedrà.
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