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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Atletica Rio (5) / Conferma Taylor e Perkovic, rimpianti per Gimbo

Mercoledì 17 Agosto 2016

perkovic

di DANIELE PERBONI

La pedana del disco femminile ci narra un’altra storia che i numeri non riescono e possono raccontare. Le fredde statistiche sono ottime compagne di viaggio per giornalisti e appassionati. Permettono di capire, analizzare, studiare, sviscerare ogni momento di una determinata disciplina e dei suoi protagonisti, gli atleti. Ma è solo con le parole che è possibile capire sino in fondo i sentimenti, le tensioni e le passioni che scuotono l’anima di chi dedica ore, giorni, mesi e anni al duro lavoro per raggiungere traguardi che, a volte, paiono irraggiungibili utopie. Tarda mattinata brasiliana, ore 11,20. Sandra Perkovic, croata ventiseienne, scende in pedana con altre dodici colleghe per mettere in scena il secondo e ultimo atto della loro rappresentazione. Sembra una predestinata Sandra: il disco è la sua vita. L’unica cosa che le riesce al meglio. Sempre. Negli ultimi vent’anni resta l’unica ad aver lanciato oltre i 70 metri. 71.08 per la precisione, a Helsinki nel 2014. La precedono una schiera di ragazzone che costantemente superavano quella barriera che oggi sembra stregata. Ma allora certe pratiche magiche erano quasi le regola.

Sembra tranquilla. Soliti gesti scaramantici, il riscaldamento nel campo vicino è eseguito alla perfezione. L’incubo delle qualificazioni lasciato alla spalle. Già, nei turni eliminatori aveva visto il mondo crollare, grazie (o per colpa) di due nulli. Il passaporto comunque è arrivato. Ma tutto si complica anche in finale. Mentre la francese Robert-Michon centra il “season best” con 65.52, la Perkovic sballa due lanci. Al terzo il miracolo: il 69.21 (unico lancio valido) con equilibrio precario, ma mantenuto, in pedana, le regala l’oro. Il secondo dopo quello di Londra 2012 che, abbinato all’oro iridato di Mosca 2013 e all’argento di Pechino 2015 oltre ai tre successi continentali consecutivi la collocano nell’olimpo della specialità. Ma non è finita. Al quinto turno, la 37.enne Melina Robert-Michon con una gran spallata azzecca un lancio che sembra non atterrare mai: 66.73 che le regala “solo” l’argento (il secondo dopo quello iridato di Mosca 2013) e il record francese. Bronzo alla cubana Denia Caballero (65.34).

Numeri olimpici: la Perkovic con due ori affianca la tedesca dell'Est Evelin Jahl (Montreal ’76 e Mosca ‘80) e la sovietica Nina Ponomaryova (Helsinki 1952 e Roma 1960). La Croazia affianca i due ori tedeschi e statunitensi. La vecchia Unione Sovietica guida ancora la truppa con quattro ori davanti all’ex Germania dell’Est con tre.

Sandra: una storia di coraggio

Eppure la ragazzona croata (85 chili distribuiti su un metro e 83) è stata sull’orlo della vita e morte. Era il Natale 2008. «Tutto è iniziato – racconta – con un dolore addominale. In ospedale erroneamente mi hanno diagnosticato un virus intestinale, quando in realtà era una appendicite, rimandandomi a casa. Però continuavo a peggiorare, con febbre altissima a 42-43. Mi sono ripresentata al pronto soccorso, ma ormai l’infezione stava dilagando. Ad intuire tutto è stato il dottor Lackovic che mi ha spedita immediatamente in sala operatoria. Purtroppo l’intervento non è riuscito alla perfezione. Il mio stomaco continuava a peggiorare e il 6 gennaio sono tornata sotto i ferri. Questa volta ad operarmi è stato lo stesso Lackovic. Ma non erano certi della mia sopravvivenza, tanto che dissero a mia madre di pregare per me. Però sono riuscita a superare quel momento grazie anche al mio fisico. Nessuno credeva che sarei ritornata in pedana».

Da quel giorno la sua vita ha iniziato a scorrere come un film. Già nel luglio di quell’anno (2009) ha vinto i Campionati Europei juniores con un lancio a 62.44. Più di sette metri di vantaggio sulla seconda classificata. E quella misura le ha “regalato” il minimo di partecipazione per i Mondiali di Berlino, dove è finita al nono posto. Un piazzamento di tutto rispetto per una esordiente diciannovenne, che comunque l’ha lasciata insoddisfatta. La trovarono piangente in zona mista. In una specialità dove la maturazione agonistica e soprattutto tecnica si raggiunge non prima dei 25-27 anni, quelle lacrime sembravano eccessive, … La più anziana in pedana a Berlino aveva 20 anni di più. Ma quel risultato è stata la pedana, è proprio il caso di dirlo, di lancio da cui è iniziato tutto il suo percorso agonistico successivo. Chi avrebbe scommesso su quella esuberante ragazza che nelle qualificazioni dei Campionati continentali di Barcellona 2010, si nascose ai giornalisti croati per la vergogna di aver lanciato solo 55.70, credendo che con quella misura non sarebbe mai approdata in finale? Per sua fortuna fu sufficiente … e vinse il titolo.

Nella sua carriera Sandra ha subito anche un “incontro ravvicinato” con la squalifica per doping. Nel giugno 2011 fu trovata positiva ad uno psico stimolante contenuto in una bevanda energetica di fabbricazione statunitense. Dichiarò di non essere a conoscenza del contenuto di quel liquido. Fu creduta dalla sua federazione e dalla IAAF, beccandosi, così, solo sei mesi di squalifica. L’infrazione le costò però la partecipazione ai Mondiali di Daegu. «Cosa avrei fatto nella vita se non avessi “incontrato” il disco? Non lo so, ma penso che non avrei scelto nulla di diverso. Ho lavorato duramente e non mi pongo limiti».

