- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Pensare al calcio come a uno sport

Mercoledì 15 Novembre 2017

tavecchio1

di Giorgio Cimbrico

E ora Ventura verrà ricordato come Mondino Fabbri che il Guerino, allora in formato lenzuolo, chiamava il ducetto di Castelbolognese. Per statura, in realtà, il ct della disfatta di Middlesbrough ’66 riporterebbe a Tavecchio, l’altro co-protagonista del disastro che cade a pochi giorni dal centenario della disfatta di Caporetto. A chi legge, la libertà di stabilire paralleli, più o meno improvvidi, tra Tavecchio e il debole primo ministro Paolo Boselli, sostituito dopo il cedimento della IIa Armata, la conseguente rotta, la faticosa ritirata sino alla linea del Piave; o tra Ventura e Cadorna che, da tutti battezzato il Capo, ragionava e decideva con la sua testa, puntualizzando nella corrispondenza con la famiglia che se si era arrivati a simile disastro era per via del paese, del governo, della propaganda pacifista e socialista, oltre naturalmente alla codardia delle truppe che da due anni e mezzo si facevano massacrare nelle battaglie sul fronte dell’Isonzo.

Accostamenti forzati e impegnativi, usati giusto per l’invitante ricorrenza di anniversari tondi: 100 anni da Caporetto, 60 da Belfast quando per la prima – e non più unica – volta la Nazionale era stata esclusa dalla fase finale della Coppa del Mondo. Ma Foni, forse per via del suo passato da campione del mondo dell’età dell’oro di Vittorio Pozzo, non appartiene alla categoria dei Fabbri, dei Ventura. Capita che l’arroganza e il “faso tuto mi” possano fottere.

13 novembre, il giorno dell’infamia, ma mica per lo 0-0 con gli ortodossi interpreti di un calcio tetragono e difensivo. A me, tanto per chiamare in causa Woody Allen, non piace citarmi addosso, ma questa volta lo faccio: a Berlino 2006 iniziai la mia corrispondenza parlando degli italiani che erano venuti all’Olympiastadion e avevano fischiato la Marsigliese. “La Marsigliese non è l’inno francese, è l’inno della libertà”: forse mi ero fatto prendere un po’ la mano e pensavo alla libertà di Delacroix, quella che, tette al vento, guida i popoli. Un bis fu concesso, con un maggior numero di fischiatori, a San Siro per un successivo Italia-Francia. Il seguito è ancora fresco: l’inno svedese, per età e per armonia vicino a quello olandese assai amato da Mozart, è stato soffocato dalla plebe più marmaglia uguale plebaglia. Buffon invitava all’applauso: povero illuso, destinato alle lacrime.

Un bel contrasto con quello che sta avvenendo negli stadi britannici: novembre è il momento del ricordo, dei papaveri di Fiandra di cui abbiamo parlato di recente, dei trombettieri che, in un silenzio perfetto e siderale, suonano the last call, il rientro in caserma dopo una serata di allegria, prima della partenza per l’ignoto.

Un’altra ricorrenza può soccorrere, i 100 anni della Rivoluzione d’Ottobre: piazza pulita per programmare i futuro, provare a pensare al calcio come a uno sport, varare un piano come quello francese, che avanti da un quarto di secolo e ha un forte impatto sociale, o quello tedesco che oggi ha creato tre nazionali e la possibilità per il ct Lowe di pescare tra 60 giocatori. Solo che un caro amico, accanito lettore come me, avverte che il ’58, l’anno della Grande Esclusione, è anche quello dell’uscita in libreria di un piccolo libro di un nobile siciliano, il Gattopardo, diventato manifesto di un popolo, delle sue cattive e inestirpabili abitudini. Del presente e del futuro.

***

Altre considerazioni. A Milano hanno dedicato una strada a Valentino Mazzola: chissà cosa penserebbe il capitano del vecchio Toro se gli dicessero che era un intermedio. Come faceva in campo, si arrotolerebbe le maniche e chiederebbe spiegazioni. Intermedio a chi? I giornalisti e i commentatori - battezzati anche talent, cioè esperti – hanno dato vita a un interessante fenomeno: l’una e l’altra componente hanno offerto contributi alla formazione di una neolingua che assorbe il peggio delle due categorie e che viene impunemente usata.

Qualche esempio: ci sono giocatori alti o bassi e non c’entrano i dati registrati alla misura antropometrica. Un volta si diceva in profondità o in una posizione difensiva, di contenimento. Il tiro è largo o masticato: equivale a fuori, a lato o alto, o diventa facile preda del portiere, nel senso che è stato calciato debolmente. La palla viene spizzata: una volta si diceva che l’attaccante faceva la torre di testa, in favore di un compagno. Non mi soffermo su termini – trivela, sombrero, cantera, manita – che vengono proposti con una concitazione febbrile. Provo un certo fastidio nell’ascoltare.

Spariti terzini, mediani, ali, mezzali, centravanti, ora la scena è occupata da laterali, laterali a sostegno, intermedi, giocatori che occupano il vertice alto - o basso- del rombo, trequartisti, esterni, seconde punte, centrale di destra, centrale di sinistra. Ne discende che i quesiti che vengono proposti, assillanti, investono sistemazioni tattiche di cui neppure Napoleone avrebbe capito la necessità o intuito il bisogno prima della battaglia di Austerlitz o di Jena.

Il 4-4-2 pare abbia la barba lunga e bianca come quella di Matusalemme, ma gli svedesi ne fanno uso con orgoglio e profitto. Ora si parla più insistentemente di 4-3-3 che può trasformarsi in 4-5-1. Ma c’è anche chi si affida al 4-2-3-1, al 4-4-1-1, all’ambizioso e sperimentale 3-4-3 o annuncia il 4-2-4 senza magari sapere che era stato adottato sessant’anni fa da Feola perché aveva i giocatori per farlo.

I dibattiti sono lunghi, occupano interminabili pre-partita, assumono le cadenze e offrono i contenuti degli scontri tra nestoriani, seguaci di Ario, unitaristi: la divinità discende dal padre o tutte e tre le figure della Trinità hanno la stessa natura? L’occupazione dello spazio in Guardiola è un’invenzione o un adattamento di precedenti studi? A costo di rischiare accuse di eresia, sono sempre stato convinto che nel calcio ci sia poco posto per le elucubrazioni e molto per il talento, anche rapsodico o decisamente pazzo e i primi che mi vengono in mente sono Puskas che giocava con la pancia, Di Stefano, Best, Cruyff, Maradona. Necessario includere anche Messi, spontaneamente trigonometrico e così meno naif, meno selvaggio nell’intuizione, nell’esecuzione.

Meno problemi per Helenio Herrera, anche lui onorato con una strada dal Comune di Milano:mago era, mago è. Lui teneva moltissimo a questa aura: intervistato dopo una rimonta, affermò con la sicurezza : “no es miraculo, es magia”. Il pericolo è che oggi lo chiamino wizard. Capaci di farlo.  

Cerca