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I sentieri di Cimbricus / Il dreamer venuto dal Guatemala

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Giovedì 28 Luglio 2022

 

grijalva 

“Posso prendere la patente, posso lavorare, ma non posso chiedere la cittadinanza e se devo lasciare il paese, sei mesi prima è necessario che chieda un permesso spiegando le ragioni”. La possibile storia di Luis salvato da Obama.

 

Giorgio Cimbrico 

Foglio gara della finale dei 5000 mondiali: Iakob Ingebrigtsen norvegese, Jakob Krop kenyano e Oscar Chelimo ugandese sul podio. Dietro, personaggi illustri e franati: gli etiopi e Joshua Cheptegei primatista mondiale. Quarto, Luis Grijalva, Guatemala. A parte qualche marciatore, mai visto un guatemalteco in pista. E ora ce n’è uno che va a sfiorare una medaglia: 24 centesimi, mezzo metro. 

Nel nostro tempo c’è una certa tendenza a usare un repertorio di parole che, dopo un po’, possono venire a noia. Una è sogno. Nel caso di Luis è l’unica possibile perché lui è un “dreamer”, come tutti quelli entrati in un programma voluto nel 2012 da Barack Obama: DACA sta per “Deferred Action for Childhood Arrivals”, azione differita per l’infanzia arrivata. E’ uno strumento perché, sui minori, non venga applicata la deportazione e il ritorno forzato nel paese d’origine. Luis ha avuto fortuna: se al posto di Obama c’era qualcun altro – ad esempio un omaccione biondastro che gioca a golf – altro che DACA.  

Cosa sia permesso o non permesso a un “dreamer” lo spiega Grijalva che negli USA – a Fairfield, California – arrivò a un anno di età con i genitori, senza documenti, e due fratelli più grandi. “Posso prendere la patente, posso lavorare, ma non posso chiedere la cittadinanza e se devo lasciare il paese, sei mesi prima è necessario che chieda un permesso spiegando le ragioni. Contravvenire significa non poter rientrare negli USA per dieci anni”. 

Luis non ha avuto una vita facile: “I miei fratelli erano nel giro delle gang, sono finiti in galera e rispediti in Guatemala. Avevo 13 anni ed è stato allora che ho cominciato a correre: gare scolastiche e poi al liceo, sempre tra i primi tre. Pensavo di poter avere un futuro nell’atletica universitaria ma a casa dollari non ce n’erano”. 

La borsa di studio si materializza con l’ingresso in scena di Mike Smith, allenatore della North Arizona University. “Mike è venuto a casa mia e ha detto ai miei che si sarebbe curato di me”. E così Luis lascia Fairfield per Flagstaff, un luogo perfetto per chi corre con ambizioni: ai 2106 slm dell’altopiano sono andate tante stelle. “Far parte di una squadra è stato entusiasmante”. 

Ai campionati NCAA dell’anno scorso Grijalva corre in 13’13”14, una settimana prima che scadano i termini per il minimo olimpico. “Non sapevo se essere felice o disperato. Per andare in Giappone era necessario il permesso che va richiesto sei mesi prima e io ero fuori dai termini. Mi hanno dato una mano i media: sono andato in tv, hanno scritto di me”. La pratica ha subito un’accelerazione e il permesso è arrivato in tempo. A parte l’inconscio anno di vita passato in Guatemala, era il primo viaggio e la prima volta che Luis lasciava gli Stati Uniti. A Tokyo conquista la finale e chiude 12° in 13’10”09, il suo record. 

Diventa una figura fissa nella stagione indoor americana: capelli lunghi o intrecciati, viso allegro, buona visione della gara. Nel frattempo ha ottenuto la laurea, è diventato professionista con il team Hoka e così viene invitato agli appuntamenti di Diamond League di Oslo e di Stoccolma: “Ho trovato un’aggressività che ancora non conoscevo”. Se la cava bene e nei 3000 scende sotto i 7’40”. E mentre per gli americani prende il via l’incubo dei Trials, il “dreamer” guatemalteco può coltivare il suo sogno per Eugene. “Per andarci non ho avuto bisogno di chiedere il permesso”. E’ stato bravo a trovare traiettorie giuste e a guadagnare posizioni nel concitato finale e gli sono mancati 24 centesimi perché il dream diventasse XXL.

Tra un anno Luis volerà a Budapest: per un centroamericano la Mitteleurope. 

 

 

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