Caprilli

Print

© www.sportolimpico.it / Biografie


Federico Caprilli [1868-1907]


Equitazione


caprillihorse.jpg


(gfc)
Il nome di Federico Caprilli divenne noto a tutti nella primavera del 1902, quando – precisamente alle ore 18,50 del 24 maggio -, in sella al possente baio Melope riuscì a superare per la prima volta al mondo i 2 metri - 2.08 per la precisione -, durante il Concorso internazionale di Torino indetto dal marchese Carlo Compans di Brichanteau, il deputato piemontese che si colloca alle radici più profonde del CONI. Ma nella considerazione dei (non pochi) cultori dell’equitazione, all’alba del Novecento Caprilli si era già da tempo ritagliato un posto di rispetto.

Come ha riepilogato il maggiore storico del settore, Giuseppe Veneziani Santonio, “fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del ‘900” Caprilli aveva ideato “un sistema di montare a cavallo del tutto diverso da quello fino ad allora in vigore. Il sistema fu denominato di equitazione naturale perché il cavallo montato dal cavaliere deve, costantemente ed in ogni circostanza, potersi comportare secondo natura, cioè come si comporterebbe se non avesse in groppa il cavaliere, pur obbedendo alla sua volontà”. Quel sistema (il “sistema italiano”, come lo si definì, che rifondava l’empatia millenaria tra uomo e cavallo), sperimentato e fatto adottare da Caprilli, è ancor oggi alla base della moderna equitazione.

A quel tempo, il capitano Caprilli – trentaquattrenne (era nato a Livorno il 7 aprile del 1868) –, uscito con lode dalla Scuola di Pinerolo, comandava il secondo squadrone di Genova Cavalleria, l’avanguardia nobile dell’esercito italiano, cui era arrivato transitando da Nizza Cavalleria. Ma nel suo cuore covava una delusione che non l’avrebbe più lasciato. Convinto della bontà del suo metodo, appoggiato dall’ammirazione dei suoi ufficiali, due anni prima Caprilli aveva tentato di recarsi a Parigi per prendere parte a quell’Esposizione Universale che salutava il nuovo secolo e che noi oggi conosciamo come Giochi Olimpici del 1900. In quel confuso ambito, anche l’equitazione fece il suo esordio: una affermazione, quest’ultima, che la Federazione internazionale rifiuta, posticipandola al 1912. Pur non potendo impedire che le gare diputate in quell’occasione – una prova di altezza e una di lunghezza – sono entrate a pieno titolo nello staria olimpica.

Questo l’antefatto. Ma il “cavaliere volante” a Parigi (e a quei Giochi) non riuscì proprio ad arrivare. Si era preparato con cura. Una decina di giorni prima della partenza aveva testato lo stato di forma vincendo al Velodromo Umberto I cinque Gran Premi in un solo pomeriggio, montando nell’ordine Dublin, Zazà, Melopo, Pomelo e Montebello, tutti cavalli da lui stesso addestrati. Inatteso, invece, ecco un telegramma del Ministero della Guerra che gli impone di non moversi. Perché? Una domanda destinata a restare senza risposta.

Una versione, peraltro un po’ sibillina, la fornisce la Gazzetta dello Sport che aveva già annunciato la partenza per la sera del 20 maggio: “Il tenente Caprilli – che ora trovasi a Parma – doveva recarsi al Concorso ippico internazionale bandito a Parigi. All’ultimo momento, quando già si apprestava alla partenza, un ordine telegrafico del Ministero gli inibiva assolutamente di montare a Parigi i cavalli Montebello, Oreste e Pomelo, colà già inviati. E nel dubbio che a Parigi fosse già diretto – giacché trovavasi in regolare licenza – il Ministero telegrafava a quell’Ambasciata l’ordine perentorio di proibire al Caprilli di prender parte al Concorso, per motivi politici.” La Gazzetta si spinge ad azzardare anche un’ipotesi: “mentre è noto urbis er orbis, che il vero motivo é dovuto a pettegolezzi, invidia et similia.” Comunque siano andate le cose, a Parigi quei cavalli arrivarono lo stesso e su uno di essi – Oreste – il conte Gian Giorgio Trissino, sottotenente di Genova Cavalleria, vinse il primo titolo della storia olimpica italiana superando una barriera alta 1.85. Era il 2 giugno 1900.

Caprilli avrebbe in seguito trovato molte rivincite, sia nel campo professionale che in quello agonistico. Da quando era stato promosso capitano, le sue apparizioni nei Concorsi s’erano diradate. Impegnato come direttore delle Scuole di Pinerolo prima, di Tor di Quinto dopo, prototipo dell’ufficiale di cavalleria del bel tempo antico, toscano di nascita e di carattere, bell’uomo, elegante nel fisico, prestante, amato dalle donne che molto amò, anche se non trovò mai tempo per sposarne una. La sua famiglia si racchiudeva soltanto in una sorella e in fratello. Il solo che lo avrebbe accompagnato al cimitero quando, inaspettamente, Caprilli morì a Torino per una caduta da cavallo (l’ultima tra le oltre 400 patite), durante una tranquilla passeggiata nei viali cittadini: aveva solo trentanove anni.

La tragedia maturò alle cinque del pomeriggio. Montava un cavallo nuovo, l’unico del quale non c’è stato tramandato il nome, “un morello d’indole buonissima”. Meno di cinquanta metri, giunto appena sul corso Duca di Genova, alle 17,20, “i testimoni lo videro barcollare e cadere pesantemente a terra”, colla testa all’ingiù. Il cavallo si era fermato, tranquillo, poco discosto. Ai soccorritori le sue condizioni apparvero subito disperate. La nuca mostrava una frattura esposta della base cranica, anche se “appena un un filo di sangue gli rigava i capelli e il collo”. Alle 8,40 del 5 dicembre 1907 Caprilli “spirò con un gemito”. Dopo pochi minuti, su Torino, cominciava a cadere una fitta nevicata, la prima della stagione.

Le esequie furono nello stile riservato che aveva improntato la sua esistenza. Desiderava essere cremato e tale volontà fu rispettata. Alle 10 del mattino la salma venne chiusa nella cassa che sei sottotenenti di vari reggimenti di cavalleria portarono a braccia fino al carro funebre. Sul feretro, secondo l’uso, vennero deposte l’elmo e la sciabola. Lo seguiva solo il fratello, “in una vettura chiusa”. Altri quattro carri recavano le corone: quelle della famiglia reale, dall’ambasciata inglese, dalla Guardia nobile dello Zar. Come scrisse un anonimo cronista, “la cerimonia non poteva essere più modesta né più solenne nella sua semplicità”.

(revisione: 24 aprile 2014)