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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Italian Graffiti / Oggi provo a raccontarvi una storia

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Domenica 6 Novembre 2022
 
 

Riemersa dal giardino della memoria –, per chi c’era e l’ha dimenticato e per chi non c’era o forse non era nato –, una storia di più di quarant’anni fa. Che narra di un giornale di atletica, o meglio, “Il Giornale dell’Atletica”. Dunque, …

Gianfranco Colasante

Eravamo all’inizio degli anni Ottanta, quelli che a fine decennio ispirerà Raf a San Remo. La data esatta è il 15 Marzo 1981, come dire più di quarant’anni fa, quando tutto era ancora diverso e più genuino: quel giorno apparve in edicola “Il Giornale dell’Atletica”. Con una premessa: tra le tante pubblicazioni sulle quali (indegnamente) ho lasciato la firma, quel giornale è quello che più m’è rimasto nel cuore. Forse perché è proprio da lì che arrivava. Ma cominciamo dal principio.

Tutto nacque da una chiacchierata con un collega che dirigeva una piccola agenzia di comunicazione che molto si alimentava con l’AGC, l’agenzia quotidiana del CONI erede della AIS del primo dopoguerra fondata da Alberto Ugolini. Quel dinamico e (fin troppo) fantasioso collega si chiamava Giancarlo Galdi (penultimo esponente di una dinastia, parimenti con i Giubilo, che ha marcato il giornalismo romano). Aveva comperato per la sua agenzia – ordinandola in America – un’apparecchiatura IBM per la composizione grafica appena messa sul mercato e mi chiedeva qualche suggerimento per utilizzarla al meglio.

A quel tempo, ancorato alle vecchie e sferraglianti linotype a piombo, scoprii che si trattava di un salto nel futuro, primo attraversamento della linea (ma non si sapeva ancora) tra analogico e digitale. Nella fattispecie era un grosso cubo azzurro da cui sporgeva solo una tastiera. Nessuno schermo, ma solo una finestra luminosa nella quale scorrevano i testi che una giovane tastierista memorizzava. Salto a piè pari altri dettagli: la vera novità era che la macchina, una volta impostati carattere, corpo e giustezza, era in grado di restituire i testi già sui trasparenti pronti per il tavolo luminoso. Per chi ha un minimo di dimestichezza, era come salire su un’astronave.

Così prese corpo quella testata, registrata in Tribunale a marzo 1981: un autentico trionfo dell’artigianato e della fantasia. Ma volevo fare qualcosa che non c’era stata prima (scusate, una mia debolezza). Così pensai ad un formato inusuale e inedito, 33 cm d’altezza e 23,5 di larghezza, lo stesso del bollettino “Atletica” riesumato da Zauli nel 1946: un formato da giornale più che da rivista, ma ammodernato. La trovata – anche per tenere al minimo le spese – era di ricavare le 16 pagine della pubblicazione da solo foglio 70x100 stampato a “quattro colori solo in bianca”, come si diceva allora. La “volta” restava in nero.

Ma le vere caratteristiche erano la frequenza quindicinale (mutuata dal Track&Field News di quegli anni), l’articolazione su molte rubriche e, soprattutto, una grafica sfacciata e pretenziosa della quale vi propongo qualche esempio. Nove/dieci pagine erano per l’attività italiana, il resto per l’estero. Il lavoro non era poco, ma divertente e stimolante: i momenti più impegnativi erano l’ideazione e la raccolta del materiale, e soprattutto, quella serata che sconfinava nella notte richiesta per il montaggio che facevo da solo sul tavolo luminoso millimetrato. La stampa e la confezione delle 3000 copie, affidata ad una piccola cooperativa di zona, richiedevano poche ore. Poi i giornali partivano per le edicole romane (e solo quelle) al costo di 1000 lire a copia (un quotidiano allora ne costava 300). Molti anni dopo, Valerio Piccioni mi disse d’averlo acquistato proprio in edicola: lieto di aver contribuito in piccola parte ad una vocazione.

Ma nell’impresa non era solo. Il primo a cui mi rivolsi fu Alfredo Berra: il “profeta” riprese a scrivere proprio per il “Giornale dell’Atletica”, dopo che assieme a Giorgio Lo Giudice (vero motore di quell’operazione) – su segnalazione di Gianni Romeo – lo avevamo “ritrovato” sulle montagne piemontesi e riportato a Roma a bordo di un’autombulanza messa a disposizione da Sandro Bartolozzi, creando attorno a lui quel gruppo di amici che lo ha sostenuto fino agli ultimi giorni.

Poi vennero altri, da Vanni Lóriga a Oliviero Beha, da Ottavio Castellini ad Eugenio Capodacqua, allo stesso Giorgio, ad Erminio Marcucci, a Gianni Rossi (che lasciò presto lo sport per una importante carriera in RAI), a Sandro Pellacani e a due giovani che muovevano su quelle pagine i primi passi: Raoul Leoni e Marco Martini. Sperando di non aver dimenticato nessuno. La regola era fissa per tutti: scrivere per il “Giornale” era gratis, nel senso che non si doveva pagare nulla.

Ma come tutte le storie, specie le più belle, anche questa ha una fine. Semmai quella che toccò in sorte al “Giornale” fu più breve delle altre. Videro la luce solo quattro numeri: il quinto, già pronto, rimase melanconicamente sul tavolo. I costi non proprio indifferenti della stampa, ebbero la meglio sulla passione e sull’incoscienza di fondo. Come capita sovente. Resta intatto il piacere del ricordo (di cui vi faccio partecipi) e, più in fondo, un po’ di rimpianto per quella lontana stagione.

 

 

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