Piste&Pedane / In memoria (e in elogio) di "The King"

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Sabato 11 Febbraio 2023


rizzo


Il 7 Febbraio se n’è andato Alfredo Rizzo, storico mezzofondista della Riccardi negli anni Cinquanta e Sessanta, in maglia azzurra alle Olimpiadi di Roma del 1960. Soprannominato “The King”, avrebbe compiuto novant’anni il 1° Luglio.

Gianfranco Carabelli

In carriera, oltre a vantare la partecipazione a cinque cerchi nei 1500 metri, è stato in Nazionale per 27 volte gareggiando anche in due edizioni dei Campionati Europei nella stessa specialità, a Stoccolma 1958 e Belgrado 1962. È stato anche primatista italiano nel miglio, così come nei 2000, nei 3000 e nei 3000 m siepi, ha collezionato sei titoli italiani equamente divisi tra 1500 e 3000 siepi.

Quando Sergio D’Asnasch sosteneva che il Giuriati era una specie di ‘’Repubblica anarchica’’, credo si riferisse principalmente a lui, ad Alfredo Rizzo, il quale per un decennio, tra la fine degli anni Cinquanta e Sessanta, è stato l’atleta più rappresentativo, il Dominus, il meno ’’addomesticabile’’, anarchico, appunto, di quello storico campo di Atletica e di Rugby di Milano.

I suoi allenamenti erano quasi sempre una specie di sorpresa. Arrivava al campo con la sua spiderina (vera rarità per i giovani di quei tempi) a orari mai fissi, quando gli impegni di lavoro glielo permettevano.

Si spogliava alla luce del sole, servendosi di una panchina posizionata in modo casuale lungo il rettilineo. Alla fine dell’allenamento, effettuato come se fosse un'esibizione privata, si rivestiva seguendo la stessa procedura, senza curarsi troppo degli occhi indiscreti che l'osservavano o, peggio, lo studiavano in ogni suo movimento, perché dal momento del suo arrivo diventava il centro dell’attenzione.

E ripartiva, a volte senza parlare con nessuno, altre volte chiacchierando con gli astanti, ma sempre solo se aveva delle novità mirate, da portare all’attenzione di chi gli stava intorno.

Anche in questi frangenti metteva in evidenza un carattere molto forte, da maschio alfa si direbbe oggi, capace di esprimere una forma decisa, ma simpatica di affermazione, sovente accompagnata da un sorriso su un angolo della bocca, psicologicamente rivolto più a se stesso che agli interlocutori.

Questo bisogno di rendere partecipi gli altri delle sue esperienze più significative e delle sue conseguenti riflessioni, era alla base di una serie di articoli scritti per la Domenica del Corriere sotto il titolo significativo ‘’C’ero anch’io‘’.

Lo frequentava un selezionato gruppo di amici e ammiratori che veniva sottoposto a volute provocazioni verbali e a forme non sempre ortodosse di comportamento, che ottenevano il risultato di rafforzarne il rapporto. Sta di fatto che le sue scelte di stile di vita in molti casi hanno anticipato di almeno un decennio quelli che sarebbero stati i nuovi movimenti giovanili e sociali degli anni a venire.

Strana, quasi inspiegabile, ma vera e sincera la sua pressoché perfetta intesa con due persone a cui è rimasto sempre legato: il presidente della sua Società, rimasta tale a vita, Renato Tammaro (espressione nazionale anche del Centro Sportivo Italiano oltre che della Federatletica) e il suo allenatore, tutto stile elegante e maniere perfette, anche quando si arrabbiava nel vedere atleti rovinati da allenamenti secondo lui sbagliati, specie in termini di tecnica di corsa a cui attribuiva particolare importanza, Gianni Caldana.

Caldana riusciva a gestire l’ingestibile, perché Rizzo non svolgeva un vero e proprio programma di allenamento. Il più delle volte dava l’impressione di scegliere il da farsi in base all’ ispirazione del momento e al tempo, comunque poco, a disposizione.

Niente preparazione invernale, niente lavoro in palestra, niente allenamenti di fondo, del cosiddetto lungo e lento neanche a parlarne. Qualcosa di questi elementi dell’allenamento l’ha introdotta verso la fine della carriera, ma con parsimonia. Forse, il fiato, come si usava dire, l’ha fatto suonando la tromba, cosa per la quale veniva chiamato anche King Alfred, ma di questa sua seconda vita non ne ha mai fatto un vanto vero e proprio.

Anche agli allenamenti collegiali partecipava poco e quando era costretto a farlo, Mario Lanzi, responsabile nazionale del mezzofondo e perfetto e, a modo suo, sensibile conoscitore delle esigenze e delle preferenze dei suoi atleti, sapeva già che doveva lasciarlo libero di decidere da solo su come, dove e quando allenarsi, e, cosa ancora più inusuale, dove alloggiare. Perché preferiva evitare di prendere la camera nel mitico Albergo Stadio, scegliendo una meno accogliente stanza in una dependance del Campo Lanerossi che all'origine era adibita ad alloggio del custode e poi a deposito degli attrezzi. Lì diceva di trovarsi benissimo.

Personalmente, con lui ho fatto un’esperienza che mi ha lasciato il segno a lungo. In occasione del mio primo allenamento da sedicenne al Giuriati, Tammaro mi ha subito affidato a Caldana, il quale, a sua volta mi ha passato a Rizzo per fare alcune ripetute di 300 metri. Ancora non sapevo chi fosse questo atleta con cui mi sarei dovuto allenare e ancora meno lui sapeva ovviamente di me. Fatto sta che mi ha letteralmente ‘’strippato‘’ per bene, facendomi correre cinque volte i 300 m al ritmo di gara, ma al suo ritmo di gara, quando già valeva intorno ai 3’44”/3’43’’ sui 1500 m.

Da quel momento siamo diventati atleticamente amici, ma da buoni mezzofondisti, sempre pronti alla “sgomitata” per farsi largo.

L’ho rivisto nel ruolo di dirigente della Riccardi, in occasione della presentazione di un volume della Storia dell’Atletica leggera di Roberto L. Quercetani, edita da Vallardi, in una prestigiosa villa di Monza. Sembrava un’altra persona: buone maniere, eleganza alla ‘’Bardelli‘’ (il negozio di abiti da uomo tra i più eleganti di Milano), impeccabile cerimoniere, comunque sempre capace di rivolgere verso di sé l’attenzione dei convenuti.

Ma non è vero che era cambiato, aveva solo fatto emergere una forma di aristocrazia di cui era geloso e che teneva nascosta dentro di sé.

Ciao Alfred.
 
Articolo tratto dalla pagina FB dell'autore.