Persone&Storie / "Io non ci sto": due chiacchiere con Pietro Pastorini
Giovedì 9 Giugno 2016di DANIELE PERBONI
Quando ci siamo visti a Roma, dopo la Coppa del Mondo di marcia, il “vecchio” non era dell’umore giusto. Non aveva affatto digerito tutto il clamore che si era sviluppato attorno alla famosa vicenda Schwazer. Poche settimane dopo ci siamo reincontrati dalle nostre parti a Lomello, profonda Lomellina, il suo regno incontrastato. Sono bastate poche parole e altrettanti veloci sguardi per intenderci. “Ok Pietro, dimmi cosa ti sta sullo stomaco”. “Non ora, vediamoci con più calma”. Detto e fatto. Ora siamo qui, nella penombra della sua cucina e circondati dal silenzio del giardino. La prende alla larga il “vecchio”. Parte da lontano. “Hai già visto il mio orto? Ho finito. Tutte le verdure sono state seminate. Peccato per i grafion (ciliege da mettere sotto spirito), le poche maturate se le sono mangiate quei maledetti storni. Non ne è rimasta una”. (nella foto, Pastorini assieme al rimpianto direttore della Gazzetta, Candido Cannavò).
Dopo il caffè di rito attacca: “Cosa volevi chiedermi?”. “No Pietro. Sei stato tu che avevi una gran voglia di parlare, …”. Recupera una mezza sigaretta e comincia a raccontare: “Lo sai che rimpiango il periodo che va dal ’90/’92 al 2000?”. Logico penso, come tutti i vecchi, pardon anziani (e fra questi potrei metterci anche il sottoscritto), si crogiola nel passato. “Allora il nostro mondo, la marcia intendo, era una vera famiglia. I capostipiti erano, naturalmente, Maurizio e Sandro Damilano”. Ma con radici ancora più profonde: Dordoni, Pamich, ...
“Attorno a loro – continua Pietro – crescevano atleti e tecnici che hanno fatto grande il movimento. Venivano da ogni angolo del mondo per capire, studiare, comprendere i nostri successi”. E snocciola una serie di nomi che oggi, purtroppo, possiamo ammirare solo sulle pagine ingiallite dei giornali: Ileana Salvador, Annarita Sidoti, Erika Alfridi, Rossella Giordano, Elisabetta Perrone, una giovane Elisa Rigaudo. E per quanto riguarda gli uomini: Maurizio Damilano, Giovanni De Benedictis, Michele Didoni, Gianni Perricelli, Alessandro Gandellini, Ivano Brugnetti, Arturo Di Mezza, Raffaello Ducceschi, Sandro Bellucci, Walter Arena, Carlo Mattioli.
“Se ho dimenticato qualcuno, pazienza. Non l’ho fatto per cattiva volontà. E non dimentichiamo i tecnici – precisa – Sandro Damilano, il sottoscritto, Salvatore Coletta, Pietro Collura, Gianni Corsaro, Gian Marco Ugolini, Vittorio Visini, Antonio La Torre, Pasquale Tosi il massaggiatore. Il perno attorno a cui tutto girava era Pino Dordoni. Un gran signore e instancabile coordinatore. Ricordo che ai raduni se a pranzo non ti presentavi vestito in modo adeguato, niente tuta, ti multava togliendoti un giorno di diaria. Esisteva un vero spirito di corpo, si collaborava”. C’erano sì delle ‘chiese’, gruppi sparsi per la penisola. Ma il rapporto fra loro era un cemento che ha consentito di arricchire il medagliere italiano di decine di medaglie in ogni manifestazione. Dai Campionati Europei ai Mondiali. Dalle Olimpiadi ai Giochi del Mediterraneo”.
“Oggi tutto questo non esiste più. Nessun collegamento, basta raduni, collegiali. Niente”. Abbiamo vinto due ori olimpici (Atene 2004 con Brugnetti e Pechino 2008 con Schwazer), ma cosa è rimasto del passato? Sandro è diventato il guru dei cinesi, Pastorini è fuori dal giro della nazionale, gli altri atleti si allenano in “solitaria”. Resta La Torre, advisor della marcia. In pratica un coordinatore che dovrebbe sovrintendere e offrire consigli e indicazioni ai vari tecnici. Ma in pratica sembra che ogni gruppo faccia storia a se.
