Duribanchi / Se l'Occidente guarda da un'altra parte

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Giovedì 29 Dicembre 2022

hijab 


Da queste parti non ci annoia mai. Si va verso la fine dell’anno con i problemi di sempre, semmai amplificati da amnesie e da una certa interessata malafede. Per fortuna che c’è il basket (quello d’antan, intendo …).

Andrea Bosco

Il “gomitolo” è talmente intricato che francamente non si sa dove incominciare per liberarlo da tutti i nodi. Da chi vive, perché non ha casa, in auto ed è costretto ad abbandonare ad altri la propria “carne” non potendo provvedere al sostentamento? O da quei sette ragazzi “disagiati e problematici” che sono evasi dal carcere minorile Beccaria, che provengono da “famiglie destabilizzanti”, ma che sono anche delinquenti in erba: il diciassettenne che ha ideato la fuga era dentro per rapina.

Non sono mai stato al Beccaria, ma una volta – per lavoro – sono stato a San Vittore: volevo vedere come Primo Greganti l’uomo del “conto Gabbietta” fosse sopravvissuto tra quelle mura per mesi, nonostante Di Pietro gli facesse “tintinnare” ogni settimana le manette, negandogli la “libertà vigilata”. Avevo intervistato Greganti per un suo libro e ed ero rimasto basito quando mi rivelò che a Di Pietro che lo invitava a “parlare” sui conti segreti del PCI, minacciando di “buttare via la chiave”, aveva risposto: “In carcere io sto benissimo”.

Così ci sono andato: a San Vittore non si stava – e presumo non si stia – bene. San Vittore era un carcere vecchio, sovra-popolato, privo di moderne strutture, sottodimensionato nel personale di custodia. Francamente non so come Greganti potesse “starci bene”. Ma Greganti aveva “imparato” (mi disse) non a Praga o a Mosca, ma alla sezione del partito di Reggio Emilia. Greganti aveva la “scorza” e a Di Pietro mai rivelò qualche cosa. Disse che i soldi li aveva presi per se stesso, non per il partito. Altra tempra rispetto alle “mozzarelle” democristiane e socialiste che ai tempi di Tangentopoli spifferavano subito tutto per poter tornare a casa in “serata”.

Il problema carcerario in Italia, come da tempo spiegano i Radicali, è un problema enorme. C’è chi vorrebbe abolire le carceri: rimettendo alla buona volontà dei rei, al Fato, forse al buon Dio, la remissione della pena. Ma un consistente investimento per un sistema carcerario moderno, che rieduchi e non sfregi il detenuto (che per quanto colpevole resta prima di tutto un uomo) sarebbe opportuno. Cominciando a restituire storici edifici, ormai obsoleti, piazzati in centro città (quando sorsero erano in estrema periferia) come San Vittore a destinazioni migliori. Non a speculazioni edilizie, non ad appartamenti per ricchi ma a valorizzazioni culturali. Costruendo altrove istituti penitenziari dove chi ha sbagliato possa scontare in modo “umano” la pena. Evitando di citare ad ogni passo (a sproposito) Cesare Beccaria.

L’illuminista marchese di Gualdrasco e di Villareggio scrisse contro la pena di morte e contro la barbara pratica della tortura. Non contro la soppressione della pena. La solidità del diritto e della criminologia di scuola liberale non può essere messa in discussione da un “buonismo” che si è rivelato deleterio (negli ultimi decenni) per l’edificazione di un edificio che sposi efficacemente garantismo e legalità.

Un mondo privo di legalità è destinato al caos. Come una squadra di calcio o di basket che non abbia un allenatore e in campo un regista.

Ma pare che parole come “legalità”, “merito”, persino “lavoro” siano diventate obsolete. Come “madre” o “padre”. Come “nazione” o “patria”. Il nuovo mantra è: “globalizzazione”. Tutto si confonde. Tutto che si mescola. Tutto si sgualcisce. E allora ti ritrovi i mercati zeppi di “fuffa” made in China: tutto falso, tutto taroccato. E tra poco, tutto “contaminato”. Perché il mondo occidentale pervaso da un morboso “cupio dissolvi” ha deciso che sì (per esempio a Malpensa) quei cittadini cinesi che arrivano da Pechino, senza la protezione di un vaccino, se proprio si degnano, possono fare un “tampone”. Ma per carità: nessun obbligo. Mica vorremmo mettere in discussione la “Via della Seta”? L’Italia non lo farà. La Lombardia non lo farà. Prima di tutto i “danè”. Per la salute, si vedrà.

GOOGLE E CAPRE – Ormai sembra che per stare in prima pagina, per avere fama e successo ci si debba presentare come un “figlio di mignotta”. Con il dovuto rispetto per la categoria. Devi raccontare che sei stato abusato da piccolo o da piccola. Devi vantarti di aver violato le norme anti Covid (Madame parteciperà al Festival di Sanremo nonostante sia sotto inchiesta). Devi aver cantato (si fa per dire) contro tutto e tutti con versi “odiosi” e da “odiatore” (Salmo che aprirà e chiuderà il Festival del despota Amadeus). Neppure una novità: dispotico Amadeus come Bianca Berlinguer che continua ad imporre ai telespettatori il borioso professor Orsini, ignorante (per dirla con Vittorio Sgarbi) come una “capra”, talmente ovino da inventarsi (tramite traduttore automatico) un improbabile giornalista, tale “Ampio”. Che in realtà era il conosciuto collega Broad.

