I sentieri di Cimbricus / Buone notizie e cattive notizie
Giovedì 18 Febbraio 2021
Questi anni di nuovo ordine, imperanti e schiamazzanti, hanno cancellato il fascino dello sport vissuto come una piccola-grande saga, come un’avventura allegra e disinvolta.
Giorgio Cimbrico
Solo le buone notizie sono ben accette: se c’è un italiano di mezzo deve trionfare, volare (anche se si tratta di un terzo turno di un torneo di quarta categoria), deve vincere e se non capita, l’azzurro viene beffato. Dall’avversario, dalla sorte maligna, dalle Parche, da un complotto ordito dai Rosacroce, eredi dei Templari. Se le buone notizie non sono proprio buone, è sempre possibile plasmarle. L’altro giorno, ad esempio, ai Mondiali di biathlon di Pokliuka, Dorothea Wierer è andata male, nona.
Non è il caso di angustiarsi, diceva un antico Carosello: meglio puntare sul fatto che la nostra Diana tiratrice ha vinto la Coppa del Mondo di specialità, la 15 km con quattro poligoni. Dal momento che il biathlon è stato fatto a fettine, di ogni distanza si corrono tre, quattro gare ogni stagione. Coppetta, si diceva una volta.
Tento di tenere alti e lunghi i livelli di attenzione. Pare che per le nuove generazioni questi livelli siano attorno ai nove secondi (il futuro è una sequenza di highlight, di brani scelti) e così propongo l’istituzione di test match di rugby “buoni alla prima”, per prima intendo la meta (13 febbraio 2021: l’Italia espugna Twickenham: naturalmente non è andata così, anche contro una brutta Inghilterra) e altri formati (format, please) graditi ai veri padroni dello sport: il tennis su un set, magari su un game o la Streif giocata sulla Mausefalle, affrontata dopo una quindicina di secondi.
Tutto il resto è noia. Per questo la marcia boccheggia e la maratona si salva solo perché ormai se la sbrigano in un paio d’ore. Tra partenza e arrivo, con l’app adatta si può ordinare il pranzo via delivery: sushi, hamburger e pollo tandoori, naturalmente. La pasta e fagioli va bene per il nonno, se è ancora vivo.
Questi anni di “nuovo ordine” televisivo, di social media imperanti e schiamazzanti (pare che Mario Draghi abbia deciso per un cambio di regime e di ritmo: i miei umili complimenti, professore), di sempre minore autorevolezza dei giornali che tra non molto finiranno come il dodo delle Mauritius o il quagga (mezzo asino, mezza zebra) che abitava nel veld sudafricano, hanno cancellato il fascino dello sport vissuto come una piccola-grande saga, come una chanson de geste (citazione buona per ricordare un vecchio amico, Paolo Rosi), come un’avventura allegra, disinvolta, leggera. Un dramma giocoso, come nel sottotitolo di Don Giovanni. O come una normalità senza isteria che non deve essere strrraorrrdinarrria. Da sondaggio, uno dei pochi aggettivi conosciuti e così molto usato. Chiaro che non capiscono o conoscono il vero significato. Io di cose straordinarie ne ho lette e ascoltate tante, ma viste poche.
Quel che stupisce, spaventa, infastidisce è il proliferare, l’affastellarsi di gare, di eventi, di run, altra parola di gran moda. Covid o non Covid, a porte chiuse o qua e là semiaperte, lo sport si moltiplica come i pani o i pesci, o dilaga, come il vino alle Nozze di Cana. Presto le competizioni europee di calcio saranno tre, il rugby europeo punta a coinvolgere il Sudafrica, gli sport invernali sono stati tagliati in così minute fettine da aver oggi un programma mastodontico e a volte ridicolo (la gara a squadre, team event, di Cortina sembrava il campionato riserve), nel nuoto dobbiamo aspettarci che si gareggi anche sui 25 metri e anche l’atletica si è rassegnata a varare una 4x400 olimpica ambo-i-sessi.
È una furia “creativa” per riempire ogni attimo, è un’occupazione programmata che mira a coinvolgere ogni tipo di spettatore, ogni fascia, distratta o concentrata poco importa: l’altro giorno mi sono reso conto con raccapriccio che la stessa televisione che trasmette la NBA e la Champions, si è assicurata i diritti della serie C. C’è qualcosa di più avvincente di Legnago-Pergolettese?
Di solito uno si attende che, in fondo a tentativi di analisi, si arrivi a delle conclusioni, magari condite da parole alte o, alla Tacito, secche ed eloquenti. Voglio deludervi e devo rifugiarmi nella banalità: Socrate diceva di non sapere e anch’io, dimesso come lui, mi schiero al suo fianco. Ma senza mai interpretare la parte della chattering magpie, quella gazza australiana che, dopo aver gracchiato, plana e vi attacca agli occhi.
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