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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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Atletica Rio (10) / L'alto tasso tecnico dell'atletica olimpica

Lunedì 22 Agosto 2016

kipchoge

di DANIELE PERBONI

E che cavolo! Ma perché continuano a incaponirsi e schierarsi alla partenza delle prove di lunga lena? Sarà lo spirito olimpico? O il desiderio di misurarsi? O un pizzico di masochismo, unito a tanta follia? Proprio non riusciamo a comprenderlo. Tutti gli anni, in ogni singolo appuntamento, sono lì, in prima fila, pronti e determinati. Con le loro belle colorate magliette, scarpe luccicanti, occhiali da sole anche se piove a dirotto, e quella pelle bianca, al massimo con l’abbronzatura stile muratore, che già ti mette il sospetto come potrebbe andare a finire. Non sempre, sia chiaro, ma il più delle volte non c’è lotta. Loro, quelli lunghi, secchi e neri, con facce rugose da giovani vecchi, anche se sulla carta d’identità qualche inconsapevole funzionario ha scritto che di anni ne hanno meno di …, impassibili partono, corrono, vincono con leggerezza infinita, lasciando ai visi pallidi solo le briciole. Proprio come è successo nella maratona olimpica di Rio.

I risultati dell'atletica nella sezione Rio 2016

Pronti via e tutti in gruppo allegramente. Dopo circa 45 minuti Eliud Kipchoge si affaccia davanti per annusare l’aria che tira. Poco prima Daniele Meucci aveva abbandonato la compagnia. Addio sogni di un possibile piazzamento nei primi dieci. Medaglie neanche pensarci! Piano piano l’andatura aumenta e il gruppone perde pezzi allungandosi in una teoria infinita. Al trentesimo rimangono in tre: Kipchoge, l’etiope Feiysa Lilesa e, sorpresa, l’americano Galen Rupp, quinto nei 10.000 di Farah. E in questo ordine arriveranno alla fine. Gli altri azzurri? Lontani con tempi che neanche a Roma ’60.

Il vecchio nandi torna sul podio

Il vecchio Kipchoge, già, il cui nome significa nato nei pressi del capannone di stoccaggio di grano”. Quasi 37 anni, quando ne aveva 19 (e si dice anche tre figli, precoce il ragazzo!) vinse, sorprendendo il mondo, i 1500 ai Mondiali di Parigi. E questo è il primo oro olimpico che si mette al collo, dopo l’argento di Pechino 2008 e il bronzo di Atene 2004. Ma lui è un Nandi, tribù guerriera della Rift Valley che diede i natali al mitico Keino considerato il “padre” dell’atletica keniana. Una tribù, la sua, dai cui membri provengono gli esperti dei rituali religiosi noti come “Orkoiik”, che imprimevano una sorta di benedizione prima delle spedizioni militari. Pericolosi questi Nandi, e non solo in pista, se è vero che a cavallo del secolo scorso, l'amministrazione coloniale britannica riteneva la “Nandi Orkoiik” responsabile della fiera resistenza della tribù al dominio coloniale. La più violenta e sanguinaria.

Questa lunga premessa per analizzare, al di la dei singoli risultati tecnici, l’atletismo mondiale in chiave olimpica. Chiediamo aiuto ai freddi numeri, anche se possono infastidire i meno esperti e chi si approccia a questo mondo unicamente in occasione dei grandi eventi e ne conosce e apprezza solo il lato agonistico.

Qualche numero per capire

Che l’atletica sia alla base dello sport moderno è dato più che assodato. Le circa duecento nazioni associate alla IAAF (la Federazione Internazionale) sono lì a testimoniare quanto sia diffusa questa disciplina nei due emisferi. Anche nelle più sperdute lande e nelle microscopiche isole tropicali. Dobbiamo ripetere quanto siano naturali i gesti dell’uomo e quanto ricalchino le diverse specialità? Non ci sembra il caso.

Però, lasciatecelo dire, salire sul podio di qualsiasi manifestazione internazionale è tremendamente ostico e difficile. Tanto più se parliamo di Giochi Olimpici. Ed ecco che ci vengono in soccorso i numeri reclamati sopra. Il medagliere conta la bellezza di 35 nazioni, guidate, come di consueto, dagli Stati Uniti con 32 “patacche” complessive (13 ori, 10 argenti, 9 bronzi).

