Doping / "Salvate il soldato Alex, ..."
Giovedì 23 Giugno 2016di LUCIANO BARRA
Mercoledì mattina lo stesso giornalista che a Londra mi aveva informato – via sms – della positività di Alex Schwazer, mi ha "messaggiato" il nuovo caso di doping dell’atleta altoatesino. Solamente che, questa volta, erano le 6 di mattina e per un V.i.P. (Vecchio in Pensione) questi shock sono difficili da assorbire. Mi sono così visto costretto ad andare sull’I-pad e leggermi l’esclusiva della Gazzetta (ma come mai solo loro?). Sono ancora stupito e credo che noi tutti dovremmo usare la cautela del caso e sperare che il tutto si chiarisca. Ma comunque il danno di immagine, e non solo, è fatto. Poi mi sono messo a riflettere chiedendomi il perché. E siccome amo, a differenza di altri, apprendere dal passato, mi è tornato in mente Pino Dordoni. E spiego perché.
Nel 1971 debuttavo come segretario generale della FIDAL ad Helsinki, Campionati Europei. Ne avevo fatti già due (Budapest 1966 e Atene 1969) come inviato dell’ANSA su richiesta di Sergio Chizzola, scomparso alcuni giorni fa. Eravamo al Villaggio Olimpico del 1952, il famoso Otaniemi. Posto storico, ma spartano (come capita nei paesi ad alto tasso di civiltà sportiva), e per questo divisi la stanza con Dordoni. Era lì con noi come “grande furiere” della squadra. Era eccezionale in tutto: come pagatore ufficiale, come chef in cucina, come fornitore del materiale sportivo e, soprattutto, come distributore di una grande umanità.
Ad Helsinki Pino era considerato un eroe avendo vinto proprio lì, nel 1952, la sua medaglia d’oro olimpica nella 50 km di marcia. Quei giorni insieme sono stati per me di grande ispirazione. Aggiungete che per tre giorni si accampò nella nostra piccola stanza, con il suo sacco a pelo, Franco Bettella, un altro eroe in Finlandia per le sue capacità tecniche e per aver lì lasciato molti cuori (e non solo quelli) infranti.
Ma quei giorni passati con Dordoni mi avevano fatto scoprire anche sue manie e suoi piccoli difetti caratteriali e comportamentali. Per questo lo prendevo in giro ogni mattina, alla romana. Ed allora lui mi disse, con la sua saggezza: “ma scusa, Luciano, cosa ti aspetti da uno che per trenta anni ha sbattuto i tacchi sulle strade di tutto il mondo con le conseguenti ripercussioni alla testa?”.
Ecco, quelle parole mi sono tornate in mente mercoledì mattina pensando alla eventuale ricaduta di Alex. Ed ho capito – se quanto accaduto sarà confermato – le pressioni che nella sua testa hanno pesato in questi ultimi mesi. Lui si è allenato ed ha marciato con sulle spalle una miriade di persone che su lui avevano scommesso e cercato rivincite. A partire da Sandro Donati, la cui onestà e competenza tecnica non può essere messa in discussione. Ma anche lui avrebbe dovuto psicologicamente capire l’individuo. Purtroppo, oggi, un grande atleta non deve avere solo il fisico e il giusto allenamento, ma anche la testa. Sandro (insieme allo scomparso Carlo Vittori) oltre ad alcuni meriti, non deve mai dimenticare quante sono state le vittime cadute sulla strada della gloria.
Il peso del cerchio magico
Allenarsi avendo intorno un manager che deve giustificare la sua attività e, soprattutto, un “cerchio magico” di persone pronte a fare risonanza su ogni momento della tua attività, non è semplice. Io credo che tutti costoro debbano ora fare un “mea culpa” ed evitare di criticare l’atleta la cui sorte è ora in discussione.
Tralascio commenti sulla conferenza stampa di mercoledì sera. Toni da “ammuina” forse comprensibili, ma con gravi dimenticanze. Come ci fa a meravigliarsi per un re-test dopo 4 mesi se proprio di recente sono stati ri-testati campioni di Pechino, a distanza di quasi otto anni, con una ventina di casi positivi fra cui la campionessa olimpica Anna Chicherova? Come si fa a paventare “complotti” quando di mezzo c’è il laboratorio di Colonia e non direttamente WADA e IAAF? Perché non chiedere di ri-testare anche le analisi successive? Credo tra l’altro che quando un laboratorio ufficialmente accreditato testa una provetta non sa neanche di chi sia.
Ho trovato molto chiari gli articoli di questa mattina sull’argomento di Claudio Arrigoni sulla stessa Gazzetta, e di Marco Bonarrigo sul Corriere della Sera, dove differentemente da quanto detto da Sandro Donati nella conferenza stampa, il test IRMS, quello rifatto sul campione del 1° gennaio, non viene eseguito di routine.
La stuoia rossa
Mi ha colpito la frase ripetuta due volte da Alex, e credo anche dal suo avvocato, quando ha detto: "Io questa volta non ho fatto errori", mentre non ha detto la cosa più importante: "Io non ho preso nulla". Il tempo sarà galantuomo e chiarirà questo mistero?
Per quanto mi riguarda, così come sono stato critico sulla stuoia rossa che CONI e FIDAL hanno steso per farlo gareggiare a Roma (non per andare a Rio, questo gli spetta di diritto, anche se in contraddizione con i primi proclami demagogici di Malagò e Giomi), sarò critico anche nei confronti di chi ora abbandonasse Alex a facili sospetti. Ora dobbiamo salvare l’uomo, non l’atleta, perché questa seconda storia lo marcherà comunque, anche se il problema si dovesse sciogliere. come tutti speriamo e ci auguriamo, al sole dell’estate.
Così come sarò critico nei confronti di persone che, avendo responsabilità di alto livello, hanno dissennatamente cavalcato la fairy-tale di Schwazer. Mi riferisco a Giomi e a Malagò. Su quest’ultimo tornerò perché il suo score di errori commessi in questi ultimi mesi non può essere ignorato e non è finita!
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