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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Fatti&Misfatti / "Pochi soldi, poche idee, poco di tutto"

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Martedì 4 Aprile 2017

caja 2

di Oscar Eleni

Sperduto sul pianeta rosso che russa nel basket italiano, senza la la tuta di Matt Demon, senza il pudore di raccontare gli scherzi della memoria. Colpa dell’età, della delusione, della certezza di non poter fare più niente per cambiare le cose se gli stessi che hanno pilotato la navicella nella terra di nessuno ancora si domandano perché le squadre massacrate da troppe partite hanno più gente in infermeria che in palestra. Una volta i vivai davano panchinari, ma anche cambi validi, c’era ricambio, scuola. Adesso? Guardando l’ordalia di Pesaro, la partita per la salvezza fra i dannati del povero Leka e la ciurma del povero Lepore, siamo andati con l’intervallo SKY alla famosa tavolata scudetto, alle glorie di Scavolini, alla storia. Un vuoto. Cosa potevano saperne quelli in campo.

Sperduti, come noi, nel pianeta del rosso invadente. Pochi soldi, poche idee, poco di tutto. Per paradosso, adesso che si pensa a palazzi con capienza minima di 5000 posti, ci troviamo con una ex scudettata, protagonista in Europa, con un palazzo da grande basket, con un piede in A2. Lo sport, la legge del campo direte voi. Niente da dire. Non sapremmo davvero come consolare Ario Costa nel giorno di san Riccardo, quel barone Sales che gli ha voluto davvero bene e non drammatizzava se aveva preso peso quando andava a trovare la nonna, gli gnocchi della nonna a Cogorno.

La proiezione a 5 giornate dalla fine condanna Pesaro e salva Cremona. La stessa visione dal pianeta rosso di chi può permettersi di stravedere dice per i play off dietro la Milano incerottata, uno squadrone decimato dagli infortuni, una squadra con anima fragile a cui basta la minima scusa per calare i bragoni, ma pur sempre la padrona del cortile, insomma dietro alla vincibile armata di Gelsomino Repesa, l’allenatore che ha preso più voti sotto la sufficienza nella recente storia di Milano, un segnale che dovrebbe far capire certe cose perché chi comanda non permetterebbe la gogna per il condottiero scelto pensando di fare uno squadrone che possa cavalcare in Europa, unico territorio degno del marchio, insomma nella scia dei meno peggio potrebbe essere Pistoia a beffare tutti. Bravo Esposito.

Se fai 95 punti in trasferta, anche con supplementare, vuol dire che hai lavorato davvero bene. Certo chi può dire adesso come finirà il viaggio di Attilio Caja nella missione impossibile che gli aveva affidato Varese? Filotto da sei vittorie, da ultimo alla zona play off. Ma ancora troppo lontano. Meglio per lui, perché sapete come ragiona certa gente. Ti ingaggiano, sono umili, piangenti, in zona rossa, con tensioni interne. Ci salvi, caro Artiglio. Certo che se ci riesce lei resta. Lo ha già sentito, proprio a Varese. Non lo confermarono. La mamma dei finti intelligentoni è sempre incinta. Comunque sia Caja ed Esposito sono quelli che al momento ci emozionano di più insieme al paron Zorzi che ancora si chiede: perché non mi chiamano? Fanno cose importanti con poco. Certo era difficile credere che fosse soltanto Moretti a non capire che i liberi lavoratori di Varese avevano qualcosa dentro. Restiamo convinti che non fosse tutta colpa sua, ma certo gli era sfuggito il potenziale di uomini che oggi fanno la differenza.

Queste nostre squadre senza vivaio

Mai illudersi troppo su certe reazioni del mercenariato che abbiamo messo nelle nostre squadre senza vivaio, ancora oggi convinte che non sia conveniente costruirsi in casa i giocatori, meglio spolparli, i ragazzi, campi estivi, palestre affollate, venghino, venghino, allenatori un tanto al chilo. Tanto ce ne sono sempre sul mercato. La stessa cosa che avviene ai piani di sopra. Sappiamo bene che le società si vantano di aver avuto per poche lire l’allenatore disoccupato. Ne pagano volentieri due, ma i prezzi sono sempre al ribasso.

Chiedete a Recalcati che si è trovato davanti alla realtà dopo aver vissuto il periodo dell’incanto, lo stesso che Barshin aveva avuto quando sostituì Kurtinaitis. Per un grande allenatore che non avrebbe avuto bisogno di spiegare certe cose la confessione sulla reale qualità della squadra che ha portato al largo dalla zona retrocessione, ma impossibile da recuperare per i play off che sono come Marte anche per altre pretendenti che ne avevano bisogno. Tipo Torino o Brindisi che se non andranno oltre i 28 punti potrebbero non prendere la Pistoia proiettata verso questa quota dopo 2 vittorie che non erano pronosticabili. Già. Ma chi avrebbe mai creduto che Crosariol sarebbe entrato in sintonia con Esposito, così lontano da lui come storia sportiva? E’ avvenuto. Il lavoro paga.

