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Atletica Rio (2) / Il guerriero Farah si prende ancora la scena

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Domenica 14 Agosto 2016

farah

di DANIELE PERBONI

Succede tutto in poco più di sessanta minuti nella seconda giornata. Sulla pista la gioia del britannico/somalo Mo Farah, sulla pedana la delusione del connazionale di pelle bianca Greg Rutherford. Quasi la fotocopia di Londra 2012. In quell’occasione, però, il metallo più prezioso fu messo al collo di entrambi i protagonisti. A Rio, invece, l’uomo resistente si riconferma nei 10.000 (27'07"17), mentre il lunghista deve accontentarsi del bronzo (8.29), battuto dallo statunitense Jeff Henderson (8.38/+0,2) e dal sudafricano Mayorga (8.37). Sembra imbattibile Mo. Ci hanno provato in tanti e applicando tutte le strategie. Niente da fare. Resistenza unita a una velocità di base spaventosa (per quanto concerne uno specialista delle lunghe distanze) ne fanno un guerriero indistruttibile. In Brasile ci hanno provato keniani ed etiopi. Niente da fare anche per loro. Con un ultimo 400 corso in 55"37 e un ultimo chilometro coperto in 2'28"4 non ce n'è stato per nessuno. I compagni di viaggio hanno dovuto inchinarsi ancora una volta. Secondo è finito il keniano Paul Kipngetich Tanui (27'05"04) e terzo l’etiope Tamirat Tola (27'06"27).

Nella prima sessione di gare vanno in scena i giganti del disco, quei signori sprizzanti muscoli lucenti e potenza da fare impallidire il fabbro del villaggio dell’eroe gallico Asterix, ma con una dinamicità inaspettata, straordinaria e, soprattutto, necessaria per spedire lontano l’attrezzo. Non un martello come quello del dio del tuono, ma un piatto pesante un paio di chili. Per i neofiti di questa disciplina stiamo parlando di una prova che già duemila anni or sono i nostri antenati dell’Attica ne apprezzavano la magnifica plasticità che assumono i suoi adepti e che nel 455 a.C. fu magistralmente riprodotta da Mirone in una scultura bronzea “Il discobolo”, che ritrae un eroe spartano nell’atto di lanciare, appunto, un disco.

Disco: un affare di famiglia

Dunque, in questa antica e nobile arte, in cui noi italiani possiamo vantare alcuni fra i più grandi interpreti, risalenti, però, agli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale (vi rammentano qualcosa i nomi di Consolini e Tosi?), sul gradino olimpico più alto si è piazzato un tedesco di oltre due metri e fratello di un altro gigante che in carriera ha vinto tanto e tutto. Sono i fratelli Hartig. L’olimpionico brasiliano è il più giovane, Christoph, il maggiore è Robert, detto Ulk, diventato famoso più per l’uso di stracciare magliette che per le vittorie sulle pedane del mondo, ma trionfatore a Londra 2012. Vince il giovane Harting (68.37), per l’occasione giunto al “personal best”, battendo il veterano polacco Malakowski (67.55) e l’altro colosso teutonico Jasinski (67.05).

Nel primo scorcio di giornata salgono sul palcoscenico i signori del vento. Nei “quarti” finalmente si palesano i protagonisti di cui tanto si è parlato alla vigilia: Justin Gatlin e Usain Bolt. Diligentemente fanno il loro dovere restando un pochino nascosti e risparmiando energie nervose. Il più veloce è lo statunitense (10"01/+0,8). A seguire, ma in serie diverse, il rappresentante della Costa d’Avorio Meité (10"03/+0,2), il canadese De Grasse (10"04/-0,5) e il biolimpionico Bolt con 10"07 (-0,4). Pronostici? Meglio non farli, date retta, …

Velocità: si comincia con le ragazze

Di tutto rispetto, e ci mancherebbe, il parterre femminile, che ancora una volta schiera la giamaicana Shelly-Ann Fraser-Pryce, olimpionica a Pechino 2008 e Londra 2012. Fra cotanta nobiltà, spicca la mosca bianca, ma muscolosa come un cavallo di razza, Dafne Schippers, l’olandese fresca campionessa europea e detentrice del record europeo dei 200 (21"63). Succede, però, che a sfrecciare per prima fra le fotocellule (il vecchio e nostalgico filo di lana è stato abbandonato da millenni, tecnologicamente parlando…) è la caraibica 24.enne (28 giugno 1992) Elaine Thompson (10"71/+0,5), compagna d’allenamento della Fraser, che in questa occasione deve accontentarsi del bronzo (10"86). Già d’argento nei 200 ai Mondiali di Pechino 2016, alle spalle della Schippers, qui non meglio che quinta (10"90), e oro nella 4x100 sempre nella rassegna iridata cinese, la Thompson ha corso a un solo centesimo dal personale, il 10"70 centrato ai primi di luglio a Kingston. Il festival giamaicano è disturbato - si fa per dire - dal secondo posto della statunitense Tori Bowie finita a 10"83.

Al termine delle sette fatiche (non quelle di Ercole, l’eroe greco dovette affrontarne dodici) su tutte spiccano i 6810 punti della 21.enne belga Nafissatou Thiam (con uno straordinario 1.98 nell'alto) che ha preceduto la britannica, olimpionica uscente, Jessica Ennis-Hill (6775) e la canadese Brianne Theissen sposata Eaton (6653).

Spazio anche per alcuni azzurri. Promossa alle semifinali Libania Grenot nei 400, seconda nella sua batteria corsa in 51"17 (quinto tempo della giornata), Bocciate Maria Benedicta Chigbolu sempre nei 400 (52"06) e la triplista Daria Derkach, fermatasi a 13.56, 28.ima su 37 partecipanti. Qualcosa di meglio si poteva pretendere, dato che la ragazza vanta un personale di 14.15. Finita anche la corsa di Giordano Benedetti negli 800 caratterizzati da eccellenti risultati cronometrici. Approdato alle semifinali è stato escluso ma con onore. È finito al sesto posto della sua serie, ma centrando comunque il personale stagionale (1'46"41).
 

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