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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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I sentieri di Cimbricus / Piccole storie non ammesse dal galateo

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Lunedì 28 Dicembre 2020


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“Un mondo piccolo, mediocre, ipocrita: non riesco più a capire se è una prigione, un manicomio o una specie di finto educandato.”

Giorgio Cimbrico

Per una bestemmia (né urlata né rabbiosa, solo sconsolata) dopo un autogol Bryan Cristante ha avuto una giornata di squalifica. Indagini audiovisive non hanno portato allo stesso verdetto per Gigi Buffon. Nessun seguito ha avuto il recital di Rino Gattuso dopo l’espulsione di Insigne in Inter-Napoli. “Non si può mandare via un giocatore perché ha detto all’arbitro vai a cagare. In Inghilterra non fanno altro che dire fuck off, vaffanculo, e non succede niente. In settimana quando arbitro io la partitella mi mandano sempre a fare in culo”.

Quel che ha colpito non è stato il rude linguaggio di Ringhio ma il silenzio in cui è sprofondato lo studio popolato di giornalisti e di talent, come sono stati battezzati i giocatori che forniscono i loro commenti.

Di fronte a chi parla chiaro, imbarazzo, ipocrisia e a volte sdegno si combinano. Chi definisce “non brillantissima” la stagione della Ferrari (è solo un esempio, tratto da un sacchetto della tombola XXXL) ha solo due atteggiamenti: deprecare o tacere, aspettando che la sfuriata si esaurisca come un temporale violento e breve. Ha finito? Bene, si può andare avanti. Ora si sfoghino i dannati dei social.

È passato mezzo secolo da quando Manlio Scopigno diede della testa di cazzo a un guardalinee stringendo tra indice e medio una salgarianamente ennesima sigaretta. Rimediò una robusta squalifica, cinque mesi, ma nessuno gli tolse lo scudetto: conservet deus su Cagliari, dicevano gli orgogliosi tifosi di una squadra disegnata da un filosofo e guidata in campo da chi aveva il profilo degno di una moneta romana.    

Una piccola storia universale delle espressioni non ammesse dal galateo provoca un altro flash back che riporta al febbraio 2016, Francia-Italia del 6 Nazioni. A Parigi imparammo una lezione: altrove la linea d’ombra dei biiiip, delle censure, delle ipocrisie, dei serrati dialoghi con le redazioni all’insegna di un leniniano “che fare?”, non ha ragione di essere. In fondo alla sua orazione, Sergio Parisse lanciò la sua bestemmia e il giorno dopo la bestemmia venne riproposta dall’Équipe in versione originale e con traduzione francese. Nero su bianco. Senza quattro puntini dopo p …., senza due puntini dopo d .... Conservo un piccolo ritaglio nel portafoglio.

Il dibattito che si aprì con il “frocio” di Sarri, con lo “zingaro” di De Rossi, e con gli episodi recenti può andare avanti e pescare nella presenza orwelliana di microfoni e telecamere, nell’interrogativo sulla necessità, sulla liceità di questo dislocamento di forze invasive. Viviamo in un mondo che si professa globale e aperto e che è piccolo, mediocre, ipocrita, dominato da una voglia di chiacchiericcio e, di pari passo, da uno sdegno a comando che, puah, disgusta.

Se vado a origliare vicino a uno spogliatoio, cosa devo attendermi? Il trio Lescano che canta “Piccolo chalet gaio come te, dietro un separé prenderemo il tè”? Un approccio del tipo “Affe’ mia, signori, stiamo per andare alla pugna”?. O, come disse l’ammiraglio Nelson, “mi attendo che tutti facciano il proprio dovere”? Le parole crude, empie, i moccoli variano da paese a paese. In Inghilterra la bestemmia non è contemplata né usata e come dice Gattuso, ricordando la sua parentesi scozzese, si va avanti a fuck off. Certi… inviti alla presa di coscienza di Martin Johnson, prima capitano e poi allenatore dell’Inghilterra, inducono a pensare che fosse nato a Padova o a Livorno e non nelle West Midlands, avrebbe sicuramente varcato il confine che porta alla blasfemia.

Secondo testimonianze che ritenemmo attendibili, nel ventre dello Stade de France avvenne una faccenda molto semplice: c’era un piccolo ritardo, attorno al minuto, la porta dello spogliatoio venne aperta all’improvviso e in quel momento il capitano stava chiudendo la sua perorazione, con quel forte punto esclamativo. Il microfono era là, naturalmente, e catturò un bello scalpo. Non riesco più a capire se il mondo è una prigione, un manicomio o una specie di finto educandato.


 

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