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Opinioni / Whereabouts: fine di una “sconcertante vicenda”

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Venerdì 29 Aprile 2016

CONI

di DARIO COLLIO

Con l’assoluzione degli ultimi atleti sottoposti a giudizio per la vicenda Whereabouts si pone fine ad un capitolo sconcertante nella storia dell’atletica italiana. Per chi, come noi, non nutriva dubbi sulla correttezza dei ragazzi, questa storia non doveva neppure iniziare. Ma la magistratura sportiva inquirente dell’UPA-Nado, secondo un rito tipicamente italiano, ha scelto di mostrare i muscoli, chiedendo per 26 azzurri ben due anni di squalifica per elusione dei controlli antidoping. Credo, in tutta onesta, che I’ufficio del procuratore Tammaro Maiello, benchè non vi fossero elementi seri di incolpazione per gli atleti, abbia dovuto ugualmente procedere arrampicandosi sui vetri di un una imputazione del tutto fantasiosa, franata alla prima verifica in tribunale.

In altre parole, l’inconsistenza delle argomentazioni a sostegno della Procura Antidoping, legittima il dubbio che ad essa non interessasse tanto l’esito della vertenza, quanto, invece, il mettere al riparo sè stessa dalla possibile accusa di aver insabbiato tutto con l’archiviazione della posizione dei 26 atleti. Meglio dunque procedere con una sfilza di deferimenti, con richiesta di pesantissime squalifiche, che quietassero l’orda forcaiola che in rete rumoreggiava per le lungaggini della fase istruttoria.

Sicchè, anche la seconda delle vicende nate dall’inchiesta Olimpia di Bolzano, dopo l’assoluzione degli staffettisti della 4x100 di Barcellona 2010, si è risolta con un nulla di fatto per i gufi che, supportati dai marchettari dell’’antidoping a chiacchiere, da quasi due anni profetavano di grandi sconvolgimenti nell’atletica nazionale, con decine di teste che sarebbero saltate e medaglie revocate.

Un grande bluff che, per completarsi, attende la fine del terzo capitolo a Bolzano quando con ogni probabilità anche Pierluigi Fiorella, Giuseppe Fischetto e Rita Bottiglieri, saranno assolti dalle imputazioni loro ascrittegli. E allora sarà il momento di fare chiarezza su come si è sviluppata quella inchiesta e se mai qualcuno abbia ispirato, e per quale motivo, quella procura ad allargarla a tutto il mondo dell’atletica italiana, inducendola a trarre conclusioni errate che dipingevano molti dei nostri ragazzi come "malintenzionati" in fuga dagli ispettori antidoping.

Si è giunti a formulare, in alcuni passaggi degli atti, considerazioni gratuite, al limite dell'offesa nei confronti di alcuni atleti, salvo poi concludere che non vi fossero elementi per procedere nei loro confronti. E sarà anche il caso di domandarsi se abbia senso che un atleta debba essere sottoposto a due giurisdizioni diverse, sportiva e penale, per medesimi fatti, ingenerando confusione nella pubblica opinione per eventuali difformi conclusioni, al punto che, ad esempio, Alex Schwazer viene condannato dal tribunale di Bolzano a otto mesi con la condizionale per pratiche o assunzione di sostanze proibite dal marzo 2010 a luglio 2012, ma, nell’indifferenza delle istituzioni sportive, continua a potersi fregiare della medaglia d’oro vinta ai campionati europei di Barcellona 2010 e del record italiano sulla 20 chilometro, ottenuti, per l’appunto, nel periodo per il il quale è stato condannato dalla giustizia penale.

Senza tralasciare, peraltro, che qualche onorevole deputato, molto solerte ad interrogazioni parlamentari teleguidate, potrebbe dimostrare pari diligenza nel chiedere a chi di dovere quanto è costata al contribuente italiano l’Inchiesta di Bolzano, partita da un fatto certo e di facile soluzione, ma poi allargata, con grande dispendio di energie e di denaro, all’intero movimento atletico italiano, con l’unico risultato di aver creato un gran polverone che ha gravemente danneggiato, anche per scelte assai discutibili della Procura Antidoping-Nado Italia, l’immagine di molti atleti seri e puliti.

Più che una ricerca della giustizia tutta questa vicenda è parsa a noi, che l’abbiamo seguita sin dagli inizi, una guerra tra bande fatta sulla pelle dei ragazzi. Per questo al presidente del CONI Giovanni Malagò, di passaggio dalle nostre parti gridammo un giorno, e lo ripetiamo qui perché il messaggio giunga anche ad altri del fronte opposto, che, per sostenere la loro tesi, alimentano da anni la cultura del sospetto: “Signor Presidente, la vostra guerra su chi debba amministrare la giustizia sportiva, il CONI con sue emanazioni, o una agenzia del tutto indipendente, fatela prendendovi a sberle tra di voi, non sulla pelle degli atleti.”
 

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