Rivera

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Gianni Rivera [1943]

Calcio

  (gfc) La Nazionale che aveva perso per 4-1 la finale della Coppa del Mondo del 1970 nell’altura del Messico, fu costretta a rientrare in Italia quasi di nascosto, con un volo notturno dirottato sull’aeroporto secondario di Genova. Si temevano le intemperanze dei tifosi esasperati da una campagna di stampa al limite del denigratorio. Strano destino per una squadra che, dopo decenni di prestazioni sconfortanti, era stata capace di sfiorare il terzo titolo mondiale. E che aveva vinto, in semifinale, la “partita del secolo”: quel celebre 4-3 ai danni della Germania che i messicani hanno onorato con una targa-ricordo apposta sulla facciata dello Stadio Azteco. La rete della vittoria di quell’incontro la mise a segno Gianni Rivera, alla ripresa del gioco dopo l’ennesimo pareggio tedesco, a chiusura di una azione corale e senza che gli avversari riuscissero a mai toccare la palla.

In quella squadra d’argento, assieme al “Golden boy”, figurava l’arcigno terzino friulano Tarcisio Burgnich: i soli superstiti della squadra olimpica che, dieci anni prima, agli ordini di Gipo Viani e Nereo Rocco aveva disputato il torneo di Roma. Fermandosi ad un ingiusto quarto posto. Infatti, dopo il pareggio contro la Iugoslavia, a termini di regolamento l’Olimpica fu esclusa dalla finale per … il lancio della monetina. Nell’incontro per il terzo posto venne poi superata al Flaminio dall’Ungheria. A quel tempo il giovane alessandrino, in procinto di passare al Milan, aveva da pochi giorni festeggiato il 17° compleanno.

Gianni Rivera figura tra i migliori interni prodotti dal calcio italiano, un geniale inventore di gioco, un fine realizzatore, ma anche un personaggio scomodo e dalla personalità complessa. In possesso di un repertorio assolutamente completo, è stato giocatore di raro istinto e di grande eleganza. Per temperamento portato più a giocare di rifinitura che di raccordo, venne ritenuto per molti anni uno dei maggiori attaccanti del mondo. Tanto da diventare il primo italiano ad aver vinto, nel 1969, il “Pallone d’Oro”. Ma anche tra i pochissimi capaci di incidere sul gioco senza la palla al piede: se mai ne ebbe, i suoi limiti sono da rintracciarsi in uno scatto mediocre e in una certa fragilità fisica nei contrasti, tanto da vedersi appioppare la denigrante epiteto di “abatino”. Ma l’intelligente visione di gioco, e il notevole senso tattico, compensavano ampiamente quelle carenze.

Le intuizioni sul campo (ma anche fuori) gli hanno concesso di trovarsi spesso al posto giusto nel momento giusto: come capitò proprio contro la Germania, per quello che resta il suo gol più celebrato. Mai fortunato nei quattro Mondiali disputati, al Messico si trovò al centro di un caso dalle controverse interpretazioni, nato da una presunta incompatibilità tecnica con Sandro Mazzola, a fianco del quale l’allora C.T. Ferruccio Valcareggi non riteneva produttivo schierarlo. Con arzigogoli e bizantinismi, cui non erano estranee divergenti posizioni della stampa e una colpevole remissività della Federazione, venne così attuata una curiosa “staffetta” tra i due fuoriclasse che, di contro, avrebbero trovato posto assieme in qualunque altra squadra nazionale. Il risultato fu un salomonico quanto discutibile “dentro l’uno, fuori l’altro”. A giocare la finale contro il Brasile, venne prescelto Mazzola mentre Rivera fu mandato in campo solo a sei minuti dal termine, quando ormai i brasiliani stavano dilagando. Diventando, involontariamente, il solo eroe positivo di quella sconfitta. Tanto da risultare, al rientro in Italia, l’unico osannato dai tifosi, prodighi invece di precisi lanci di pomodori maturi per il resto della spedizione.

