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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Atletica / I mondiali di Pechino, e non solo. Parliamone.

Venerdì 4 Settembre 2015

PECHINO-2015-3

LUCIANO BARRA

Ho atteso prima di scrivere un commento sui risultati dell'atletica ai Mondiali di Pechino. Perchè era necessario riflettere, masticare e digerire. E non solo sui risultati dell'Italia. Sono stati dei grandi Campionati, con grandi prestazioni, grande pubblico: vedremo i dati televisivi, anche se non sarei tanto ottimista viste le sei ore di differenza. A livello mondiale non si possono non sottolineare le grandi prestazioni di Kenya e Giamaica che hanno sopravanzato gli Stati Uniti. Talento e tecnica stanno facendo sì che questi due paesi ottimizzino al massimo il loro potenziale. Ma degli Stati Uniti va sottolineato come il modello (anche il loro!) stia segnando un momento pericoloso. Negli anni Sessanta e dintorni la grande forza delle High Schools e dei Colleges permetteva di avere atleti poco più che ventenni a dominare molte specialità.

Poi, negli anni Ottanta, grazie all'introduzione dei "trust found" (opera combinata di Nebiolo e Ollan Cassell) hanno trovato nuova forza nel permettere che i loro atleti potessero capitalizzare denaro in maniera lecita e controllata, e poi gareggiare anche fino a trent'anni. Ora, invece, a differenza di tutte le altre federazioni, gli atleti sono liberi di fare quel che vogliono, non sono assistiti dalla federazione e, per sopravvivere, gareggiano ovunque per guadagnare soldi.

Questo fa sì che arrivino alle grandi manifestazioni o infortunati o fuori forma. Se gli americani non metteranno fine a questo sistema, sarà molto difficile per gli Stati Uniti tornare al massimo livello, e questo potrebbe essere un problema anche per la "nuova" IAAF di Seb Coe. Il sistema totalmente libero dei meeting sta uccidendo l'atletica. Non si può poi non notare la debacle della Russia, travolta dal terremoto del doping: sarà da vedere se sarà capace di recuperare per Rio.

Il disastro Italia - Ma veniamo all'Italia. I giornali ed i dirigenti hanno fatto già i loro commenti, e quindi non è il caso di dilungarsi con tabelle o paragoni con le precedenti edizioni. Sarebbe ripetere quanto è stato scritto da molti giornalisti, e poi non sarebbe giusto sparare sulla Croce Rossa. Per questo voglio solo attenermi ad alcune affermazioni che ho sentito dalla TV. La prima è una dichiarazione di Silvia Salis dopo la sua disastrosa qualificazione (con la peggiore prestazione della stagione). Lei, davanti al microfono di Elisabetta Caporale, ha testualmente detto, frase poi ripresa su Spiridon da quell'acuto osservatore che è Vanni Loriga: "Dobbiamo essere onesti e dire solo la verità. Non stiamo andando come aspettavamo. Sappiamo che il mondo avanza e sono decine i paesi che si fanno luce. Noi stiamo andando indietro. In Italia siamo abituati a pensare che facciamo meglio degli altri. Evidentemente non è vero. Guardiamoci attorno e impariamo la lezione."

Poi le dichiarazioni di Alfio Giomi (il presidente federale) nell'ultimo giorno di gare, oneste nell'assumersi in toto le responsabilità, ma imbarazzanti quanto ha indicato come soluzione in vista di Rio il "rafforzamento di questo modello." Quando ho sentito quella frase, sono caduto dalla poltrona. Ma come? Tutti i più attenti osservatori dicono che a fallire è stato proprio quel modello e ora lo si vuole rafforzare? La Gazzetta, in materia, è stata lapidaria. Salvo poi affermare (sempre Giomi) di volersi confrontare con Barelli (presidente della federnuoto) e Bonifazi, i quali "ne sanno più di noi." Ignorando che il modello del nuoto è totalmente l'opposto di quello utilizzato dalla FIDAL. Le dichiarazioni di Giomi in TV hanno scatenato, mi permetto di dire, la giusta reazione di Stefano Tilli, ottima spalla tecnica di Bragagna, e di Giovanni Malagò, punto sul quale tornerò più avanti.

Un po' di storia tecnica - Per tornare al modello tecnico non posso non sottolineare, a difesa di Giomi (di cui sono comunque un fervente sostenitore), come il modello tecnico degli Anni Settanta/Ottanta (quello con i Capi settori, con un Centro Studi d'avanguardia che fece ingelosire perfino Franco Carraro quando era presidente del CONI, e di consulenti di livello internazionale) che aveva dato grandi risultati, sia stato distrutto negli ultimi venti anni.

