Duribanchi / Una Milano che non puo' piu' attendere

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Martedì 28 Marzo 2023

 

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Altro quesito  tra i tanti: che fine farà San Siro? C'è chi lo vuole abbattere. Per non avere a fianco un impianto concorrente. Difficilmente tornerà ad essere la Scala del calcio. Magari lo vedremo sede di “Giochi senza frontiere”.

Andrea Bosco

Cahier, aperto, su Milano. Caro prezzi delle case, caro affitti, caro vita. Ladre che fanno anche 1000 euro al giorno, impunite, gravide (nove figli) in pianta stabile, arroganti e compiaciute di aver potuto sbeffeggiare la legge, davanti al registratore di un giornalista. Con le borseggiatrici rom, le bande di balordi (facciamo “delinquenti“, quello è il termine) che rapinano i passanti nel cuore della notte. La droga che abbonda (ma se abbonda a tal punto da aver fatto diventare Milano la città più “drogata“ d'Europa, significa che lo sballo viaggia dai quartieri alti a quelli popolari senza discriminazioni di sorta).

I tossici che camminano con la siringa in mano e che rapinano per una dose. I residenti disturbati dalla musica a palla di ritrovi e dehors che con l'occupazione dei marciapiedi (grazie a Sala) si sono impadroniti anche dell'acustica. I disperati che arrivano da mezzo mondo che vengono salvati in mare, “stoccati“ nei porti d'accoglienza, inviati in mezza Italia e immediatamente abbandonati: mendicanti senza casa, senza lavoro, senza assistenza sanitaria, senza prospettive. Se non quelle legate (inevitabilmente) alla delinquenza. Le periferie ribollenti di disagio, malavita e rancore.

Milano, dove trovare un “medico di famiglia“ (grazie ad una infame riforma sanitaria) è come vincere una sestina al Superenalotto. Milano con i pendolari e i carri bestiame che li trasportano. Milano e il turismo selvaggio incrementato da Beppe Sala, che arricchisce pochi (tra questi il Comune) e crea disagi a tanti. Milano e lo “struscio“ idiota del selfie in Galleria. Milano e le buche nelle strade. Da quattro anni, nonostante le (inutili) segnalazioni anche al Corrierun, in via Boccaccio ci sono storici crateri, mai coperti. Una delle tante strade della città. In questo il Comune è democratico: centro o periferia per lui pari sono.

Milano e le code indecenti per il rinnovo del passaporto. Milano e i vigili che non ci sono. La Polizia che arriva tardi. I carabinieri che non arrivano. I militari che sono pochi. E quei pochi che ci sono stanno con i fuciletti in piazza Duomo o a presidiare le Stelline. Milano e lo smog (con un primato terrificante sulle spalle). Milano e gli incidenti automobilistici. La strage di ciclisti e pedoni. Milano e i senza dimora: vergogna ittadina, persino sotto ai colonnati di Piazza Duomo.

Milano e gli imbrattatori. Mai puniti. Quelli che lo fanno nel nome dell'ecologia per “svegliare il mondo che sta andando verso la catastrofe“. E quindi dipingere di arancione il Dito di Piazza Borsa gli pare una adatta “figata“. E quelli che proprio non sopportano un muro pulito e devono scagazzare la loro tag, marcando il territorio. Milano e gli attivisti (di qualsiasi cosa e di qualsiasi causa) che ogni giorno hanno una manifestazione da indire. Sindacati, studenti, nuovi e storici disobbedienti fianco a fianco. E poi gli “antifascisti“ diventati categoria hegheliana. Ogni cosa deve essere “antifascista“: prossimamente anche l'antifascismo. Banalizzando quella che fu una scelta di cuore e coraggio: quando essere “antifascisti“ era pericoloso. Con possibile destinazione al Monumentale. O se proprio andava bene al “confino“ o in galera.

Milano e gli anarchici: quattro gatti in corteo per Cospito, il “compagno“ al 41bis per gravi reati contro le cose e la persona. Ma rumorosi, violenti: indecenti per quanto distruggono e saccheggiano con le forze dell'ordine (ossimoro) a debita distanza. Meglio far sfasciare le automobili in strada, le vetrine dei commercianti, meglio far incendiare i cassonetti. Il paradosso è quello di credersi anarchici in un mondo che fa della liceità la propria ragione esistenziale. L'anarchia è nel mondo e nella società: chi si dice anarchico è un omologato che si disputa un like con i Fedez e i Rosa Vattelapesca. Come sempre accade quando le leggi e le regole non vengono rispettate. Ma sarebbe troppo lungo aprire un capitolo sulla giustizia e sulla sua applicazione in questo Paese. Diventato serraglio di azzeccagarbugli: avvocati e giudici senza distinzione.

Segue (ne hanno dato finora conto, nelle due direzioni, Pier Luigi Vercesi e Giangiacomo Schiavi sul Corriere della sera) il cahier delle cose positive. La storia, i monumenti, la tradizione sociale, le associazioni solidaristiche, la Milano che si è sviluppata in altezza, i quartieri “bene“, la cultura, le mostre, la Scala, il Cenacolo Vinciano, le università, la sanità, gli ospedali nei quali vengono a farsi curare da tutto il mondo, lo sviluppo della Metropolitana. E poi l'Expo, fiore all'occhiello di Sala (peccato che per non far assegnare la manifestazione a Smirne, Letizia Moratti, sindaco allora in carica, prese – pagando di tasca propria – millanta aerei e staccò – idem idem – millanta assegni). E la Biblioteca, la Triennale, Brera, il Poldi Pezzoli, il Castello Sforzesco, la Pietà Rondanini . E tante, tante altre cose positive. Del resto si rammenta, è dai tempi di Bonvesin de la Riva che i “cecchini“ sono in azione contro Milano.