Negli altri Mondiali, dopo il naufragio in Cile nel 1962 (dove giocò solo l’incontro pareggiato con la Germania), conobbe i clamorosi rovesci del 1966 contro la Corea del Nord e del 1974 in Germania (capodelegazione Franco Carraro), quando mise a segno la rete del pareggio nell’unica partita vinta dagli azzurri, contro … Haiti. Il suo debutto in maglia azzurra avvenne a poco più di diciotto anni, il 13 maggio 1962 a Bruxelles, in un vittorioso incontro con il Belgio. La carriera in Nazionale si è chiusa il 19 giugno 1974, a Stoccarda, quando fu sostituito da Causio nel secondo tempo dell’incontro pareggiato con l’Argentina. Nelle sue 60 partite in azzurro Rivera ha segnato 14 reti. Si può ricordare che non figurava nella squadra che, nel 1968, si impose nel Campionato d’Europa.

Ben più produttiva è stata la sua carriera nel Milan che l’aveva acquistato nella stagione 1960-61 per 130 milioni dall’Alessandria, la società che l’aveva scovato in un Oratorio e lanciato in Serie A quando mancavano 77 giorni al suo sedicesimo compleanno. In 19 stagioni con la maglia rosso-nera ha vinto tre scudetti (nel 1961-62, 1967-68 e 1978-79, quello della stella); due Coppe dei Campioni (nel 1963, superando a Wembley il Benfica, per quella che resta la prima conquistata da una squadra italiana, e nel 1969 a Madrid battendo l’Ajax); una Coppa Intercontinentale nel 1965 contro i sud-americani dell’Indipendiente. In vent’anni di Serie A, tra il giugno 1959 e il maggio ‘79, ha giocato 527 incontri dei quali 501 con il Milan e 26 con l’Alessandria, segnando complessivamente 127 reti. Nel 1973 risultò anche il capo-cannoniere del Campionato con 17 reti. I suoi incontri ufficiali con i rosso-neri, Coppe comprese, sono stati 893 per un totale di 288 reti, in questo superato solo da Paolo Maldini che ha raggiunto le 902 presenze nel maggio 2009.

Nato a Valle San Bartolomeo nell’agosto 1943, il “Golden boy” si è trovato spesso al centro di vivaci diatribe con la critica (leggi Gianni Brera, al quale lo legò uno strano rapporto intessuto di reciproche incomprensioni) e con gli arbitri (leggi Concetto Lo Bello, che con lui pareva avere in corso irrisolte questioni personali). Anche nei confronti dell’apparato federale non fu mai molto tenero: valga come esempio la polemica attizzata in occasione del Mondiali messicani, quando i toni delle sue conferenze stampa fecero traballare l’intera spedizione. Anche con i tifosi mantenne un rapporto privo di mezze tinte, altalenante tra sviscerato amore e profonde antipatie. La sua educata verve dialettica, spesa più a tutela del personaggio che del calciatore, una volta conclusa l’attività gli ha aperto ampi spazi nell’imprenditoria e nella politica. Ma lo ha anche spinto ad impegnarsi nel sociale, con l’adesione all’Associazione “Mondo X” fondata da padre Eligio per il recupero dalle tossicodipendenze.

Lasciata la vice-presidenza del Milan mantenuta dal 1979 all’86 (prima che si aprisse l’era Berlusconi), è stato eletto alla Camera per quattro Legislature, la prima nel 1987. Della sua militanza politica svolta all’interno di diverse formazioni del centro-sinistra, si ricorda l’incarico di Sottosegretario alla Difesa mantenuto dal 1996 al 2001. In seguito, da consulente per le politiche sportive del Campidoglio, si è più volte proposto per la presidenza della Federcalcio, ma senza riscuotere credito da parte dei poteri che gestiscono il calcio in Italia. Ultimo incarico ricoperto: il seggio al Parlamento Europeo occupato sin dall’aprile 2005.

(revisione: 12 Giugno 2012)