Italian Graffiti / Per fortuna e' rimasto in piedi l'obelisco
Martedì 13 Settembre 2022
Ultimo effetto in ordine di tempo della riforma dello sport voluta dai vari governi, il trasferimento coatto del registro sulle società/associazioni dal CONI alla Presidenza del Consiglio dei Ministri a Palazzo Chigi. Che più?
Gianfranco Colasante
Domenica pomeriggio m’è capitato – colpa del telecomando – di precipitare non volendo nella mezz’ora televisiva “In più” di Lucia Annunziata che su RAI-3 ospitava “operatori” della campagna elettorale di Forza Italia. In un cantuccio del tavolo figurava anche Valentina Vezzali, com’è noto anche ai più distratti, candidatasi a medaglie spiegate con la compagnia del Cavaliere.
Oggi sottosegretario in prorogatio per lo sport, domani probabilmente ministro (mi dispiace per la Treccani, ma io resto all’antica) a pieno titolo con il medesimo incarico. Sarà un bene o no, si vedrà: dopo quello che ho ascoltato i miei dubbi si sono rafforzati.
Ma quel che più mi ha colpito dell’intervento della signora Vezzali – tutto verificabile su Youtube – è la risposta ad una domanda sull’incidenza della politica sullo sport: o meglio, la sua non risposta. Riepilogo: un giornalista le chiede un commento su una recente frase di Giovanni Malagò: “La politica dovrebbe occuparsi di sport e non occupare lo sport”. La signora sottosegretario, piuttosto in difficoltà sull’argomento, dopo essersi rifugiata nel refrain delle medaglie (“è bravo il CONI a potenziare le Federazioni” [sic!]), contesta l’affermazione di Malagò, per concludere, lapidaria, che per lei (e quindi per Forza Italia, presumo): “il CONI deve fare il CONI, occuparsi dell’alto livello e della preparazione olimpica, quello per cui è nato”. Ma non c'era stato lo Sport Day di Berlusconi e la promessa di eterna autonomia per lo sport? Devo essermi distratto.
Nella sua banalità, si potrebbe sottolineare che l’affermazione non ha neppure il pregio dell’originalità: l’avevamo già ascoltata, parola per parola, negli anni scorsi da Giorgetti (Lega) e poi da Spadafora (M5S). Cambiano le bandiere, ma la politica – divisa su tutto – resta appassionatamente compatta contro il Comitato Olimpico, oggi svuotato di tutte le sue prerogative. Proprio quelle “per cui era nato” nel lontanissimo 1908, gentile signora Vezzali, fondato dalle Federazioni. Anche perché la spoliazione continua, anche se non si comprende dove sia la regia “politica” e quali fini abbia, tanto più che siamo a meno di due settimane dalle nuove elezioni.
Ultimo atto in ordine di tempo, la circolare di Sport e Salute che dal 31 Agosto ha tolto al CONI anche la tenuta del Registro delle società sportive dilettantistiche per trasferirlo al misterioso Dipartimento per lo Sport sedente presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Un trasferimento coatto di milioni e milioni di dati tecnici, organizzativi e soprattutto sensibili che la loro casa naturale l’avevano proprio nel CONI e nel quale avevano abitato da sempre. Quale sia la ratio e quale uso si intende farne è ignoto. Si sa solo che il tutto è avvenuto “ai sensi del d.lgs. 39/2021”, come recita l’atto di requisizione firmato dal presidente/AD Vito Cozzoli, un funzionario designato dal M5S e in scadenza di mandato. A questo punto mi torna in mente una frase di Donato Martucci – storico capo-ufficio stampa d'un altro giornalismo, braccio destro (e sinistro) di Giulio Onesti –: “Ad abbattere il CONI riuscirà solo Mister Burocrazio”. Profetico.
A chi è fuori dagli opposti corridoi del Foro Italico – ma con bagno in comune –, poco o nulla interessa se ci sono stati o meno accordi precedenti o premeditati tra Malagò e Sport e Salute; interessa l’azione in sé – che nella sua banalità riveste un significato pienamente “politico” – e, soprattutto il futuro della istituzione CONI, argomento che dovrebbe allarmare chiunque ha un minimo di interesse per lo sport, qualunque accezione voglia darsi al termine. Alla luce di quanto sopra, risulta ancora più imbarazzante la non-risposta del sottosegretario Vezzali – che non poteva non sapere dello scippo già programmato e la sua scansione temporale – in merito alle preoccupazioni di Malagò, ora trasformate in certezze assolute.
