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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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I sentieri di Cimbricus / Il tempo delle attese e' finito per sempre

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Domenica 10 Luglio 2022

 

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C’è un aggettivo che torna spesso, usato da chi vive lo sport dalla parte di chi paga: anacronistico. Tutto quello che abbiamo visto per lunghi anni è anacronistico. Come insegna il ritiro di Rafa Nadal da Wimbledon e quanto l'ha seguito.

Giorgio Cimbrico

Per fortuna ha espresso la sua opinione il diretto interessato. “Non sono d’accordo sull’ipotesi di ammettere chi ha perso, in caso di ritiro del vincitore”, ha detto Taylor Fritz, battuto nei quarti di Wimbledon, in cinque set, da Rafa Nadal che ventiquattro ore dopo, al termine di una lunga riflessione (era aperta la chance di Grande Slam, a occhio l’ultima per l’indomito mancino), ha deciso di abbandonare per una lesione ai muscoli addominali.

E pensare che nella pattumiera della rete qualcuno aveva scritto che era tutta una finta e che qualcuno, a queste parole, ha anche concesso spazio. Una volta si diceva “dal sen fuggite”. Ora l’orifizio di provenienza è un altro. 

Dopo la resa di Nadal, con la velocità del lampo, è nato un “partito” che ha inventato una sorta di “class action”: è possibile privare il pubblico che ha pagato fior di sterline di una delle due semifinali? Quelli di Wimbledon, da gran signori, hanno risposto offrendo un parziale rimborso. Ma soprattutto: chi (le TV) di sterline ne ha pagate milioni, può veder tagliate a metà le emozioni che poteva offrire in un venerdì che all’All England è sempre prodigo di colpi di scena, di match memorabili? 

Non è il caso di sottolineare che un’ammissione in corsa costituirebbe la fine del meccanismo più semplice che governa lo sport: chi vince va avanti, chi perde si ferma. E se chi ha vinto ha esaurito il suo slancio vitale o, semplicemente, non ne può più, pazienza. Filippo Volandri, CT dell’Italia in Davis, è stato chiaro: “Posso capire che all’inizio di un torneo, in caso di ritiro, subentri un lucky loser che è giunto all’ultimo turno delle qualificazioni. Ma per il resto, …”. 

Il fatto che qualcuno abbia anche solo ipotizzato un’evenienza del genere, dà l’idea di dove sono finiti gli sport in cui sono in ballo dei soldi. Cioè tutti. Non può fermarsi mai e se, per un accidente fisico, una tessera di questo mosaico perfettamente organizzato salta, è necessario correre ai ripari. E se vengono calpestate le vecchie regole e magari anche l’etica, pazienza. 

C’è un aggettivo che torna spesso, usato da chi vive lo sport dalla parte di chi paga: anacronistico. Tutto quello che abbiamo visto per lunghi anni è anacronistico. Il tennis è uno sport che, virtualmente, può andare avanti all’infinito, una specie di moto perpetuo. Da ragazzo, quando passavo l’estate al mare di mattina, a guardare Wimbledon al pomeriggio: il match tra Pancho Gonzales e Charlie Pasarell non finiva mai, 102 giochi. Era dannatamente eccitante e nessuno pensava fosse anacronistico. Quarant’anni dopo John Isner e Nicolas Mahut –, tra interruzioni per pioggia o oscurità –, in campo rimasero 11 ore distribuite in tre giorni: 183 giochi, l’ultimo 70-68 per il gigante americano. Il tie break al quinto set – o super tie break, ai dieci punti – finì per trovare spazio anche nel regno verde di Church Road. 

Nel rugby sono anacronistici i Barbarians, il club a inviti nato in piena età vittoriana, e fra un po’ lo saranno anche i British and Irish Lions che hanno scritto molte pagine di chanson de geste; nel calcio cominciano a essere anacronistiche le nazionali che a volte finiscono per scendere in campo nel giorno di vacanza dei barbieri. Non anacronistico – e molto fruttuoso – è inzeppare il lunario di ogni tipo di appuntamenti applicando una parcellizzazione delle distanze, delle specialità. Il tempo delle attese, piacevoli come un gelato al limone, è finito per sempre. 

 

 

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