Fuorisacco / In ricordo dell'uomo chiamato Juventus
Sabato 19 Giugno 2021
Se ne ha andato a 92 anni. Simbolo di un calcio che non c’è più capace di creare leggende destinate ad andare oltre le generazioni. Riserva alle Olimpiadi ed una vita spesa nella Juve e per la Juve: forse il più grande di tutti.
Andrea Bosco
Era il 3 febbraio del 1952. Mio papà proprietario di una azienda edilizia che faceva i lavori di manutenzione per la SADE, la società idroelettrica che prima della nazionalizzazione gestiva i servizi per il Veneto, due giorni prima mi aveva detto: “Ti porto con me”. Avevo 7 anni e portavo i calzoni corti. La SADE la cui sede a Venezia era a Palazzo Balbi, là dove ogni anno si conclude la Regata Storica dei gondolini, aveva a Rimini degli stabili adibiti a “colonie” estive per i figli dei dipendenti. Ogni anno i locali venivano restaurati e sanificati. L'appalto lo aveva vinto l'azienda di mio papà.
Del calcio neppure il regolamento conoscevo. Sgambettavo al campiello in Campo San Boldo, in una stagione dove speso tornavo a casa con le ginocchia sbucciate ed un occhio pesto. Mio papà detestava il calcio: aveva ambiziosi progetti remieri, per me, alla Bucintoro. Lo avrei deluso. E avrei deluso me stesso: concludendo con un infortunio a 22 anni una modesta carriera calcistica. Nell'albergo di Rimini la SADE, il venerdì sera, aveva recapitato con gli omaggi di rito anche due biglietti per Spal-Juventus della domenica. Non avevo mai visto una partita di calcio. Mio padre chiese: “Farà freddo, vuoi davvero che ci andiamo?”
Io dissi: “Ti prego”. Non stavo, al pensiero, nella pelle. E così ci andammo. La Spal aveva una affascinante maglia. Gli altri ce l'avevano a strisce bianche e nere. L'arbitro era di Roma, credo si chiamasse Gemini. Non mi capacitavo di come potessero continuare a giocare con le botte che si davano. Uno di quei 22, tuttavia, era speciale. Biondo, elegante, veloce: con la palla faceva quello che voleva. Sembrava non potessero toccarlo. La gara, spigolosa, finì con la vittoria della Juventus con una rete marcata dal numero 8 che si chiamava Hansen. Ma io ero estasiato dal numero 9: per la prima volta nella mia vita, assieme ad una partita, vidi anche Giampiero Boniperti.
Sarei stucchevole a pretendere di raccontare chi sia stato. Enorme calciatore, enorme dirigente. Gli aneddoti sono sterminati: alcuni (come il “bonus mucca gravida” che ottenne da Gianni Agnelli, o i contratti in bianco che sottoponeva ai calciatori a Villar Perosa, rei di aver perso lo scudetto mesi prima) sono diventati leggenda.
Era un leader. Dotato di una intelligenza superiore. Capace di mortificare il suo ego di bomber per mettersi al servizio della squadra, quando nel 1957 arrivarono a Torino, Charles e Sivori.
È morto a 92 anni. Una vita per la Juventus. Gol, scudetti, coppe, trofei. Gioie e immensi dolori. Non solo sportivi. L'Heysel fu una ferita dalla quale non riuscì mai completamente a riprendersi. La Juventus è stata la sua vita. Anche quando da quella vita gli fu chiesto di “staccarsi”. Non si piegò mai alle bizze di un giocatore o a quelle di un procuratore. Il suo carisma è sintetizzato in una foto diventata icona: un arbitro che sull'attenti discute con lui. Quell'arbitro di chiamava Jonni. Fu uno dei pochi giocatori italiani della sua epoca rispettato fuori dai confini nazionali. Nato attaccante, diventato mezz'ala, confidò che il suo sogno era quello di giocare mediano. Il gol più bello fu l'acquisto dal Padova di un giovanissimo Del Piero. Ma se parlavi con lui ti spiegava: “assieme a quel fenomeno di Di Livio”. Ho avuto modo di incontrarlo da giornalista. Alle domande spesso replicava: “Lei cosa ne pensa?”.
Dopo un tempo era solito uscire dallo stadio. Non riusciva a resistere all'emozione.
La gara che sentiva di più era il derby. Ma se glielo chiedevi, ti spiegava di aver conosciuto un solo giocatore (lui che aveva frequentato sul campo la creme del football) in grado di cambiare da solo una gara: Valentino Mazzola.
“Vincere non è importante: è l'unica cosa che conta”. È la sua frase. Onore alla leggenda di Boniperti. Quella dell'Uomo chiamato Juventus.
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