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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
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Duribanchi / Quando Milano era ancora diversa

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Martedì 1° Novembre 2022

 

san-siro 

“Erano tempi nei quali prima per lavoro e poi per passione andavo a San Siro, che ancora non si chiamava Meazza, a vedere il Milan e l'Inter. Rammento la prima volta che incrociai sui banchi della tribuna stampa Gianni Brera, e …”.


Andrea Bosco

In attesa che il nuovo governo a guida Meloni produca provvedimenti veri su caro bollette, povertà, strategie energetiche, mala giustizia, sanità (magari evitando il “liberi tutti” che piace a certi partiti e a certi giornali, visto che il Covid ancora non è stato derubricato a mera influenza e “Cerberus” si annuncia ringhiante), scuola da riformare, sicurezza nelle città da potenziare, due parole su Milano. Che i compagni di “tifo” Sala Beppe, sindaco in carica, e Moratti Massimo, ex-presidente della Beneamata, hanno recentemente magnificato nel segno del “bello”.

Sorvolando sul “brutto” che dalle periferie (lande storicamente abbandonate al degrado e alla delinquenza) si è esteso fino in Piazza Duomo. Nell'orrido “palmeto” di fronte alla cattedrale e ad ogni angolo dei colonnati. Uomini disperati senza fissa dimora, indigenti e lasciati al proprio destino che dormono, mangiano, bivaccano, elemosinano, espletano i bisogni corporali senza che nessuno provveda alla loro “decenza”. Il fetore di piscio che emana la domenica mattina dal colonnato di Piazza Borsa è insopportabile. Ma i turisti si tappano il naso, estasiati dal “Dito” di Cattellan, meta di mille e mille selfie. A parte i City Angels, tutti si voltano da un'altra parte quando incrociano la miseria. Anche se è difficile persino aiutare. Lo dico per esperienza personale. Non infrequentemente questi “ultimi” rifiutano di essere aiutati. Molti temono di perdere la libertà. La maggior parte ha scelto la strada come dimora.

Abito a Milano dal 1971. E nonostante il mio sangue lagunare ribolla ad ogni battere di remo, la considero la mia città. Qui è nata mia figlia. Qui ho trovato lavoro e un poca di notorietà. Lavoro che mi ha permesso di comprarmi la casa dove abito e di provvedere con qualche agio alla mia famiglia. Sono grato a Milano: avevo voglia di lavorare e Milano mi ha permesso di farlo. L'ho vista “milanese”, e anche xenofoba, con i portoni delle pensioni che appendevano il cartello “non si affitta ai meridionali”.

NEBÌUN – “Vincenzina fuori la fabbrica”, non era ancora la canzone di un memorabile film con Ornella Muti. L'ho vista attiva e solidale, Milano (come in Corso Magenta, dove le Stelline ancora non erano state restaurate e consegnate agli spazi espositivi), anche nelle zone del centro divenute oggi “radical chic” e che nella stagione della mia “iniziazione”, erano ancora popolari. L'ho vista modernizzarsi attraverso la Metropolitana, le varie linee che nel tempo sono sorte. C'era il “nebiùn” in autunno. E lo smog era spesso. Ho visto crollare sotto la neve un Palasport edificato inizialmente come velodromo. Ho visto al “Derby” Cochi e Renato, Gaber e Jannacci quasi bambini. Ho lavorato alla RAI (differenza di un piano) con Beppe Viola, aiutato al mio esordio in Corso Sempione dall'indimenticabile segretaria di redazione Franca Viola che di Beppe era la moglie.

Ho ascoltato Frank Sinatra che a Las Vegas avevo “mancato” (rifacendomi peraltro con Dean Martin). Ho visto sorgere la skyline là dove erano i giostrai delle Varesine e, al Portello, altre torri, dove un tempo si fabbricavano le Alfa Romeo: la mia seconda auto dopo una Cinquecento. Presa con seimila chilometri sul tachimetro: una di quelle che “congedavano” i dirigenti e si potevano acquistare a prezzi mitigati. Era una “Giulia”. Ho vissuto gli anni del terrorismo. Ho visto cadere, sotto i colpi delle Br e dei loro simpatizzanti, amici come Walter Tobagi: “colpevole” di aver scritto che i terroristi “non erano samurai invincibili”. Ho vissuto le stagioni esaltanti della Scala e del Piccolo Teatro: ci andavo da spettatore, senza immaginare che un giorno avrei commentato le loro “prime” per le reti nazionali della RAI. Ho conosciuto e intervistato Giorgio Strehler che era geniale e insopportabile. Quasi come Riccardo Muti. Però Strehler non ci teneva (come Muti) a risultare simpatico.

