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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Calcio / A quando una riforma dello sport professionistico?

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Sabato 19 Marzo 2016

calcio

Campionato italiano di Serie A, 30. Giornata. Stasera, all'Olimpico, si affrontano la Roma (proprietà americana) e l'Inter (proprietà indonesiana). Un bel vedere in tempi di sfrenata globalizzazione. I bene informati, che nel calcio costituiscono la maggioranza, aggiungono un dettaglio non insignificante: in entrambe le formazioni figura almeno un giocatore italiano, Florenzi tra i giallorossi, D'Ambrosio tra i neroazzurri. Il chè non è cosa di poco conto, con i calciatori nati dalle nostre parti ridotti a specie protetta. La partita viene anche presentata coma una sfida all'OK Corral per la conquista del terzo posto che varrebbe 50 milioni. Cifra più che ghiotta per nuovi acquisti e nuove esposizioni debitorie. Perchè è già questo l'argomento più dibattuto, tanto da alimentare apposite trasmissioni televisive e presunti scoop giornalistici. Ma per un comparto che ha messo assieme quasi tre miliardi di debiti, una boccata di ossigeno.

La ripresa del campionato viene dopo la debacle delle squadre italiane: tutte fuori agli ottavi dalle due competizioni europee. Per una analoga figuraccia bisogna risalire al 2001, un'era geologica fa. Lasciamo da parte le considerazioni di ordine economico e gestionale (che senso ha mettere in piedi un'impresa che gioca a perdere credibilità e soldi?), che appassionano poco o nulla, e parametriamoci sullo scenario generale. Proprio mentre ferve la lotta senza quartiere per la spartizione dei diritti TV, sullo sfondo restano altri aspetti che non sempre si ricordano. Vediamone alcuni.

In queste stesse ore il presidente federale (sempre al suo posto, malgrado le penne roventi dei soliti "indignati speciali" in occasioni delle gaffe ricorrenti), ha annunciato che l'allenatore della Nazionale, Antonio Conte, lascerà presto le chiavi sul tavolo per andarsene ad allenare nella Premier inglese (cui i nuovi accordi televisivi porteranno altri 4 miliardi di sterline). Resta solo un dettaglio che tra un centinaio di giorni si giocherà l'Europeo,

All'addio di Conte non è estraneo il rapporto conflittuale tra federazione e Lega, con una sempre più marcata insofferenza da parte delle società a cedere giocatori che figurano sul loro libro paga. Tanto più, come accennato all'inizio, in Nazionale dovrebbero andare solo giocatori in possesso di cittadinanza, dettaglio che li rende sempre più rari. Tanto che negli ultimi anni è invalso l'uso e l'abuso di ricorrere con una certa disinvoltura a naturalizzazioni diverse dall'estero. Sempre in attea dell'avvio o meno della Super Lega europea, più minacciata che agognata. 

Sia fallimento o altro del sietema calcio in Italia, si può preseguire con argomenti diversi, dal sospetto dossier stadi, ogni tanto riaperto e subito riposto, all'abbandono progressivo degli spettatori, dalla resa delle istituzioni ai violenti (è recentissimo l'appello del prefetto Gabrielli diretto ai frequentatori delle curve romane. in sciopero contro le misure di sicurezza e prevenzione) e le bande di supporter stranieri, fino al disinteresse dei più giovani verso il gioco del calcio in genere, il fallimento delle scuole calcio (c'entra qualcosa il record europeo di obesità dei ragazzini italiani?), la nicchia sempre più ristretta riservata alle calciatrici. Si può aggiungere l'eliminazione dal torneo Olimpico, il solo che limita la partecipazione agli Under-23. Per fortuna, come narrano le cronache, malgrado il calcio resti lo sport più praticato e più ricco, sembra non conoscere un male che colpisce e ammorba tutte le altre discipline: il Doping.

Ma c'è un aspetto che pare proprio non interessare. Parliamo delle regole. Se il calcio è una professione, a tutela e a garanzia dovrebbe erigere muri invalicabili di norme e regolamenti. A cominciare dalla tenuta omogenea dei bilanci societari che avrebbero l'obbligo contabile di chiudersi almeno in pareggio. Ma così non è mai. E' proprio di ieri l'annuncio che il Milan, altra società che sta per cambiare proprietà, parziale o totale vedremo, finendo nelle mani di un imprenditore thailandese, ha chiuso il 2015 con una perdita contabile di 91,3 milioni di euro. E parliamo del vetusto e glorioso Milan.

E, a proprosito di regole, sembra sempre bizzarro che questo malridotto e fallimentare calcio professionistico (ancora regolato da una legge dello Stato, la n. 91 risalente al marzo 1981, come dire ai tempi di Checco e Nina, ...) sia inquadrato nel CONI, Ente che ha come azionista unico il Ministero dell'Economia il quale lo fa vivere con un contributo annuale di 411 milioni di euro. Cifra ominicomprensiva per tutte le esigenze dello sport nazionale, dalla partecipazione olimpica alla (ridotta) attività motoria nelle scuole.

Si può infine rammentare che altre tre società delle maggiori (accomunate dalla brutta figura in Europa) - Juventus, Lazio e Roma - sono quotate in Borsa con capitalizzazione aziendale rispettivamente di 251,7, 32,2 e 183,6 milioni di euro (dati odierni). Per un totale di 467,5 milioni, come dire ben oltre il finanziamento statale per il CONI, il quale ha l'obbligo di vigilare su tutto il comparto. Lo faccia o meno, non sta a noi valutare: ma è certo che qualunque "riforma" (ogni tanto se ne parla, sia pure con poca convinzione) dovrebbe passare attraverso una riflessione sul ruolo dello sport professionistico nazionale, calcio in testa. Guardare all'estero può aiutare, ma poi c'è il rischio di dover cambiare management. E allora tutto resta come prima. In attesa della riapertura del mercato prossimo venturo, ...  

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