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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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Gianfranco Colasante
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Opinioni / La crisi dell'atletica e' proprio irreversibile?

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Giovedì 8 Settembre 2017

rio-braciere

Pubblichiamo con piacere l'intervento dell'ambasciatore De Mohr (nel 2005 ad Helsinki) sollecitato dall'articolo di Candido Cannavò che abbiamo riproposto nei giorni scorsi.

di Ugo G. de Mohr

Caro direttore, non mi sarei sognato di intervenire nel corrente dibattito sui mali, o meglio la quasi inesistenza dell'Atletica Leggera italiana (sono ormai troppo, e da troppo tempo “fuori” da una realtà che, pur non smettendo di affascinarmi, ritengo non mi legittimi a proporre opinioni ed ancor meno a trinciare giudizi) se il vecchio articolo di Candido Cannavò che hai avuto la saggezza di pubblicare non mi avesse catapultato all'indietro di una dozzina d'anni, a rivivere una personale, intima sofferenza patita nel 2005, quando il sostanziale disastro della spedizione italiana guastò in modo irrimediabile la vera e propria festa che mi ero predisposto a vivere e celebrare ad Helsinki dove, all'immediata vigilia del mondiale, in un simbolico abbraccio accolsi in Residenza con infinito entusiasmo l'intera delegazione italiana.

Il fatto è che, molto meglio di quanto non avrei potuto fare oggi io stesso, se la consapevolezza della mia...“estraneità” non mi avesse sconsigliato di prendere la parola in argomento, i concetti espressi allora da Candido Cannavò coincidono perfettamente con le mie odierne convinzioni. E dimostrano, da un lato, che nulla è cambiato da allora nei mali e soprattutto nelle ragioni dei mali dell'atletica italiana; e, dall'altro lato, che la cura di quei mali, estremamente lunga, ahimè, per sanare una malattia che la affligge ormai da decenni, è in termini teorici di una estrema semplicità, trattandosi di tornare puramente e semplicemente ai metodi del passato, esemplarmente e vanamente evocati da Candido Cannavò nel 2005.

Sempre che il tessuto sociale e culturale dell'odierna Italia -ma questa è un'altra storia- non costituisca al riguardo un ostacolo insormontabile, quanto a dire che il malato è ormai in fase terminale, ciò che per parte mia sarei ottimisticamente incline ad escludere, stanti i brillanti risultati che riusciamo comunque ad ottenere, a livello mondiale, non soltanto in settori di tradizionale dominio italiano come la scherma, ma anche in discipline, come ad esempio il nuoto, che pur presenta qualche similitudine con l'atletica.

Diceva Montanelli, rifacendosi alla disfatta di Caporetto, che anziché analizzare ed individuare la ragioni profonde della catastrofe, per porvi rimedio, i vertici militari dell'epoca erano assai più impegnati e concentrati nell'individuazione dei suoi veri o presunti responsabili e nella correlata, spasmodica ricerca di personali riconoscimenti e promozioni. A me sembra un po' il caso di quanto accade oggi tra quanti, in perfetta buona fede, si intende, corrono al capezzale dell'atletica nazionale cercando di attribuire le responsabilità del suo male a questo o quel personaggio, a questa o quella Istituzione, a questa o quella categoria di persone.

Ho letto con interesse, nei giorni scorsi, dell'illuminata metodologia adottata, con giusta severità, dalla Federazione britannica nel fornire ai propri atleti di alto livello i mezzi, anche finanziari, per consentire loro un'efficace preparazione, che deve peraltro tradursi in adeguati risultati. E mi è sembrato di capire, ancora una volta, che ad una siffatta, severa ed illuminata metodologia dovrebbe ispirarsi anche la Federazione Italiana nella gestione dei propri atleti di più alto livello, correggendo le attuali, cattive abitudini.

Ma mi sono chiesto, scorrendo rapidamente il quadro del medagliere (e soprattutto delle presenze britanniche o anche francesi nelle finali della più svariate discipline, fatto ancora più importante per giudicare la consistenza di un movimento) se il vero problema italico non fosse tanto quello della gestione (sia pur migliorabile) dei finanziamenti da accordare ai nostri atleti di alto livello internazionale; bensì quello che atleti di sicuro, alto livello mondiale, oggi in Italia quasi non ce ne sono, e servirebbe perciò, soprattutto, una seria politica suscettibile di farne nascere, in un ragionevole arco di tempo, altrettanti quanti possono vantarne paesi come Francia o Regno Unito.

Talché, tornando a Candido Cannavò, la soluzione del problema sta, oggi, esattamente nei termini ch'egli aveva semplicemente ma vanamente indicato dodici anni or sono, senza che alcuna delle sue proposte abbia avuto il benché minimo riscontro, ammesso che, beninteso, le condizioni sociali, politiche e culturali del Paese lo rendessero materialmente possibile. Tutto il resto mi sembra futile e vano chiacchiericcio, utile a portare di qui a dodici anni quanti di noi ci saranno ancora alla contemplazione del permanente stato catastrofico dell'Atletica Leggera italiana.
 

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