Gli effetti della cosiddetta riforma dello sport, datata dicembre 2018 a firma Lega e M5S – due partiti oggi di peso molto ridotto rispetto a quei giorni –, stanno creando dei disastri dai quali sarà difficile riemergere in maniera razionale. Una partita nella quale si ignora chi, o per conto di chi, sta dando le carte, e per di più col sospetto che le carte siano pure segnate. Si può disquisire come si vuole, sciorinare tutto il repertorio del populismo più di maniera o di moda, ma resta il fatto che in questa pluralità di soggetti sarà problematico orientarsi per il nuovo governo, di qualunque tendenza o colore esso uscirà.
Restiamo sul tema. Nel corso degli ultimi quattro anni – curiosamente coincidenti con notevoli successi sul campo (circostanza che, paradossalmente, ha convinto i “politici” della bontà della riforma: altro effetto perverso) – al Comitato Olimpico sono stati via via sottratte tutte le sue prerogative: i dipendenti, gli impianti, l’istituto di medicina, i fondi (ridotti ad un misero 10% rispetto al passato), il finanziamento alle Federazioni e agli altri organismi associativi, e ora anche il riconoscimento giuridico delle oltre 115.000 società dilettantistiche, malgrado i tanti disguidi che stanno emergendo con la “trasmigrazione” dei dati e l’inevitabile ricorso (a pagamento) a stuoli di notai. Tutto in forza di legge, ovvio, ma a pochi giorni da elezioni che potrebbero scompaginare l’intero quadro politico, che senso ha?
Come concludere? In nessun altro paese democratico si è mai registrato un così massiccio e penalizzante intervento dello Stato che da noi, in materia di sport, ha ormai avocato a sé ogni competenza. Resta per ora fuori solo la nomina dei CT da parte del ministro dello sport (ma qualcosa del genere è già avvenuta con Roberto Mancini, con la politica schierata), ma mai disperare. Tanto che a parere di molti ci sarebbe materia a iosa per un intervento del CIO a tutela delle funzioni del CONI rispetto alle ingerenze della nostra pasticciona “politica”.
Alla quale, buon'ultima e a furor di slogan (i bambini, la scuola, gli anziani, gli operatori, …), si iscrive anche il futuro ministro Vezzali. E anche vero che le reazioni del modo dello sport – quello vero – sono, quando pure ci sono, flebili e dichiaratamente di parte. Forse non è un caso che tutto questo capita proprio in un periodo nel quale il CONI ha da opporre un apparato modesto e di poca o nessuna autorevolezza sul piano internazionale. Tanto che nell’accezione comune ormai esso viene identificato nel solo presidente Malagò.
In tanta incertezza, una cosa è sicura: nulla sarà più come prima. Ma qualcosa si può azzardare. Come diceva Giulio Einaudi riferendosi alla politica –, “per quanto possiamo inventarci per molestarli e scoraggiarli, milioni di individui continueranno a lavorare e a produrre” –, così le Federazioni proseguiranno a formare atleti e a collezionare vittorie. Diverso appare il destino del CONI, a cui in queste condizioni pare riservato un ruolo secondario, di pura rappresentatività, se non proprio da spettatore. Come pare suggerire la foto d’apertura (tratta da www.coni.it) che mostra i maggiorenti della Nazionale di volley campione del mondo al loro arrivo a Fiumicino, accolta da presidente e segretario generale. Ma, beninteso, i protagonisti della foto sono gli "altri". Emblematico.
Non so se all’origine dalla riforma c’era un progetto definito o tutto è la risultante di un pasticciato disegno di potere, ma il sospetto rimane. Ma non tutto è perduto. Per fortuna è ancora in piedi l’obelisco che nel 1944 le truppe americane dovettero difendere con le armi da chi intendeva abbatterlo. Tutto sommato, ai giorni nostri molto meno cruenti, basterà un semplice decreto.
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