A sorpresa, ma non tanto, segue il Kenia con 13 (6 ori, 6 argenti e 1 bronzo) che, a sua volta precede Giamaica (6, 3, 2), Cina (2, 2, 2), Sudafrica (2, 2, 0), Gran Bretagna (2, 1, 4), Croazia, questa sì una vera rivelazione (2, 0, 1), e Germania (2, 0, 1), tanto per fermarci alle prime otto. Del vecchio continente, oltre alle già citate, sono presenti Polonia, Spagna, Belgio, Grecia, Repubblica Slovacca, Francia, Bielorussia, Bulgaria, Danimarca, Olanda, Repubblica Ceca, Ungheria, Serbia e Ucraina.

Ma è la classifica a punti che può offrire maggiori spunti di interesse. In questa speciale tabella, per ogni piazzamento fra i primi otto vengono assegnati 8 punti al primo, sette al secondo, sei al terzo e così a scalare sino ad un punto per l’ottavo. Così è possibile tastare in profondità il livello di sviluppo di un determinato paese. L’eccellenza può sempre capitare. Il campione può nascere, crescere e diventare grande anche per un evento fortuito. Ma i rincalzi di eccelso livello offrono una visione complessiva sul movimento.

Strade diverse per il successo

L’esempio classico è la Giamaica. Usain Bolt è un mito, vince nove medaglie, ma nell’isola caraibica non è un fiore nel deserto. È tutta la velocità, maschile e femminile, che eccelle dai 100 ai 400 metri. Una scuola che, sull’esempio dei più grandi, continua a fare proseliti e sfornare atleti di primissimo piano. Si potrà dire che la genetica li favorisce, che in quella parte del mondo si sono concentrate (complice la deportazione di schiavi dei secoli scorsi) le fibre muscolari più veloci della terra. Sarà pure vero, certo, ma se queste qualità non vengono coltivate e incentivate sin dalla giovane età, la “natura” può arrivare sino ad un certo punto poi si ferma. La specializzazione e l’esasperazione nella preparazione è tale che il talento da solo non basta più.

Altro esempio? Prendete la Polonia, dove la cultura dei lanci è qualcosa di maniacale. E non per caso hanno intascato l’oro nel martello donne, l’argento nel disco uomini e il bronzo nel martello maschile. Andiamo avanti? Sempre restando in Europa, la Germania viaggia stabilmente nella parte alta delle classifiche e del medagliere. E tutto questo lo deve in parte, seppur siano passati 25 anni, alla vecchia Germania dell’Est. Bestemmia? Mica tanto. Andate a vedere le schede degli atleti tedeschi. Almeno il 25% sono nati oltre il vecchio muro. Evidentemente la cultura dello sport è entrata così profondamente nella società da restare ancora “produttiva”.

Dunque, nella classifica citata sopra, si contano 68 bandiere. E ancora una volta sono gli Stati Uniti che comandano il gruppo con 310 punti totali. Seguono Kenia (131), Giamaica (106), Gran Bretagna (93), Cina (81), Germania (73), Etiopia (72), Canada (65) e giù, giù sino a Guyana, Siria e Panama che chiudono con soli due punti. E il piccolo stivale? Siamo ventottesimi, come l’infinitamente più piccolo Belgio, con 14 punti, grazie al quarto posto della Palmisano (20 km di marcia), al quinto della Trost (alto), al sesto della 4x400 donne e ai due ottavi piazzamenti di Giupponi (20 km di marcia) e Grenot (400).

La valanga dei primati, non soltanto mondiali

L’altissimo tasso tecnico ha partorito una sfilza di primati, su cui spiccano i tre mondiali: 43”03 nei 400 di Van Niekerk, 29’17”45 di Almaz Ayana nei 10.000 e 82.29 nel martello di Anita Wlodarczyk. Accanto a questi ecco i nove record olimpici, i 10 continentali e i 99 nazionali (compreso quello della nostra 4x400 ottenuto in batteria). Basta tutto questo per convincere i più scettici dell’universalità e della bontà di questo sport?

Naturalmente restiamo in attesa di eventuali controlli antidoping e relative squalifiche. Già tante, troppe, volte abbiamo gioito per risultati eclatanti per poi scoprire che qualcuno aveva barato. E quante volte sono state assegnate medaglie postume, togliendo la gioia di festeggiare a chi aveva vinto pulito? Che tutto sia rose e fiori ormai è pura utopia, ma lasciateci sognare da vecchi appassionati. Gli incubi, per ora, preferiamo lasciarli fuori dalla porta.

 

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