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Doping / Rapporto WADA per l'anno olimpico 2016: tutto bene?

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Lunedì 4 Settembre 2017

doping-1

di Gianfranco Colasante

Passato un po' sotto silenzio (da noi), a fine agosto la WADA - la World Anti-Doping Agency con sede a Montreal - ha reso noto il suo rapporto annuale 2016: 82 pagine introdotte dall'affermazione del presidente Craig Reedie per il quale l'anno avrebbe rappresentato un punto di svolta ("a turning point") nel contrasto al doping e, soprattutto, fornito la conferma che un solido organismo indipendente resta assenziale (e, aggiungo io, insostituibile) per assicurare e tutelare uno "sport pulito". Anche se problemi non mancano, non tanto legati alla "mission" della WADA stessa, ben chiara e precisata, quanto al rapporto con altre strutture internazionali e, soprattutto, a qualche difficoltà economica. Come testimonia il bilancio chiuso per la prima volta nel 2016 con un saldo negativo.

Secondo il rapporto, per il 2016 la WADA ha diposto di 29,96 milioni di dollari con una perdita finanziaria di 729.431 dollari. Come si può leggere del dettaglio, la maggior parte dei fondi arrivano dal CIO (circa 14 milioni), ma ci sono anche contribuzioni diverse, sia pure in calo, che includono quasi 1,5 milioni da parte del governo federale del Canada e da quello del Quebec. Contributi sono giunti anche da alcuni (pochi) Governi: a tal riguardo va notato che la Federazione Russa, che per il 2015 aveva donato 340.mila dollari, per il 2016 ha scelto di astenersi del tutto. Nessun contributo è arrivato dall'Italia.

Quanto all'attività di contrasto, i controlli effettuati nel 2016 sono stati 328.086 con un leggero decremento - pari allo 0,1% - rispetto all'anno precedente. Viene anche precisato che di questi controlli, l'84,3% riguarda analisi delle urine e il restante 15,7% del sangue. Dato significativo poi che il 49,2% dei controlli sia stato effettuato al di fuori delle competizioni, raggiungendo gli atleti nei luoghi di soggiorno e di allenamento.

Una scelta opportuna, confermata dai risultati ottenuti. Non per nulla i casi più clamorosi (Lance Armstrong, Marion Jones, Alex Schwazer, ecc.) hanno riguardato atleti "sorpresi" dalle analisi e dagli ispettori prima o dopo le gare, quasi mai durante. Sport sempre più pulito, allora? In attesa che in vista dei Giochi 2018 vengano rivelati i dati su Sochi 2014 - sulla falsariga di quanto è avvenuto per Pechino 2008 e Londra 2012 - limitiamoci ad augurarcelo.  

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