Tutto vero: il brutto e il bello. Io sono arrivato a Milano nel gennaio del 1971 da Venezia. Ho trovato a Milano lavoro, poi sono stato licenziato con altri tre colleghi (per “esubero di personale“), ma mi sono rialzato. Perché ho avuto le “palle“. E perché dopo quella disavventura sono capitato nei posti giusti al momento giusto. A Milano al San Giuseppe è nata mia figlia. A Milano ho comprato casa. Con notevole sacrificio. Aspettando cinque anni prima di poterla occupare visto che l'avevo comprata che non era libera. L'ho restaurata. Ho rinunciato a molte cose. Come ha fatto mia moglie. Tutto per avere un tetto sicuro sulla testa. Tetto che ora una normativa europea vorrebbe cosparso di pannelli solari. Il fatto è che delle istituzioni non mi fido più.

Anni fa (sempre sindaco Letizia Moratti) ho cambiato la mia automobile: era la “conditio sine qua non“ per poter circolare. Ma quando fu istituita area C (con il blitz referendario, sindaco Pisapia, a metà luglio e con mezza città al mare) mi sono trovato nella condizione di dover “pagare“ per poter tornare a casa: nel parcheggio interno del mio palazzo. Quindi no: non mi fido. Dopo i pannelli solari, vorranno la coperta termica. E poi qualche altro accidente che magari renderà obsoleti pannelli e coperta. Il Parlamento Europeo reggia di burocrati, non ha a cuore i cittadini. In Italia va peggio, considerato che la burocrazia italiana è tra le peggiori del mondo.

Mi aggrego al dibattito su Milano. Vercesi ha scritto che “Sala (in ritardo) non può più attendere“. Non credo che il bravo collega verrà ascoltato. Sala mostra i muscoli quando gli conviene, ma batte in vergognosa ritirata quando gli equilibri della sua (zoppicante) giunta vengono messi in discussione. La vicenda stadio di San Siro è emblematica. L'ho già raccontata e non mi dilungo. L'Inter ha un piano B (per qualche area extraurbana) più misterioso dei piani per lo sbarco in Normandia. Il Milan vuole la Mura nell'area dell'ex ippodromo, dove verdi, ambientalisti e pezzi del Pd sono pronti a scendere sul sentiero di guerra pur di non far cementificare la zona. Perché al netto delle favole belle che da quattro anni su quello stadio stanno raccontando, la verità è che i club (che non sono il fraticello di Assisi) lo stadio lo faranno se gli verrà consentita una macro-speculazione edilizia tra appartamenti, uffici e altre strutture commerciali.

Sala si è ritrovato a fare i conti con chi la speculazione non la vuole. Lui la accetterebbe. Perché mettere mano al cemento creando un'altra City Life, riqualificherebbe il quartiere, ora in mano alle bande e ai trappers. Che lui per opportunità ha perfino ricevuto a Palazzo Marino ma che oggettivamente non possono rappresentare il futuro. Per il Meazza, Sala arrischia di restare con il cerino in mano. I club non hanno accettato di contribuire al restauro perché la parte edilizia-commerciale in quella zona della città è sempre stata esclusa. Il futuro del Meazza è immerso nell'oscurità. C'è chi lo vuole abbattere. Per non avere, eventualmente, un impianto confinante e concorrente. Difficilmente tornerà ad essere la Scala del calcio. Magari in un prossimo futuro lo vedremo sede di “Giochi senza frontiere”.

Sala “posta“ molto. Ma proprio non riesce a dire qualche cosa di decente in fatto di mobilità ciclistica. Una sola: “Biciclette e monopattini non devono e non possono circolare sui marciapiede“. A tutela dei pedoni. Che sono vittime degli sprint spericolati dei ciclisti. I quali, ormai, neppure quando la strada è completamente libera, si degnano di percorrerla. Martedì scorso mentre ero sul marciapiede in zona Porta Romana, sono stato investito alle spalle da un Merckx da strapazzo con zainetto e cuffie che mi ha urtato, mi ha sbattuto a terra e neppure si è fermato. Mi sono fatto male ad un ginocchio e a una mano: ho ancora i lividi. Ma sono stato fortunato a cadere di spalla. Sono stato fortunato ad aver imparato, quando facevo il calciatore, a cadere. Fossi stato uno sprovveduto, in materia, avrei forse battuto la testa. E ora non sarei qui a scrivere. E a essere ferocemente incazzato con Sala. E a chiedere, porca la pupattola: “E' possibile che non si veda mai un vigile appioppare una multa per qualche violazione ad un ciclista?“

Non ho sporto denuncia: in una città come Milano denunciare un fatto del genere è una perdita di tempo. Destinata solo a far aumentare la frustrazione. E poi perché, come spiegava Curzio Malaparte: “la legge in Italia è come l'onore delle puttane”. Sempre a proposito della qualità della vita nella città che ho amato (quasi) come la mia Venezia. E che ora, lo confesso, non amo più. Per colpa di chi la governa. E voglio essere chiaro: non per una questione ideologica.

Ah: dedicato agli amici che stanno alimentando (ottimamente) il dibattito su Milano. Ho ritrovato tra le mie carte “L'appunto volante edito da Valeri“ su Pietro Verri. Che recita: “Milano è un paese dove chi ha testa cerca di comandare. Oppure se ne va". Quale era l'invito di Renzo Arbore?