I sentieri di Cimbricus / Boston sogna l'ora piu' bella

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Venerdì 14 Aprile 2023

 

kipchoge


Eliud Kipchoge ha due caselle vuote nella sua collezione: Boston e New York. Non lontano dai 39 anni vuole colmarle per poi puntare al terzo titolo olimpico. Tra i fatti più recenti, parliamo poi del vento amico e del Golf che sorprende.

Giorgio Cimbrico 

Lunedì prossimo, festa cittadina: Eliud sarà a Boston per la 127a edizione della maratona più antica e difficile, vinta solo in un’occasione da un campione olimpico, Gelindo Bordin nel 1990. Sono 42 chilometri, 26 miglia, da Hopkinton al centro della città, con quattro colline nella seconda parte: una ha ricevuto il nome di Heartbreak Hill, collina spezzacuore. E’ un percorso insidioso - nulla da spartire con le scorrevolezze di Berlino, Londra, Chicago, Tokyo, volate con medie che sfiorano i 21 km orari – e così singolare da non permettere l’omologazione in caso di record.

Le scalate sono dure e sfiancanti ma la lunga discesa che porta verso il centro città produce una media a chilometro di tre metri abbondanti di dislivello. Nel 2011 Geoffrey Mutai frantumò di quasi un minuto il record mondiale di Haile Gebrselassie ma quel 2h03’02” non venne mai portato alla ratifica. 

Dieci anni fa Boston visse il suo momento più buio e drammatico. Due fratelli ceceni fecero esplodere una bomba nella zona dell’arrivo: tre morti e duecento feriti in diretta tv. Nell’anniversario, la città sogna l’ora più bella, affidandosi a Kipchoge, da vent’anni sulla breccia, 14 vittorie in 16 maratone corse, campione olimpico a Rio e a Sapporo con la sicurezza propria degli eletti, primatista mondiale in 2h01’09”, sceso per venti secondi sotto le due ore nel perfetto esperimento organizzato, con una legione di lepri e in un 12 ottobre perfetto per nuove esplorazioni, su un viale nei pressi del Prater viennese. Se Abebe Bikila appartiene al mito, Kipchoge, nato nelle generose e prolifiche colline Nandi, è la storia.  

Avrà buoni avversari, quattordici scesi sotto le 2h07’ e in molti casi con esperienze che hanno lasciato il segno nelle tre grandi maratone americane: l’anno scorso Evans Chebet ha prodotto un’accoppiata memorabile vincendo prima a Boston e poi a New York; Benson Kipruto è andato a segno a Chicago e nel 2021 nella capitale del Massachusetts e all’etiope Lelisa Desisa toccò in sorte il successo proprio nell’edizione del dramma e del sangue. Rifiutò la medaglia e volle che fosse dedicata al ricordo delle vittime.


Gli amabili scherzi del vento
 
Non conosco Roy Conrad di T&F ma la penso come lui: è windy, ventoso, non c‘è dubbio (+4,1), il 10”57 di Sha’carry Richardson a Miramar, ma solo due donne hanno corso più veloce della pazzerella dalle acconciature singolari: Florence Griffith e Elaine Thompson. 

Sul 10”49 di FloJo, con vento 0,0, esistono da quasi 35 anni dubbi e interrogativi. Durante i quarti dei 100, il 16 luglio 1988 a Indianapolis, era in corso, nella stessa direzione, anche il salto triplo che si svolse in condizioni di forte vento favorevole. 

Uno studio del dipartimento di fisica dell’università della Western Australia giunse alle conclusioni che sarebbe stato più appropriato indicare un vento favorevole di +5,5. Il giorno dopo Griffith corse in 10”70 (+1,6) in semifinale e in 10”61 (+1,2) in finale. L’annuario degli statistici, in gergo il Matthews, pone accanto a queste due prestazioni, tra parentesi, la sigla WR che non compare accanto al 10”49. 

Il 10”54 di Elaine Thompson (anch’esso accompagnato dalla stessa indicazione, WR), è venuto, con vento 0.9 favorevole, il 21 agosto 2021 al Prefontaine Classic di Eugene. In precedenza la giamaicana aveva vinto il terzo dei suoi quattro ori olimpici in 10”61 a Tokyo con un vento contrario di 0,6. Dopo interpolazione, è il vero record del mondo, anche meglio del 10”60 (+1,7) di Shelly Ann Fraser? 