Ho visto cambiare molti sindaci. Bravi e meno bravi. Ho visto introdurre ai tempi della giunta Formentini i jumbo tram di Strasburgo, nonostante a Milano l'aggiramento delle curve si presenti per quel tipo di mezzi complicato. Ho visto Albertini, grazie ad un illuminato assessore alla cultura, Salvatore Carrubba, cambiare a Milano il volto della medesima. Persino più di quanto l'allora assessore socialdemocratico Paolo Pillitteri, che anni dopo sarebbe diventato sindaco, non avesse fatto consegnando la città agli affichistes e ai dadaisti che tiravano ai passanti in Galleria, innocue “bombe” di colore che suscitavano scandalo tra i benpensanti. Ho visto Letizia Moratti conquistare, con determinazione, quell'Expo che poi sarebbe stato usufruito da altri sindaci. Ho visto (con dolore vero) chiudere “Brigatti” tempio della moda british che conoscevo dai tempi del liceo, visto che un mio compagno, là comprava anche per me, le regimental Vivax che allora ti facevano prendere “punti” presso le ragazzine nostre coetanee.

BRERA – Erano tempi nei quali prima per lavoro e poi per passione andavo a San Siro, che ancora non si chiamava Meazza, a vedere il Milan e l'Inter. Rammento la prima volta che incrociai sui banchi della tribuna stampa Gianni Brera. Aveva un suo rituale: sempre eguale mi dissero. Pipa (se non rammento male), taccuino degli appunti, orologio da taschino con catena sul banco. La partita era Milan-Ternana. Al secondo assalto degli ospiti Brera gorgogliò: “Come osate … ternani!”.

Non era la prima volta che lo vedevo. Collaboratore del Guerin Sportivo mi aveva informato Aldo Giordani (l'imprescindibile maestro che per me aveva inventato lo pseudonimo Andy Wood con il quale firmavo i pezzi sul basket USA che scopiazzavo da Sport Illustrated), che Brera ogni giovedì sera teneva un simposio tra amici in un allora notissimo ristorante di pesce. Così mi imbucai. Non seduto a quel tavolo, ma in piedi con qualche altro curioso. Compresi perché Brera era stato paragonato da Umberto Eco a Gadda. Lui non gradì, definendo “Gadda un dannunziano salvato dal vernacolo”. Colpi di spada tra grandi. Con Gino Palumbo, per via di Gianni Rivera, finì con una sfida a duello. Motivo del diverbio, quell' “abatino” inventato dal genio di San Zenone Po dopo la disfatta subita dalla Nazionale con la Corea.

Insomma: ne ho viste tante. La Milano da bere. Le discoteche dove la “neve” scorreva (e forse ancora scorre) a chili. Il basket al Palalido dove regnavano da una parte Jura e Sales, dall'altra Brumatti e Rubini: nello spazio stampa regnava l'Orso, spettacolo nello spettacolo. Rifiutai un piccione crudo e sanguinolento a Gualtiero Marchesi quando il giornale per il quale allora lavoravo mi mandò all'inaugurazione del suo locale in Bonvesin della Riva a celebrare la nouvelle cousine. Mi disse: “Ti faccio fare un filetto, ma non sai cosa ti perdi”. Anni più tardi, rammentando la mia scostumatezza, disse: “In effetti ...”.

Andavo al Meazza: da anni non ci vado più. Per un semplice motivo. Alla mia età l'idraulica deve essere con frequenza soddisfatta. Ma i bagni del Meazza sono indecenti. E quasi serviva “prenotarsi” per andarci. Come in Galleria per bere un caffè (ometto il costo) da Cracco.

ULTRAS – Bagni indecenti. Come la curva dell'Inter che – appreso durante l'ultima gara della squadra di Inzaghi della morte (assassinio in strada) del capo ultras Vittorio Boiocchi –, alla fine del primo tempo si è alzata in massa in segno di lutto. Non paga, per omaggiare “lo Zio” come veniva chiamato il pluri-pregiudicato, la curva ha imposto agli spettatori non legati al tifo organizzato di uscire con loro. A forza di spintoni, insulti, minacce, cazzotti. Padri di famiglia con bambini costretti a fuggire dai teppisti sotto lo sguardo assente (ed impotente) di steward e poliziotti.

Boiocchi è stato freddato in strada. Forse non per cose attinenti al tifo, visto che era uno che in stile mafioso, dopo aver “operato” in vari settori dell'illecito, ultimamente taglieggiava posteggiatori e venditori di panini fuori dallo stadio. Boiocchi considerava il Meazza la sua cassaforte: migliaia di euro che ogni mese finivano nelle sue tasche. Un ceffo protervo che uscito di galera si era rimesso in loschi affari. Vedremo se una luce si accenderà sulla scrivania del neo ministro degli interni, Piantedosi. La risposta del neo parimenti ministro dello Sport, Abodi, è stata tiepida: ha detto che si “informerà”.

La violenza negli stadi non è cosa nuova. E gli ultras sono (sovente) feccia: con qualsiasi casacca. Ma quello che è successo al Meazza è senza precedenti. E francamente disgustoso. Informarsi non basta. L'Inter ha emesso un comunicato nel quale “condanna ogni episodio di coercizione”. Non basta. Silenzio tombale (finora) da FIGC e Lega. I responsabili dei fatti, vanno perseguiti per le intimidazioni e le violenze. Poi esiliati dallo stadio per qualche anno . Esiliati dal calcio. Ma soprattutto dai loro lucrosi, malavitosi affari .

 

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