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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Italian Graffiti / La "patacca" romana del Museo dello Sport

Giovedì 23 Febbraio 2017

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di Gianfranco Colasante

Passano gli anni, ma l'assunto che il nostro sia l'allegro paese degli annunci, come confermano anche le ultime penose vicende politiche, non viene mai smentito dai fatti. Un vezzo molto radicato, ma che non è di oggi. Quest'anno (ma chi se lo ricorda tra i maggiorenti?) cadono i venti anni dall'annuncio del Museo dello Sport. "Una vera patacca alla romana, un museo di fantasia presentato come vero. Qualcosa che fa venire in mente Totò che vende all'americano la Fontana di Trevi", sintetizzava tempo addietro il Corriere della Sera. Dunque, riepiloghiamo: siamo nel 1997, come dire in prosssimità dell'assegnazione dei Giochi del 2004. Roma aveva presentato la sua ennesima candidatura contro Atene, ma il cerino (spento) le restò ancora in mano.

Nelle more di quella proposta - presidente del CONI era Mario Pescante, sindaco di Roma era Francesco Rutelli -, e per dare maggior forza, presumiamo, venne presentato al CIO (allora presieduto dal discusso marchese Samaranch di dichiarate simpatie franchiste) il progetto di dotare Roma di un Museo dello Sport. Lo illustrava una lussuosa brochure - 8 pagine nel formato 30x20 - che annodava il Campidoglio al Foro Italico nel nome della cultura e dell'arte. E che, ovviamente, puntava sul collaudato richiamo della storia antica. Come ignorarla?

Nello specifico, il Museo (The Sport Museum, si leggeva sulla copertina) sarebbe sorto in un palazzo lato Tevere, prospicente il Circo Massimo, a due passi dal Tempio di Vesta. Quale maggiore nobiltà dei luoghi, anzi della location come si direbbe oggi? Invece era "una struttura inventata lì per lì". Proviamo a sfogliare quella pubblicazione. Su cosa puntavano i contenuti? Ce lo facciamo dire ancora dal Corriere della Sera.

Dunque. "Ecco gli atleti in corsa del V secolo a.C. dell'Archeologico di Palermo, le mappe dell'Urbe antica, addirittura le piantine del I e del II livello del Museo con la distribuzione funzionale degli spazi. Il Discobolo Lancellotti, una coppa attica sempre del V secolo a.C. (dei musei Capitolini), un'anfora panatenaica con pugili dal Museo di Taranto, una bella testa marmorea d'atleta, la statua del Corridore di Velletri. E ancora: strigile e patere in bronzo del II secolo a.C. in prestito dall'Antiquarium". E così via.

"Quanto al percorso del visitatore, si partiva da reperti dei Giochi Panellenici arrivando alla Roma del Circo Massimo, dello stadio di Diocleziano, del Ludus Magnus del Colosseo, delle Terme di Caracalla e del Circo di Massenzio fino ai nostri tempi con proiezioni, istallazioni tecnologiche, pannelli fotografici ed effetti di luce." E pensare che al tempo Internet muoveva appena i primi passi.

Come andarono poi le cose a Losanna è fin troppo noto. Quel 5 settembre del 1997 i membri del CIO non dettero molto credito al Museo, e a tutto il resto, scegliendo largamente Atene. E pensare che in campo era sceso pure Pavarotti col suo immancabile "Vincerò", mentre a Piazza di Spagna, mestamente, si scioglieva la festa ch'era stata preparata con la sua bella diretta televisiva.

Ma chi più restò con "un palmo di naso" fu Walter Veltroni, allora vice-presidente del governo Prodi, che molto aveva spinto e s'era spinto. "Venuto apposta per brindare, ci rimase molto male" e se la prese con Pescante, reo di non aver fatto vincere la Capitale. Le conseguenze sono (o dovrebbero) essere assai note. Quanto alla lussuosa brochure, le copie residue finirono al macero.

Un'ultima chiosa. La candidatura era costata 15 miliardi di lire, dei quali solo 2,7 erano stati coperti dal Comune e dalla Camera di Commercio. Sul resto si trattò a fatica, dopo la fuga dei ... promessi sponsor. A fine anno vennero licenziati i 40 dipendenti che avevano lavorato alla Candidatura e che, per far fronte alle difficoltà economiche, s'erano addirittura ridotto lo stipendio del 20%. Lo stesso Direttore Generale - Raffaele Ranucci - aveva rinunciato in toto al suo compenso, devolvendo i 250 milioni di sua spettanza al restauro del ... Tempio di Vesta.

Quindi, alla fine, qualcosa restò. E il progetto del Museo? Su quello calò il silenzio. Verrà ripreso in altre forme e con finanziamenti diretti da parte dell'Erario - con la lira sostituita dall'euro - in direzione Foro Italico (Casa delle Armi). Ma come sia poi andata a finire, ve lo racconteremo un'altra volta. In fondo, neanche gli altri Musei - quelli seri - da noi se la passano tanto bene, come esemplica la recentissima vicenda, per restare a Roma, del Museo della Civiltà.  

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