Qualcosa, però, non quadra. Un tarlo ancora scava nell’anima del "vecchio". Gli strascichi della telenovela Schwazer non sono stati digeriti affatto.”È una vicenda contorta – precisa Pastorini – Tutti sono liberi di fare ciò che credono, purché non coinvolgano altri che non c’entrano nulla”. Si alza a cercare un’altra sigaretta. “Son nervus, sono nervoso, devo sfogarmi. Non potete immaginerà cosa possa provare chi viene coinvolto e accusato per le scelte di altri. È quanto accaduto a chi stava attorno a Schwazer: Didoni, La Torre, i medici e i funzionari della FIDAL. Anche un tecnico del centro sportivo dove si allenava è stato convocato a Bolzano. Otto ore di interrogatorio. E naturalmente avvocato, spese di viaggio e giornata di lavoro persa senza nessun rimborso. La procedura in questi casi è identica per ogni reato, dall’omicidio al furto delle classiche mele”.
Anche Didoni ha attraversato l’identico calvario. I colleghi carabinieri gli hanno messo a soqquadro la casa e sequestrato computer, telefono, tablet. “Immaginate la scena e davanti alle figlie piccole. Cosa possono aver pensato del loro padre? Senza contare i soldi che ha dovuto spendere per gli avvocati difensori. Una cifra non da poco, credetemi. Mi stupisco che non abbiano chiamato anche me. Sì, perché diverse volte ho sostituito Michele nel seguire Schwazer. Quando Didoni doveva assentarsi per motivi di lavoro chiedeva al sottoscritto di seguirlo negli allenamenti. Non gli andava di lasciarlo solo, senza nessuno che lo cronometrasse o che gli passasse anche una semplice bottiglia d’acqua. E io stesso non mi sono accorto di nulla. Ma in base a quali parametri potevo capire se il ragazzo si dopava o no?”.
Ha sbagliato, ha pagato. Basta così. “Sì, ha pagato. Ma, ripeto, chi è stato coinvolto suo malgrado come verrà ripagato dal danno morale e materiale? Provate voi a ritornare in gruppo e venir additati come quello che sapeva e non ha fatto nulla o che addirittura si è reso colpevole di aver abbandonato il suo allievo”.
Anche su questo versante Pietro ha qualcosa da obiettare. “Abbandonato? Balle! Io c’ero nei mesi dopo Pechino, quando non voleva essere disturbato dalla gente che lo riconosceva. Dove credete che abbia passato gran parte del tempo? Quante volte l’ho portato a casa mia a cena per evitare quegli assalti. Posso dirvi cosa amava mangiare: riso in bianco e petto di pollo. E per quanto riguarda Daegu [Mondiali 2011], dove dice di aver ricevuto l’invito dei russi ad allenarsi con loro. Ero la, in albergo con lui. Al bar sedevano i russi piuttosto alticci. Lui li ha avvicinati e li ha fatti parlare, venendo così a sapere alcune cose, …”.
Però dobbiamo dire che il nuovo allenatore ci sa fare! È andato forte a Roma, … “Già, prima era sempre stato seguito da coglioni. Gente sprovveduta – sorride amaramente – Diciamo che alla fine l’Italia ha presentato una bella cartolina al mondo per la candidatura a Roma olimpica”. Pietro non fa nessun nome. Lo facciamo noi: il presidente del CONI Malagò. “Peccato per il percorso. Ridicolo per una 50 chilometri. Muscolarmente faticoso, troppe boe, ben 96 cambi di direzione. E alla fine ci siamo sporcati di una macchia indelebile”.
Si alza, esce e si infila i cuturan, gli stivali di gomma. “Devo tosare il giardino”.
Articolo pubblicato su TREKKENFILD, periodico online di atletica, Giugno 2016 (n. 35).
Per gentile concessione.
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