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Amarcord / "Quell'Italia nel vuoto": una lettera di Candido Cannavo'

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Giovedì 7 Settembre 2017

candido

(gfc) In un Paese che, per dormire tranquillo, ha scelto di cancellare la memoria, dovrebbe far riflettere questa lettera che Candido Cannavò indirizzò al direttore Antonio Di Rosa e che fu pubblicata il 17 agosto 2005 sulla prima della Gazzetta dello Sport. Si era all'indomani dei Campionati Mondiali di Helsinki 2005, edizione per la quale (chi lo ricorda?) s'era candidata anche Roma, conclusi con un disastro analogo a quello di Londra 2017: anche allora solo un bronzo nella marcia. Dodici anni trascorsi invano. Un articolo scritto con la penna intinta nel sentimento e dettato dall'amore per l'atletica del grande direttore, ma in certa misura attuale e profetico. Rileggerlo oggi, in attesa che il prossimo 12 settembre la federazione si pronunci sui risultati di Londra indicando (si spera) i correttivi, potrebbe aiutare e fornire qualche contributo.

"Caro direttore, da antico malato di atletica, ho seguito i Mondiali di Helsinki attaccato a un televisore marino: carico di invidia, sin dall'inizio, per chi si trovava sulle tribune del venerato stadio finlandese, [...] ubriaco di quell'Africa povera e nobile che riscatta correndo i suoi inguaribili dolori e infine pieno di tristezza per il vuoto che ancora mi sento addosso. La stessa tristezza che ho trovato nel tuo commento di testimone diretto e in quelli dei bravissimi colleghi della rosea. Quel vuoto siamo noi: l'Italia del 2005. Mai così in basso. Inesistente. Ogni mattina leggevo il programma sulla Gazzetta. Un giorno ho trovato una lapide: nessun azzurro in gara. Mai un'umiliazione simile. Ahimè temo non si tratti di un incidente di percorso.

"Da tempo gridiamo: l'atletica sta morendo. E io mi ribello all'idea che, in un'Italia sportivamente d'avanguardia, possa fare la fine misera del tennis maschile alla cui mediocrità cronica ci siamo abituati.

"Ad Atene l'anno scorso, alla vigilia della maratona, presi di petto l'orgoglioso Petrucci nel corso della conferenza stampa: 'Presidente, siamo fieri delle tante medaglie italiane, ma nell'atletica, dentro lo stadio, siamo stati dei fantasmi. Quando vi decidete a fare qualcosa di serio? L'atletica ha bisogno di un piano culturale che la rilanci dalla base. Non bastano le mezze misure'. Petrucci raccolse la provocazione: 'Adesso basta: o la federazione si sveglia o ci pensiamo noi'. Il generale Gola, presidente dell'atletica e personaggio importante in campo mondiale, se la prese a male. Gelosie di bottega. Chissà cosa c'è dietro.

"L'indomani ci fu il trionfo di Baldini nella maratona. E nel tripudio di quell'incantevole serata storica, il fantasma azzurro dello stadio ateniese passò in secondo piano. Un oro Brugnetti nella marcia, un oro Baldini della maratona, un bronzo Gibilisco nell'asta, cosa volete di più? Ah, quale errata valutazione. I due ori su strada e il colpaccio di Gibilisco hanno fatto dimenticare che dentro l'Olimpico di Atene l'Italia era stata a livello di ectoplasma. Non ti scandalizzare, caro direttore: ad Atene come a Helsinki, o forse peggio. Non uno sprinter, un mezzofondista, un fondista, un lanciatore decente. I campioni di ieri, da Cova a Mennea, da Mei ad Antibo, relegati nella preistoria. Questa fu Atene. Ma le medaglie, lo sai, abbagliano. Creano coperture politiche. Noi siamo viziosi di medaglie. E tuttavia Gola capì che la sua stagione di presidente era finita. Rinunciò alla candidatura. C'era Arese, vecchio campione, uomo di sport e di industria, pronto a intervenire. Lo salutammo con affetto.

"Devo riconoscere, caro direttore, che tutti i commenti ufficiali sul vuoto azzurro di Helsinki, da Arese in giù, sono stati sinceri. Ma secondo me si sono fermati ai dettagli, sono rimasti in superficie. Calendari da rivedere, preparazione erroneamente mirata alla Coppa Europa, indisciplina, sostegni economici in direzioni sbagliate, tecnici da sostituire perchè non all'altezza: e qui mi meraviglio del degrado, perchè da Oberwegere a Vittori, da Barletta a Rondelli abbiamo avuto gli allenatori più bravi e aggiornati del mondo.

"Il disastro ha prodotto analisi giuste, ma limitate a un malessere di vertice e fortemente inadeguate rispetto all'enorme problema di rilanciare l'atletica come mentalità, come cultura di sport e di vita. Non c'è federazione che basti. Il grande piano spetta al CONI, in collegamento con le istituzioni, partendo da un concetto: bisogna ripristinare le fonti per una grande selezione giovanile. Non s'inventa nulla. Occorre rifare, in modi diversi, magari con meccanismi aggiornati, quello che venne attuato in anni difficili e fervorosi. Penso ai campionati studenteschi, oggi inesistenti; ai Giochi della Gioventù che nacquero semplici, con l'atletica e poco altro, e vennero abbandonati per snobismo, ma anche perchè costavano troppo ed erano diventati scioccamente pletorici.

"Semplifichiamo al massimo le cose e inventiamo, per esempio, una mobilitazione di massa, dai tredici ai quindici o sedici anni, attorno allo slogan 'Viva l'atletica'. Scuole, parrocchie, enti di promozione, piccoli club, gruppi spontanei: base di selezione enorme. E poi ogni anno una rassegna finale dei migliori, con Oscar giovanili, senza troppe gare, ma con specialità raggruppate: il ragazzo più veloce d'Italia, il mezzodondista più forte sui mille metri, i dieci lunghi più promettenti per il salto in alto, i piccoli maciste per i lanci.

"Butto giù a caso, immaginando una sagra di gioventù che faccia scoprire prima di tutto il piacere dell'atletica. E incentivi per i ragazzi: stages, viaggi premi, inviti alle grandi manifestazioni mondiali, borse di studio. Un salutare marketing sportivo e tanta fantasia. I soldi di trovano. Certo, non è roba da burocrati.

"Caro direttore, non so se ho tratteggiato un possibile progetto o se mi sono abbandonato a uno sfoga da innamorato. Sono certissimo, invece, che la Gazzetta farà da guida alla rifondazione della regina degli sport: perchè senza l'atletica non c'è cultura nè civiltà sportiva.

Candido Cannavò
(Direttore della Gazzetta dello Sport dal 1983 al 2002)

 

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