Cercare nella mente e nell’anima è una qualità rara. Se ci riesci sei fra i grandi allenatori. Vincenzo promette di poterci arrivare. Ci è arrivato benissimo, ma non ha proprio fortuna, il Buscaglia di Trento che ha scelto la domenica di Quaresima per far divertire gli statistici: questa Milano una paga del genere in casa non l’aveva mai presa. Come detto, ai commessi dell’Emporio basta una scusa per correre nel retrobottega a fumare o ballare. Questa volta avevano in mano le penne del povero Jasikevicius e dello Zalgiris Kaunas. Erano tornati soltanto alla viglia dalla Lituania. Sanders si è fermato quasi subito. Cianciarini ed Hickman che a Kaunas avevano rivisto il sole sono caduti nelle tenebre. Figurarsi se potevano provare emozione per la celebrazione della coppa dei campioni vinta a Losanna trent’anni prima. A quelli non ha mai detto niente neppure il filmato del successo nel 1966, il primo nella storia del basket italiano, la vera coppa dei campioni conquistata a Bologna sullo Slavia Praga, colosso di un paese che era scuola.

Non bastano i ricardi, in quelli ci si perde

Certo è chiedere troppo. La storia di una società la respiri se te la fanno capire dove vai a lavorare. Non bastano i ricordi. In quelli ci si perde. Prima di Cantù-Varese la Rai ci ha mostrato cosa era quella sfida non tanto tempo fa. Dobbiamo ammettere che come a tutti i nostalgici, quelli stupidamente convinti che i loro tempi fossero migliori di quelli attuali, abbiamo sentito qualche brivido. Quelle facce, quegli uomini, Il Pierlo, il Ciccio Della Fiori, l’Aldo, il Bob. Insomma loro, i giganti. Ci capiterà la stessa cosa il 2 maggio quando Papetti radunerà combattenti e reduci per rivedere i tre spareggi scudetto fra Milano e Varese, nella speranza di tornare con piedi sulla terra che ci ospiterà ancora per poco.

Nel rimpianto, in questa melensa ricerca del bello come ci piaceva viverlo una volta attorno o su un campo di basket, abbiamo scoperto, le notti degli anziani non sono tutte tranquille, di fare una gran fatica a distinguere fra realtà e favola, arrivando persino a considerare ancora fra di noi gente che se ne è andata. Per questo non ci saremo a Bologna per la consegna della borsa di studio intitolata a Porelli e sostenuta economicamente dalla federazione di Petrucci, come non siamo andati alla cena dove si radunavano tutti quelli gratificati dall’avvocatone, i membri di una lega legatissima, quella del “noi siamo noi”.

Sempre restando nella sala giochi del Rinco Sur non facciamo fatica a confessare di rivedere, ogni giorno, ogni notte, i campioni che ci hanno fatto compagnia in questo viaggio nel basket italiano. Non tanti giorni fa un amico ci chiedeva di una partita, una rissa, una storia come tante ne abbiamo viste e vissute. Quasi nebbia nel ricordo, ma qualche traccia e alla fine la trovata: guarda, sarebbe meglio se chiamassi Pino Brumatti. Lui c’era. E’ stato un protagonista, ci ha rimesso pure una mano. L’amico di buon cuore non ci ha ricordato che purtroppo il nostro caro Pino Pino non c’è più da qualche anni. Ha fatto bene. Per noi quelli giocano sempre come nel campo dei sogni che costruì Costner quando volle riavere sul campo di baseball il padre e i grandi del suo tempo.

Non chiediamo scusa. Non vogliamo essere compatiti. Quelli di ieri ci piacciono più di quelli di oggi perché non avevamo bisogno di guardarli dietro una lente fasulla, perché sapevamo come e dove erano nati, come erano stati educati al gioco e alla vita.

Certo che il domani è nelle mani di chi pensa che questo basket debba essere un altro sport. Certo che vivere nel rimpianto è peggio che giocare a scopa nell’ospizio. Ci piace così. Fatevene una ragione. Domani toccherà a voi, anche se per molti l’unico ricordo vero sarà il rumore della musica sparata a palla in un basket che aveva trovato l’armonia di un organo, che non avrà mai una banda al seguito, salvo quelli pagati, perché dall’America abbiamo copiato le cose che facevano scena, siamo ancora adesso schiavi delle pantomime dei grandi Harlem, mai la vera atmosfera che si vive nelle finali universitarie dove, purtroppo, è caduto il caro Auriemma.

E, adesso, divertiamoci con le pagelle

Pagelle senza tener conto di Venezia-Avellino perché alla Reyer diamo un voto europeo, che va oltre il suo bel viaggio in campionato, anche se non dovesse vincere nelle finali a Tenerife, anche se dovesse accontentarsi dei 60 mila euro per il quarto posto invece dei 340.000 che andranno alla vincitrice, ai 100 mila per la seconda e gli 80 mila per la terza. Come si vede cifre ben distanti da quella dell’eurolega ULEB do0ve Milano, anche in una stagione senza gloria ha pur messo in tasca 240mila euro e potrebbe arrivare a 270 battendo Kazan nell’ultima fatica al Forum.

