Italian Graffiti / I sottopiatti d'argento dello sport italiano
Lunedì 16 Aprile 2018Le contraddizioni di un mondo sempre più presenzialista e che ritiene che la sua missione sia visibilità e immagine.
di Gianfranco Colasante
Sarà per l'età, ma io resto tra quelli che ancora i giornali li comperano all'edicola, per una vecchia abitudine ma soprattutto per cogliere quel profumo di nuovo che nessuna rassegna stampa on-line potrà mai dare. Ed anche perchè le due parole scambiate con l'edicolante - tra i pochi ad avere il "polso" dell'umore generale - sono molto spesso illuminanti. Così è stato anche ieri l'altro, giorno dell'esordio delle auto elettriche all'EUR. Quando mi è capitato di leggere la cronaca dell'esclusivo cocktail party organizzato dal patron della Formula-E Alejandro Agag al quarto piano della Nuvola fuksasiana scivolata sul marciapiedi, o meglio del "Charity Dinner" a favore del programma alimentare dell'ONU.
Al di della facile ironia suggerita dal contributo che le "ricottine alle erbe e il raviolo di burrata in salsa pachino" potranno fornire nell'abbattere i livelli di fame nel mondo, mi ha colpito la foto del presidente del CONI Giovanni Malagò seduto alla sontuosa tavola dove i "vasi di tulipani bianchi" facevano pendant con "i sottopiatti d'argento e le sedie di plexigas trasparente". Firmate, presumo. Ma voi direte: "Non ha diritto il buon Malagò di presenziare e mangiare dove vuole?". Per di più lasciando un contributo? Più che giusto.
Non è certo qui in discussione se lo sport - anche se automobilistico, quindi, almeno per il momento, fuori dal recinto olimpico - abbia o meno diritto al suo lato glamour o alla cornice di signore in "nero lungo e décolleté tacco dodici". O a un'altra foto del "numero uno dello sport", circostanza peraltro abituale: la Gazzetta dello Sport nel numero di giovedì scorso ne pubblicava addirittura tre. Il fatto è che nella stessa copia del Corriere della Sera di cui sopra mi è capitato di leggere - e ci sono rimasto male - una pagina-intervista di Goffredo Buccini a Giuseppe Maddaloni, "Gianni 'O Maé" come lo chiamano a Scampia i 600 ragazzi che accoglie per lo più gratis, il quale nel quartiere di Gomorra tiene faticosamente aperto lo Star Judo Club, presidio di legalità e scuola di vita per i "guaglioni di strada".
O almeno ha tenuto aperto fino ad ora dal momento che pare stia sul punto di chiuderlo causa assillante mancanza di fondi, assediato com'è da "bollette, tasse, canoni, Agenzia delle Entrate" ecc. Tanto da non poter assolutamente far fronte alla richiesta d'affitto speditagli per il mese di aprile dal Comune di Napoli, proprietario del capannone riadattato alla meglio a palestra proprio sotto le Vele. Totale del contendere 1755 euro. Ora non so, se dopo quell'articolo, qualcosa cambierà, o qualcuno interverrà: come è risaputo noi italiani siamo facili a commuoverci e bravissimi nell'una-tantum, molto meno nel programmare. Un esercizio che alla lunga non ci appassiona proprio, anzi ci annoia.
Oppure, se verrà organizzato un nuovo "Charity Dinner", casomai con prodotti partenopei rivisitati da qualche chef di grido, a favore di Maddaloni senior (pro-memoria: il suo primo allievo, il figlio Pino, ha vinto la medaglia d'oro ai Giochi di Sydney). O più semplicemente, come ci informa Buccini, avrà un seguito quella "Cittadella dello Sport, per la quale si è speso anche Giovanni Malagò", per ora fermatasi al primo tempo dell'annuncio, come tanti altri progetti in questi anni.
Un po', tanto per restare a Napoli, come sta capitando per l'edizione n. 30 delle Universiadi che la città e dintorni hanno chiesto e dovranno (dovrebbero?) organizzare per l'anno prossimo. Per ora è nota solo la data di apertura, fissata al 3 luglio 2019. Per tutto il resto, come si diceva un tempo, ci stiamo attrezzando. Almeno tale pare l'intenzione del commissario governativo che Gentiloni è stato costretto a nominare a febbraio. Si tratta del prefetto fuori ruolo Luisa Latella che il suo primo provvedimento per mettere in moto la macchina organizzativa lo ha firmato lo scorso 11 aprile: si tratta di 69 interventi diversi da appaltare per una spesa complessiva di 127 milioni. Quando cioè mancano (mancherebbero?) appena 447 giorni all'accensione della fiaccola. Ce la faranno?
Certo, noi facciamo il tifo, tanto più che sperare per il meglio non costa nulla, ma si tratta di una corsa ad ostacoli e lo stesso Malagò si è detto fiducioso ma abbastanza preoccupato. Malgrado qualcuno, di quei beceri che si ostinano a non voler sognare e a restare coi piedi per terra (purtroppo se ne sono ancora), segnala la recente sentenza della Corte dei Conti che imputa allo stesso Comune di Napoli 86,7 milioni di mancate entrate da recuperare e versare al più presto al pubblico erario.
Intendiamoci, non ci può certo prendere l'esempio delle Universiadi napoletani come paradigma delle organizzazioni sportive nel nostro paese, ma qualche domanda ce la dovremmo pur porre. Chedendoci, ad esempio, se non sia sempre opportuno valutare almeno il profilo di chi propone, con quale progetto, con quali finalità e, soprattutto, con quali fondi. Senza dimenticare l'impatto, che può risultare devastante, di quello che si lascia in eredità ai malcapitati cittadini. Legacy la chiamano gli anglo-sassoni. Vedi Torino 2006.
In caso contrario, non si mette tanto in gioco la credibilità degli "sportivi", quanto la serietà della nazione. La quale, malgrado sia senza governo e registri come già un successo la conferma della Tripla-B per i suoi conti, nel frattempo si è portata avanti col lavoro e ha trovato modo di candidare addirittura tre città ai Giochi Olimpici del 2026.
Auguriamoci soltanto che in tanto slancio di emozioni e di entusiasmo, qualcuno si ricordi del povero "Gianni 'O Maé" e non lo costringa a chiudere per sempre il suo capannone/palestra.
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