Triplo: copia conforme di Londra 2012

Anche il triplo ha ritrovato l’identico “padrone” olimpico: Christian Taylor, ventiseienne statunitense autore di uno step-hop-jump misurato 17.86 (+0,7). Anche l’argento veste il collo del secondo di Londra: il connazionale Will Claye grazie all’eccellente 17.76 (+0,4). Bronzo al cinese Bin Dong con 17.58 (-0,2), infortunatosi al terzo salto e rimasto a guardare gli eventi. Taylor è il secondo triplista statunitense a poter vantare due ori. L’altro è il pioniere Prinstein (inizio del secolo scorso). Particolare curioso: i migliori tre hanno ottenuto la miglior misura al primo turno di salti. Le tre serie di salti. Taylor: 17.86/+0,7 (record stagionale), 17.77, nullo, 17.77, nullo, nullo. Claye: 17.76/+0,4 (record personale), nullo, nullo, 17.61, nullo, 17.55. Dong: 17.58/-0,2 (record personale), nullo, nullo.

Claye ha allungato la collezione di medaglie olimpiche. Ai due argenti, infatti, può aggiungere anche il bronzo di Londra nel salto in lungo. E per suggellare una giornata memorabile, Clay ha chiesto alla fidanzata, l’ostacolista Queen Harrison, di diventare sua moglie. Per ora resta sconosciuta la risposta, … Sopra i diciassette metri sono atterrati anche l'altro cinese Cao Shuo (17.13), il colombiano John Murillo (17.09.e record nazionale) e l'ex-campione olimpico il portoghese Nelson Evora (17.03).

Cresce, cresce a dismisura il rammarico di non avere in pedana Gimbo Tamberi, specialmente alla luce di quanto poco bastasse per mettersi al collo una medaglia olimpica. Misure che il primatista italiano ha dimostrato di avere ampiamente nelle gambe. Si vince, infatti, con 2.38 e il migliore del lotto è il canadese Erik Drouin che si lascia alle spalle il qatarino Mutaz Essa Barshim a 2.36 e l’ucraino Bohdan Bondarenko (2.33).

Nei 1500 metri donne la favorita, l'etiope Genzebe Dibaba, si lascia avvolgere nella “tela di ragno” di una gara tattica sin quasi esasperante. Così quando la gara si accende, non riesce a rintuzzare l’attacco della keniana Faith Chepngetich  Kypiegon, seconda a Pechino, proprio alle spalle dell’etiope, e deve difendere con i denti anche il bronzo. Finisce in questo ordine: Kypiegon 4’08”92, Dibaba 4’10”27, Jennifer Simpson (Usa) 4’10”53.

Negli ostacoli alti, il giamaicano Omar McLeod chiude il suo anno d'oro e conquista, dopo il Mondiale indoor di Portland, anche l'oro olimpico di Rio. In finale è il più veloce e finisce in 13”05 (+0.2), lasciandosi agevolmente alle spalle lo spagnolo di origine cubana Orlando Ortega (13”17) e il transalpino Dimitri Bascou (13”24)

Disco rosso per gli italiani
 
In mattinata, nei 200, il vicentino Matteo Galvan passa il turno, approdando alla semifinale grazie al 20”58 ottenuto in rimonta e controvento (-1.5), a 8 centesimi dal personal best. Nella sua batteria, la quinta, meglio fa solo Justin Gatlin con 20”42. Ecco i migliori delle batterie. De Grasse (Fra) 20”09/+1,0, Horteland (Esp) 20”12/-0,2 (Record nazionale), Blake (Jam) 20”13/-0,2, Ashmeade (Jam) 20”15/+0,4, Merritt (Usa) 20”15/+0,4, Edwards (Pan) 20”19/+0,7, Yaqoob (Brn) 20”19/+0,3 (Record nazionale), Brenes (Cro) 20”20/+0,2 (Record nazionale). E Bolt? Vince facile facile la sua batteria (la nona) con un allungo cronometrato 20”28/+0,6. Quindicesimo tempo su 76 classificati. Il peggiore? Didier Kiki (Ben) 22”27. Spirito olimpico rispettato!

Disco rosso, sempre nei 200, per Fausto Desalu, quinto con 20”65/0.0 e Dave Manenti, quarto con 20”51/+0.2. Fuori anche la specialista dell’asta Sonia Malavisi, arresasi a 4.45. E non ci saranno maglie azzurre nella finale dei 400 con barriere. Pur ottenendo il primato stagionale (55”78), Yadisleidy Pedroso non riesce ad andare oltre il quinto posto nella sua semifinale, piazzamento e crono che non bastano per la promozione. «Se considero l’infortunio, il tempo necessario al recupero, il fatto che io abbia ricominciato a correre in aprile, la quantità di lavoro che mi sono imposta per accorciare i tempi, sono davvero soddisfatta. La forma sta arrivando proprio adesso, è un peccato che io non possa correre un’altra volta. Ma lo farò dopo le Olimpiadi, credo di potermi migliorare ancora, e ci proverò» le sue dichiarazione nel dopo gara. 

La diciannovenne Folorunso è mestamente settima (56”37), peggiorando la prestazione dei turni precedenti. «Mi spiace per come è andata ma non posso rimproverarmi nulla, in pista sento di aver dato tutto. Evidentemente devo aver speso molto in batteria, non solo a livello fisico, ma anche sul piano nervoso. Questa esperienza mi è servita: l’atletica olimpica è veramente un’altra cosa, spero di mettere a frutto in futuro quel che ho imparato qui». Sì, il tempo gioca dalla sua parte. Diamole fiducia.

 

 



 

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