Il vento rivoluzionario dei primi anni Novanta, causa anche populistiche associazioni di tecnici, uccise quel modello che era stato copiato, in maniera utile, dai maggiori club italiani, introducendo un nuovo modello che definirei: "tana, libera tutti." Ognuno a casa sua, con il proprio allenatore sociale o quanto altro, genitore o fidanzato che fosse, al rogo invece i Capi settori, la cultura tecnica e i centri federali. Il presidente Gola si trovò a subire quella "onda sacrilega talebana" e fu invaghito da questo decentramento solo politico. Arese lo applicò in forma ancora più esasperata: d'altronde a lui andava più che bene, dal momento che intendeva gestire la federazione da Cuneo e per telefono. Quella rivoluzione tecnica mi ricorda (con il massimo rispetto) il modo con cui stanno distruggendo il sito di Palmira.

Giomi, con la scusa di non avere tecnici di settore all'altezza, si è inventato un modello tecnico unico al mondo, ignorando i consigli di Paolo Bellino e le litanie del sottoscritto. La cosa divertente è che di recente ho sentito sia Magnani che Ponchio rinnegare di essere fautori di quel modello. Ma poi che cosa vuol dire "advisor"? E' un termine che si usa per consulenti finanziari o per consulenti informatici. Che c'azzecca con l'atletica? Tra l'altro non mi sembra che i risultati ottenuti con l'americano della Florida siano esaltanti: dopo tre anni il solo miglioramento (minimo) è della duecentista Hooper. Ma per migliorare di qualche decimo c'è bisogno di stare mesi in Florida?

Proviamo qualche novità - Giusto  mi pare sia stato il commento di Stefano Tilli quando ha criticato le dichiarazioni di Giomi, nel persistere sull'attuale modello e sul rafforzamento del settore sanitario. Sia chiaro, gli innumerevoli infortuni sono figli del modello tecnico. E non cantiamo vittoria perchè abbiamo dei giovani promettenti. Se la struttura tecnica della federazione non cambia e non diventa "professionale" (non si capirebbe il contrario, il bilancio lo permette ampiamente), è inutile sperare nella maturazione dei giovani. E purtroppo di esempi negativi ne abbiamo tanti (per rispetto non faccio nomi). Parrebbe - ma come dice Crozza, io non ci credo -che l'infortunio della nostra più promettente mezzofondista sia dovuta alle corse su strada! Se fosse vero, la colpa sarebbe tutta della federazione che dovrebbe garantire mezzi di assistenza (non solo premi) al fine di condizionare l'attività e respingere le tentazioni degli atleti.

Tornando ai tecnici, visto che secondo la dirigenza non ve ne sono all'altezza di poter fare i Capi settore (e poi non parlano le lingue, ...), io qui ribadisco una proposta già fatta a Giomi all'inizio del quadriennio. La creazione di una struttura di Capi settore utilizzando gli ex-atleti di prestigio, da Tilli a Fabrizio Mori, a Panetta, a Stefano Mei, Laurent Ottoz, Armando De Vincentis, Gibilisco, ecc. Non dovrebbero allenare, ma coordinare l'attività tecnica dei vari settori, facendo incontrare tra loro i tecnici e uniformando le metodologie di allenamento. Potrebbero anche risultare utili a portare autorevolezza, managerialità e soprattutto motivazioni, proprio per la propria storia. Perchè non tentare? La proposta del presidente Malagò (CONI), intervistato dall'attento Valerio Piccioni, di riportare Formia al centro di tutto è giusta, anche se semplicistica. Questo è l'hardware, poi serve il software (i tecnici) e la materia prima (gli atleti).

Vissani e altre amenità - Ho ricevuto e-mail che condivido pienamente sulla presenza dell'arrogante Chef Gianfranco Vissani a Casa Italiana (Casa Italia è del CONI). Ci si può permettere che venga Vissani se si vincono tre medaglie d'oro, come le stelle Michelin. E' come se io facessi venire a cantare nella balera sotto casa Andrea Bocelli. Tra l'altro credo che, questa volta, Casa Italiana sia stato un elemento che ha fortemente condizionato la concentrazione pre-gara degli atleti, costretti a fare la fila tra centinaia di persone (che nulla avevano a che fare con i Mondiali) e a non poter stare in un posto dove la motivazione veniva esaltata. Casa Italiana o Italia sta diventando un orpello sia per le singole federazioni che per il CONI stesso. Il loro obiettivo è ben diverso da quello agonistico. Marketing?

