Monti

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Eugenio Monti [1928-2003]
Bob

  (gfc) È stato scritto che se esistesse una “Hall of Fame” per i bobbisti, una sezione intera andrebbe dedicata ad Eugenio Monti, l’uomo che più di altri ha dominato la specialità, in un’epoca nella quale le capacità dei piloti erano ben più determinanti del mezzo meccanico. In ogni caso quel posto il “rosso volante” – come per primo lo chiamò Gian Maria Dossena, con trasparente riferimento al colore dei capelli – se l’è pienamente conquistato nella storia dello sport italiano a suon di discese e di vittorie. Ma la sua non è stato solo una esistenza da “vertigine bianca” e illuminata dai colori dell’iride. È stata anche una vita difficile, segnata da dolori laceranti, popolata dai fantasmi dei ricordi, intercalata da affetti perduti, come la fuga della moglie americana e della figlia o la morte del figlio ucciso dalla droga. E conclusa da una fine ancora più tragica. Ma sempre sostenuta dal rispetto degli avversari, i quali in gara lo hanno temuto almeno quanto lo hanno ammirato per il suo carattere e la sua lealtà. A quella vita agra ha voluto porre fine egli stesso, tirandosi un colpo di pistola alla tempia nel garage della sua casa di Belluno, per sconfiggere quel morbo di Parkinson che lo stava annientando. Era il 1° dicembre del 2003.

Il “rosso” nasce a Dobbiaco, in Val Pusteria, il 23 gennaio 1928: di lì a qualche giorno avrebbe avuto inizio, a St. Moritz, la seconda edizione dei Giochi Olimpici Invernali. Inizia a gareggiare come sciatore affermandosi tra i più promettenti giovani del suo tempo, il rivale più accreditato per Zeno Colò, all’epoca dominatore del discesismo mondiale. Nel 1950 conquista i titoli nazionali di slalom e di gigante. Di quei mesi si ricorda una straordinaria discesa alle Tofane nella quale si lasciò alle spalle Colò, il francese Couttet e l’austriaco Pravda, come dire l’aristocrazia del discesismo mondiale. Ma sul finire dell’anno seguente un gravissima caduta, occorsagli durante un allenamento sulla pista Banchetta del Sestriere, gli spezza una gamba e gli scardina l’altro ginocchio ponendo fine a una carriera sciistica che si annunciava piena di speranze. Mentre era a letto ingessato (vi resterà diversi mesi), ricevette un commovente lettera di incoraggiamento da Colò – ormai sulla via del ritiro dopo i Giochi di Oslo –, che lo nominava suo successore: “Ti lascio i miei sci, la mia maglia, le mie medaglie e l’affettuoso auguro che le tue gambe tornino quelle dello scorso anno”. Non fu così.

Monti amava la neve, ma più ancora i brividi della velocità. Per questo, riposti gli sci, iniziò a correre in macchina fino a scoprire che era possibile combinare i due amori con il bob. Era il 1954. La strada si rivela sin da subito quella giusta e lo porta alla conquista del primo titolo nazionale. Ovviamente come pilota. La decisione l’aveva presa assistendo nel gennaio di quell’anno al trionfo italiano ai Mondiali che inauguravano la pista olimpica di Cortina, quando gli equipaggi azzurri formati da Guglielmo Scheibmeier/Andrea Zambelli e da Italo Petrelli/Luigi Figoli occuparono il primo e secondo posto. Malgrado risultasse svantaggiato dai suoi 65 chilogrammi di peso, Monti riuscì in breve ad affinare la tecnica di guida fino a presentarsi tra i favoriti per i Giochi del 1956. A Cortina però le cose non andarono come previsto e l’avventura si concluse con due secondi posti: nel bob a due, con Renzo Alverà come frenatore, alle spalle dell’altra coppia italiana formata da Lamberto Dalla Costa e Giacomo Conti, campioni olimpici; una settimana più tardi, nel bob a quattro, con Ulrico Girardi, Alverà e Renato Mocellini, superato stavolta da un equipaggio svizzero.

