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Opinioni / Il caso Zaytsev e la follia di un paio di scarpe

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Mercoledì 18 Luglio 2017

zaytsev 2

di Carlo Santi

Con questo articolo inizia la sua collaborazione a sportolimpico.it Carlo Santi, già inviato del Messaggero e autore di numerose opere sulle Olimpiadi

Un paio di scarpe da non calzare, con tutto quello che ne consegue in termini economici perché di soldi si parla, cambia lo sport. O meglio, cambia troppe regole. Il caso di Ivan Zaytsev, il pallavolista azzurro che non vuole calzare le Mizuno, che sono le scarpe dello sponsor della Federazione, ma le Adidas, rappresenta una vicenda che sa di follia. E di questa follia se ne occupa addirittura il vertice dello sport italiano. Giovanni Malagò, che del CONI è il presidente, tra una riunione di Giunta e un Consiglio nazionale trova il tempo di parlare di scarpe. La Federvolley appare bloccata per Zaytsev, prima cacciato dal ritiro della nazionale prima di tentare un altro disperato modo di farlo tornare.Tutto chiaro, tutto davvero chiaro. Ogni atleta ha il suo sponsor e nelle occasioni che contano - l’azzurro in primis - vuole indossare quell’abbigliamento. Ci sono contratti da rispettare e la squadra passa in secondo piano. Parliamo di squadra per ogni disciplina, anche quelle individuali poiché quando si è in azzurro c’è un team unico e di quel team tutti ne fanno parte.

È lo sport che cambia, uno sport che è sempre più nelle mani di sponsor, procuratori, addetti vari che utilizzano gli atleti a loro piacimento per trarne esclusivamente degli utili. Sono, molto spesso, un pessimo esempio che, però, nessuno combatte. Prendiamo il caso di Donnarumma e del Milan. Il suo procuratore Raiola ha gestito come ha voluto il contratto del suo assistito. Al Milan ha detto: prendere o lasciare. Ma quello del giovane portiere del Milan non è l’unico caso, purtroppo …

Torniamo a Zaytsev e alle sue scarpe. Sa di assurdo questo caso. Sappiamo perfettamente che ci sono dei contratti, che ci sono soldi in palio, gli stessi soldi che, giusto un anno fa, hanno mandato ko un nostro azzurro in odore di medaglia alle Olimpiadi di Rio perché, quell’atleta, cercava un risultato di primissimo piano. Se lo avesse raggiunto, il suo sponsor gli avrebbe riconosciuto un grande bonus. Quella sera il nostro campione ha perso tutto: niente risultato eclatante e addio Rio.

Un passo indietro è quello che ora occorre fare. Di questo passo si stravolge lo sport sempre più nelle mani di affaristi, spesso maneggioni che lavorano esclusivamente per il proprio conto in banca.

Le scarpe. Già, le scarpe di Zaytsev. Contano? Probabilmente sì, che contano, ma alla fine è sempre l’uomo, i suoi muscoli, la sua forza, il suo talento, il suo allenamento a fare la differenza. Nel 1960, Olimpiade di Roma, Livio Berruti ha vinto l’oro nei 200 metri. Quel 3 settembre Berruti corse due volte in meno di due ore - semifinale e finale - la distanza in 20”5, record del mondo. Mica si preoccupò troppo delle scarpe, Livio, per le sue imprese.

«In semifinale corsi con le Adidas - ricorda oggi il campione di Roma 1960 - e feci 20”5. Tornai negli spogliatoi, mi riposai perché ero stanco. Il libro di chimica? Lo avevo, ma era lì, mica ho studiato. Poco prima della finale sono andato al campo di riscaldamento per provare qualche partenza: dovevo semplicemente farmi vedere dai miei avversari».

Per la finale, altre scarpe ma stessi muscoli. Ecco cosa fece Berruti: «Ero vanitoso e mi piaceva correre con i calzettoni bianchi. Per questo scelsi altre scarpe, bianche. Erano le Valsport. Vinsi ancora con 20”5». Era felice, Livio, anche se lo è stato un po’ meno quando il rappresentante dell’Adidas gli chiese perché quella scelta. «Avresti avuto un premio di 300 mila lire», gli disse, e Berruti rispose: «Potevi dirmelo prima».

Scarpe o non scarpe, Adidas o Valsport, Berruti vinse di nuovo e con il record del mondo.
Scarpe o non scarpe, Adidas o Valsport, Berruti vinse di nuovo e con il record del mondo.
 

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