Secondo Conrad, il tempo di Sha’carry Richardson (che in batteria con +2,8 aveva corso in 10”75) potrebbe virtualmente equivalere, con 2 metri esatti di vento favorevole, a 10”67, e cioè al di sotto del record personale (10”72), della piccola texana che ha appena compiuto 23 anni. Ma qui entriamo in un terreno abbastanza incerto. 

Che Miramar, nei pressi di Fort Lauderdale, sia un luogo dove si corre forte è testimoniato da alcuni precedenti (nel 2021, 9”77 di Trayvon Bromell, 9”85 di Marvin Bracy e, appunto, 10”72 della Richardson) e dai recenti risultati: 9”95 legale e 9”91 con una bava in più (2,2) del giovane giamaicano Oblique Seville e doppio 20”00, con 1,9, di Christian Coleman che per tre millesimi ha avuto la meglio su Letsile Tebogo che deve ancora compiere vent’anni e che a fine mese sarà una delle star del meeting organizzato a Gaborone, capitale del suo paese, il Botswana. Tebogo è il primatista mondiale under 20 dei 100 con 9”91 e l’anno scorso si è spinto per quattro centesimi sotto i 20”0. 


Master di golf, fatti di Spagna

“Non pensavo si potesse piangere in un giorno così lieto”. E invece Jon Rahm, grande e grosso com’è, ha pianto perché, dopo lunga volata con Brooks Koepka e sorpasso alla 60° buca, ha vinto il Masters di Augusta il 9 aprile, il giorno del compleanno, sarebbe stato il 66°, di Severiano Ballesteros che se n’è andato dodici anni fa. 

Ballesteros è stato il primo spagnolo a indossare la giacca verde, nel 1980. L’altra è arrivata nel 1983 e il bilancio finale di chi è stato rapito da un tumorè al cervello, è stato di sei major e due della collezione sono stati Open di Gran Bretagna, anche se loro non gradiscono la precisazione: Open e basta per chi diventa il padrone di una copia della brocca per il chiaretto, Claret Jug. 

Seve era del nord, veniva dalla Cantabria, affacciata sul golfo di Biscaglia, il paradiso per chi ama pesce, crostacei e le inimitabili percebes. Rahm è basco di Barrika, ha studiato e si è affinato alla Arizona University e dimostra più dei suoi 28 anni e mezzo: 1,88 per un quintale e barbaccia. Seve era bello ed era un modello di eleganza. 

In fondo a un torneo dalle mutevoli condizioni atmosferiche (pioggia, vento, freddo, solo qualche scorcio di sole) Jon detto Rambo – potente, ma anche in grado di offrire la delizia di un approccio sopra l’acqua con spin vincente – è diventato il quarto spagnolo a metter le mani sul Masters ed è il secondo basco, preceduto da Josè Maria Olazabal da Fuentarrabia, due successi nel club georgiano, così simile a un giardino botanico, voluto da Bobby Jones. Il quarto ad aver portato a casa il torneo degli antichi pini e delle mille azalee, nel luogo prediletto da Ike Eisenhower, è Sergio Garcia, levantino di Castellon de la Plana. 

Ai tempi di Severiano si guadagnavano dei buoni premi (tanto per fare un esempio, alla fine degli anni Settanta, il premio per chi vinceva l’Open era di 10.000 sterline), oggi si diventa miliardari: quelli di Augusta sono sempre molto parchi sulle informazioni relative al compenso che tocca al vincitore ma la cifra di 3 milioni e 70.000 dollari è piuttosto attendibile. 

Alla soglia dei 53 anni il californiano Phil Mickelson, detto Lefty (è mancino), è finito secondo, a quattro colpi da Rahm. Un tempo beniamino del pubblico, non ha avuto le ovazioni di un tempo: è uno dei 18 giocatori che hanno aderito alla Liv, la Lega irrorata dai dollari sauditi, in diretta concorrenza con la corporazione che governa il resto di un singolare pianeta che sa offrire opportunità anche a chi, in ogni altro sport, è costretto a guardare dalla poltrona e a ricordare i bei tempi andati: a  63 anni compiuti, e a 31 dalla sua vittoria ad Augusta, Fred Couples era in campo per tutti e quattro i giri. A 54 buche si è fermato Tiger Woods, fisicamente sempre più disastrato. Il suo ultimo Masters?