10 A Boscia TANJEVIC per il bel viaggio che ha fatto insieme a Gigi RIVA nella sua Sarajevo, 25 anni dopo l’inizio dell’assedio e delle mostruosità, per come ha saputo raccontare ancora una volta la storia di quella scuola cestistica che nella diaspora ci ha regalato più giocatori, ma ci ha lasciato tante tristezze. Soltanto lui e l’autore dell’Ultimo rigore di Faruk potevano riportarci dove con il nostro caro compagno di avventure Grigoletti vivemmo la storia di quella Bosna che era il Leicester del tempo, forse anche di più, solo giocatori fatti in casa, che vinse a Grenoble la coppa contro Varese, conoscendo il Dule che è stato maestro del giocane Tanjevic.

9 A DE RAFFAELE, comunque vada nelle finali, perché è l’unico che ha portato una squadra italiana al massimo livello europeo. Non era facile in mezzo al caos creato dagli infortuni, dalle faticose sedute dove non è mai facile far capire che in una squadra prevale il NOI, mai l’IO.

8 A Tonino ZORZI che si domanda ancora perché non ci siano società che gli offrano di tornare a lavorare in palestra come sapeva fare lui. Certo è ridicolo sprecare tanto talento, qualità, sapere, passione soltanto guardando stupide carte d’identità. Nel raccontare a Tosi la sua Reyer, quella di Carain, quella di Dalipagic e dell’Haywood sempre in acqua alta, ci ha fatto venir voglia di andare a vederlo mentre guida i veterani di Azzurra nel tempo.

8 A Romeo SACCHETTI che anche se ha perduto una volata sul campo della sua gloria sassarese, anche se forse ha perduto, per quel canestro allo scadere, il treno play off, non si è dimenticato che quella Dinamo è stata e sarà per sempre la sua grande invenzione. Sua e della società. E’ giusto che ora non si guardino in cagnesco, perché ripetere certe meraviglie non sarà facile. Bravo anche Brian, 1 su 4 da 3, a non farsi rincorrere sul campo dal padre: Anche tu figlio mio.

7 Al MENETTI uscito illeso dalla tempesta che sembrava avergli rubato il grande progetto per una grande Reggio Emilia. Come ogni anno sul filo del rasoio, contestato ed amato. Ma sempre saldo in sella, pazienza se qualcuno dei suoi ragazzi, per egoismo, ha cercato di farlo cadere.

6 Ad Aaron CRAFT che sta diventando il vero direttore d’orchestra nella nuova Trento, una società che non si è scomposta quando sembrava che tutto dovesse essere ricostruito da capo. Certo Trento è magica. Fra pallavolo e basket questo fine settimana è stato da aquile imperiali.

5 ALLA FIP se non deciderà subito come dovremo pensare il prossimo campionato. Allargare a 18 squadre, rivedere i concetti d’iscrizione, tutte cose da fare alla luce del sole. Servono gli Stati Generali. Cambiare subito, cambiare tanto, non tutto. Peccato che non si possa intervenire sui minuti di sospensione a fine gara. Una illusione che paga raramente l’ego degli allenatori.

4 A REPESA perché non può gratificare i suoi ormai pochissimi estimatori con partite come quella di Kaunas, sì certo era da fil “Lui è peggio di me”, per poi frantumarsi contro una difesa come quella di Trento.

3 A Riccardo FOIS, friulano, assistente all’università Gonzaga di Spokane arrivata alla finale NCAA perché questa sua brillante storia nel basket universitario statunitense, questo suo viaggio, questa avventura meravigliosa, ci ha fatto capire quanto talento stiamo sprecando. Purtroppo non soltanto nel basket.

2 A MESSINA se davvero è stato visto mentre si fregava le mani perché il Gallo con Denver e Charlotte con Belinelli resteranno fuori dai play off. Non è ancora scritto, ma sembra possibile. Certo a lui conviene averli freschi, ammesso che non ci si metta di mezzo il mercato.

1 A PESARO che non ha più santi, purtroppo neppure Santi Puglisi, per difendere il suo posto in A1. Le resta soltanto la storia e un a bella arena, anche se questa dei palazzi di qualità sembra una maledizione. A Livorno costruirono e sparirono. Stessa cosa a Rimini, Vigevano. Non parliamo di Torino che ci ha messo anni per tornare pur avendo tre palazzi, non fateci pensare a Bologna o, magari, anche a Verona e persino a Treviso.

0 A Boscia TANJEVIC che nel viaggio con RIVA ha negato di aver aiutato più di mille in fuga dalla sporca guerra. Noi siamo convinti che sono stati molti di più, così come facciamo fatica a pensare che ci sia qualcuno in questo arido basket capace di capire quando gli allenatori danno davvero a società, giocatori e quando si presentano soltanto per incassare.
 

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