Sul (richiamato) modello del nuoto rinvio al documento scritto un mese prima di Londra 2012 (da allora non è cambiato nulla) e che in base a dati statistici metteva a confronto Atletica e Nuoto. Il modello del nuoto è una piramide perfetta che vede all'apice i Centri federali con i relativi tecnici federali. Atleti di punta - come Paltrinieri e Pellegrini - vivono nei Centri (come facevano trent'anni e più fa Simeoni e Mennea) molto tempo all'anno. E pur essendo molto cambiati i tempi e le abitudini, non dimostrano - a sentirli parlare in TV - di essere dei deficienti o dei ritardati mentali, anzi! E pensare che passano tanto tempo con la testa sott'acqua, cosa che impedirebbe di parlare!

E a propisito di parlare, oggi si parla tanto del miracolo Canada, dimenticando che il loro programma - "Own the podium / A nous le Podium" - risale al 2006 e che ha permesso ai canadesi di tornare a dominare nei Giochi Invernali e ora, dopo le 19 medaglie di Londra, di vincere anche ori importanti (alto e asta) nell'atletica. Eppure i canadesi di "Own the podium" erano venuti a Roma prima di Londra (credo a spese del CONI stesso) e nel Salone d'Onore avevano del dettaglio spiegato il loro progetto. E poi? Poi cacciati i farisei dal tempo (P & P & C), il tutto è stato messo nel dimentcatoio. Ma noi abbiamo un progetto come i canadesi? Che cosa ne è stato del Club Olimpico? Pare un oggetto misterioso.

La telefonata di Malagò - Troppo divertente, poi, la storia, vero o presunta, della telefonata di Malagò a Giomi, non per chiedere spiegazioni sulla debacle, ma per fargli il pelo e il contropelo sulla dichiarazione a favore del Nuoto e di Barelli. Ma visto che Scherma e Nuoto sono al momento gli sport di maggior successo, non era invece il caso di profittare della situazione per sotterrare l'ascia di guerra e porgere il calumet della pace ed aprirsi ad un utile scambio di conoscenze? Oppure i personalismi sono più importanti del bene dello sport italiano? Tra l'altro, leggo nel successo delle discipline natatorie anche una rivincita ed una motivazione nei confronti del CONI. Vecchia teoria di Enzo Rossi il quale sosteneva che gli atleti, quando vanno in campo, devono essere sempre "incazzati" con qualcuno.

Ma il fallimento dell'atletica tocca tutto lo sport italiano. Lo ha scritto a chiare lettere Pierangelo Molinaro sulla Gazzetta, ma soprattutto (con richiamo in prima pagina) Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera che ha titolato: "Ma c'è un'Italia che non sa correre", e poi "Piste d'atletica senza italiani: specchio di un Paese stanco." Attualmente è difficile che la dirigenza comprenda qual'è il danno di un'atletica debole. La cultura sportiva attuale è più da Circolo e come tale ha bisogno solo di slogan ed uscite ad effetto. Si vede sempre il primo tempo, poi un lungo intervallo, ma il secondo tempo non comincia mai.

In marcia (lentamente) verso Rio - Come si evince dalle proiezioni pubblicate in vista di Rio, la nostra situazione non è esaltante. I risultati dei Mondiali di Judo e Canoa, discipline dove abbiamo vinto tanto nel passato, sono pari a quelli dell'atletica e nessuno ha detto nulla. Forse alla fine dell'anno, se ci va bene, arriveremo a un totale di 25 medaglie, ma se Tiro a volo e Pugilato non migliorano quanto fatto lo scorso anno potremmo essere più vicini alle 20. Vale a dire il 25% in meno di 20 anni fa. Tutto ciò indicherebbe una discesa già toccata nei Giochi Invernali tra Torino 2006, Vancouver 2010 e Sochi 2014. Dopo Londra 2012 scenderemo ancora? Vogliamo parlare degli sport di squadra, che sono il simbolo della forza sportiva di una nazione?

Ci può consolare un'osservazione, che mi ha fatto da Pechino una giornalista acuta e saggia come Emanuela Audisio: "ma se non riusciamo a far funzionare l'aeroporto di Fiumicino (e quanto altro) perchè dovremo vincere molte medaglie?". Io avevo sempre pensato che Fiumicino fosse il primo aeroporto africano, non più: anche lì ci hanno superato! In compenso ci candidiamo per i Giochi 2024 con una città disastrata e abbandonata. A proposito, ma perchè a Pechino la squadra per la candidatura di Parigi era presente in massa a fare lobbyng con i 25 membri del CIO presenti. E Roma 2024 era di fatto assente?
 

      


         

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