Dopo le Olimpiadi – nelle quali Monti, va subito detto, non incocciò mai molta fortuna –, inizia il suo periodo d’oro contrassegnato, tra il 1957 e il 1961, da cinque titoli mondiali consecutivi nel bob a due e altri due nel bob a quattro. Per una degna rivincita olimpica dovette attendere il 1964, perché il bob – a causa di difficoltà economiche degli organizzatori – non figurava nella rassegna di Squaw Valley. Anche sulla pista austriaca di Igls però le cose non gli vanno bene e deve contentarsi di due terzi posti. Ma in quell’occasione diventa protagonista di un episodio che da solo basta a descrivere la forza morale che lo animava. Informato che la coppia inglese formata da Tony Nash e Robin Dixon, che lo precedeva in classifica, avrebbe dovuto rinunciare alla terza discesa causa la rottura del bullone di un pattino, non esitò a togliere il pezzo dal suo mezzo per offrirlo ai rivali che poterono così conquistare il titolo. Per quel gesto gli venne consegnato, nel 1965, il Trofeo internazionale del “Fair play” rilasciato dall’UNESCO e intitolato a Pierre de Coubertin.

La delusione patita ad Innsbruck, specie nel bob a quattro, quando si vide battuto dai neofiti canadesi i quali, prima della gara, erano andati con umiltà a chiedergli suggerimenti e consigli, gli fece prendere la decisione di ritirarsi. Ma all’avvicinarsi dei Giochi del 1968 lo riprese la nostalgia e prevalse la voglia di tentare ancora. Aveva vinto nove titoli mondiali, ma non era mai salito sul più alto gradino del podio olimpico. Benché avesse già compiuto i 40 anni, decise di tentare ancora, malgrado nessuno riteneva possibile l’impresa. E invece sulla pista dell’Alpe d’Huez il testardo e taciturno Monti scrisse la pagina più bella e conclusiva della sua straordinaria carriera. Dapprima nel bob a due, in coppia con Luciano De Paolis, riuscì a strappare la medaglia d’oro dal collo dei tedeschi Floth-Bader, in testa dopo tre manches, grazie ad un’ultima discesa nella quale segna il record della pista: un 1’10”05 e che, a parità di tempo finale con i rivali (4’41”54), gli assegna la vittoria. Sette giorni più tardi, alla guida del bob a quattro con Roberto Zandonella, Mario Armano e ancora De Paolis, seppe ripetersi superando in due manches i favoriti austriaci. Il suo canto del cigno. Il complimento più spontaneo glielo fece proprio il pilota di Austria-I, Erwin Thaler: “Se era scritto che dovevamo perdere, tanto meglio che sia stato per mano di Monti”.

  Il podio di Eugenio Monti

 ● Giochi Olimpici

1956 (Cortina d’Ampezzo) – Bob a due: ARGENTO, 5’31”45; Bob a quattro: ARGENTO, 5’12”10.
1964 (Innsbruck) – Bob a due: BRONZO, 4’22”63; Bob a quattro: BRONZO, 4’15”60.
1968 (Grenoble) Bob a due: ORO, 4’41”54 (alla pari con FRG, ma titolo all’Italia per la discesa più veloce: 1’10”05 contro 1’10”15); Bob a quattro: ORO, 2’17”39 (annullate per il maltempo le discese della seconda giornata).


● Campionati Mondiali

1957 (St. Moritz) – Bob a due; ORO, 5’17”94; Bob a quattro: ARGENTO, 5’12”93.
1958 (Garmisch) – Bob a due: ORO, 5’05”78.
1959 (St. Moritz) – Bob a due: ORO, 5’23”86.
1960 (Cortina d’Ampezzo) – Bob a due: ORO, 5’17”54; Bob a quattro: ORO, 5’04”75.
1961 (Lake Placid) – Bob a due: ORO, 4’42”67; Bob a quattro: ORO, 2’18”40.
1963 (Igls) – Bob a due: ORO, 4’27”04.
1966 (Cortina d’Ampezzo) – Bob a due: ORO, 5’07”52.

Si noti che, fino al 1980 compreso, la Federazione Internazionale ha considerato i titoli olimpici validi quali titoli mondiali. Qui non si è tenuto conto di quella norma.

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