I sentieri di Cimbricus / E' l'occhio la misura di tutte le cose
Sabato 14 Ottobre 2017di Giorgio Cimbrico
Dopo il microchip per investigare sul doping e sui suoi adepti, l’affare si ingrossa e lo sport si striminzisce. Julian Nagelsmann, giovanissimo e rampantissimo allenatore dell’Hoffenheim, che in futuro ha buone chances di finire al Bayern Monaco, ha definito l’ennesima frontiera: una App che tiene perenne compagnia ai giocatori e che li interroga sulla loro condizione fisica e psicologica. A questo punto è sufficiente scaricare i dati, la squadra è fatta e il sogno “siamo tutti allenatori” è realizzato.
Gusztav Sebes, allenatore della Grande Ungheria, era diverso, andava a intuito: nella finale del ’54 – passata alla storia come il Miracolo di Berna – mandò in campo Ferenc Puskas che, oltre che all’accenno di pancetta, aveva una caviglia massacrata sin dal primo faccia a faccia con i tedeschi, l’8-3 della fase eliminatoria. Di Ferenc il primo gol della partita che i tedeschi seppero rovesciare. Che poi avessero avuto un aiuto chimico, se ne parla da due terzi di secolo. In ogni caso, meglio un Puskas zoppo che la sua riserva, pensò Sebes.
Ultimamente, molti allenatori giovani e meno giovani ricorrono ai droni che io pensavo fossero un’invenzione di Spielberg e Lucas e invece poi mi sino accorto che esistono davvero quando attaccano “comunità montane” dell’Afghanistan o di altre località dove gli americani sono fortemente impegnati a portare la pace e la democrazia.
Credo di aver capito che funzionino per avere una visione d’assieme della manovra mentre il tecnico si sta interrogando sulla disposizione da dare alla squadra: 3-4-3, 4-4-2 (ormai desueto), 4-1-4-1, 4-3-3 (di gran moda), 3-5-2, 3-4-1-2? E’ su queste sequenze, che ricordano quella di Fibonacci (vedi Dan Brown, il Codice da Vinci) che si accendono discussioni simili a quelle del concilio di Nicea: il Figlio era della stessa sostanza del Padre o discendeva dal Padre?
Teologia a parte, a me piacerebbe avere per le mani la macchina del tempo inventata da HG Wells, e che mi capita di citare spesso, per fare un viaggetto e sottoporre il drone a Nereo Rocco (nella foto d'antan). “Xè una monata” direbbe ll Paron, sicuro. Rimane imperitura la sua reazione al rapporto che gli fece Cesare Maldini che prima della finale della Coppa dei Campioni 1969, era andato a visionare l’Ajax. Dopo aver assistito a una dimostrazione di calcio totale, Cesare accanto ai nomi degli avversari disegnava frecce che andavano in su, in giù, a sinistra, a destra. “Cesaron, ma xè calcio o xè un film de indiani?”, lo interruppe il Paron. Il calcio totale venne sconfitto 4-1 dall’uomo che aveva creato, con scarti e infortunati, il Padova di cui esiste una bella testimonianza fotografica nella pancia dell’Euganeo.
I giocatori di calcio e di rugby portano addosso il Gps, neanche fossero dispersi in un deserto o su una montagna, bisognosi di soccorso. Serve per calcolare quanto spazio coprano e quale work rate (livello di lavoro, di prestazione) raggiungano. Non sapremo mai per quanti chilometri corressero Lodetti, Benetti e Domenghini, tre infaticabili. A occhio, tanti. E l’occhio è la misura di tutte le cose. Chiedere a Vermeer o a Velazquez cosa ne pensano.
Di recente, in molti sport, ha fatto la sua comparsa il mental coach e sembra che non se ne possa più fare a meno. E’ lui che cerca motivazioni, è lui che scova le falle, i buchi neri, è lui che trova la strada giusta per il suo assistito. “Figlio di puttana, neanche questa volta mi hai messo giù”, gridò Jack La Motta a Ray Sugar Robinson, alla fine del Massacro del Giorno di San Valentino. Il mental coach era il suo coraggio, la sua pazzia, la sua possibilità di non essere normale.
< Prev | Next > |
---|