Il problema non è la “grezza” di Orsini (chi va con i grillini impara a dire cazzate) il problema è la RAI che ancora non ha provveduto a rimuovere dai suoi teleschermi un uomo dalle idee discutibili e dai comportamenti narcisistici. Ma la RAI “grillina” è capace di tutto: anche di permettere alla conduttrice di Linea Blu (nonché presidente del WWF e di un paio di Parchi delle Cinque Terre) di candidarsi con il partito di Giuseppi per la Regione Lazio. Vecchia abitudine quella di alcuni giornalisti di usare il teleschermo per arrivare alla politica: ultimo caso l’ex direttore del Tg2 Sangiuliano (in quota FdI) approdato al ministero della Cultura. Ha fatto di più lui, peraltro, in poche settimane di quanto in anni non abbia fatto l’ex ministro (PD) Franceschini. Uno che notavi solo per come si precipitava a Pompei a favore di telecamera ogni volta che in quel meraviglioso sito archeologico ritrovavano un capolavoro. Ora Franceschini sta succhiando “sangue” al PD in vista del Congresso di febbraio: e per quella data, probabilmente, non gli saranno bastate le scorte dell’Avis. Ma se preferite parlare di “ruote”, accomodatevi. Sempre di operazioni parassitarie si tratta,

Continuando a parlare di politica: mentre Berlusconi e Salvini continuano imprudentemente a minare il giardino di Meloni, ignorando che prima o poi su una di quelle mine finiranno. Mentre Ignazio La Russa proprio non riesce a “tenersi” (mai visto un presidente del Senato che celebra la ricorrenza della nascita del MSI: ma da un carnale tifoso interista ci si può attendere anche questo: e di peggio). Mentre Letizia Moratti stupisce il mondo imbarcando (vero ossimoro) nella sua lista “centrista e moderata” anche un paio di ex grillini per correre alle elezioni in Lombardia. Mentre l’ex sindaco Albertini (che hai sempre stimato), per dirla alla Mike Bongiorno, “ti cade” invocando la demolizione del Meazza. Mentre il Sud del paese sta chiedendo conto a Conte (Giuseppe) per quel reddito di cittadinanza che fra sette mesi si volatizzerà (ma non aveva giurato Giuseppi che si sarebbe, come un bonzo, dato fuoco in Parlamento piuttosto di vedere abolito quel provvedimento, vero voto di scambio, che aveva gonfiato le sue urne alle ultime elezioni?). Con gli amici dei gesuiti va a sempre a finire allo stesso modo: ti tirano un “pacco”.

Mentre Bonelli e Fratoianni hanno scheggiato tutti gli specchi del mondo tentando di arrampicarsi fuori dal “verminaio” Sumahoro, nelle stanze del PD il Qatargate pesa (e peserà) come un macigno. Lasciamo stare la “questione morale”: il defunto Enrico Berlinguer si riferiva ad un sistema corrotto di partiti. Peccato avesse archiviato i fondi che il suo partito riceveva (e avrebbe continuato a ricevere) da Mosca. Cossuttagate: o no? Ma certamente non si riferiva ai semplici “marajuoli” che ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Pecunia non olet: la casa di Antonio Panzeri (e quelle dei suoi amici-complici) era zeppa di disinfettanti. Neppure la mia (l’ossessione di mia moglie per il Covid) potrebbe competere.

A preoccupare il PD (dissoltasi, come ha scritto Angelo Panebianco, da tempo l’alleanza tra sinistra politica e chierici) dovrebbe essere la vocazione del partito di Letta ad inginocchiarsi frequentemente al catch-all-party. Visto che non sono uno che se la tira: facciamo un partito pigliatutto? A Roma dicono: “ando cojo, cojo”. Gli “sventurati”, come la celebre monaca manzoniana, “hanno risposto”. Al richiamo del “particulare” di Guicciardini. Che spiegato alla casalinga di Voghera sono i denari che viaggiavano da casa a casa dentro a sacchetti della spesa.

ISLAM E NO – Ma che per interpretazione politica è la concessione della sinistra anti-occidentale, anti- capitalistica, soprattutto anti- americana a quello sterminato deserto (strapieno di gas e petrolio) sul quale cammina l’Islam. Si chiami Qatar, Arabia Saudita, Marocco, Egitto, Libano, Tunisia, Algeria, Siria, Afghanistan, Iran, Irak, Pakistan: se non è zuppa è pan bagnato. Tradizioni tribali, spregevole omicida patriarcato, razzismo ideologico, tutto saldato nel nome del fondamentalismo. In disprezzo della decenza. C’è chi mi riterrà, dopo aver letto, un islamofobo: se critichi quei costumi, se eccepisci sul Corano sei un islamofobo. La cosa assurda è che una sinistra indulgente (in molti casi corriva) con il fondamentalismo islamico, si batta contemporaneamente a sostegno del movimento LGTB che disprezza i gay, che ritiene l’omosessualità una “malattia”, che colpisce in mille modo le donne.

L’UE, la demente Unione Europea, è arrivata al punto di finanziare una campagna pro hijab: quel velo che le donne in Iran si strappano dai capelli. Una rivolta che ha già portato (compresi bambine e bambini) alla morte di 500 persone violentate dal regime dei preti dell’Iran. In Afghanistan le donne sono precipitate nuovamente nel Medio Evo: non possono andare a scuola (non parliamo dell’università), non possono fare lavori “da uomo”. Non possono lavorare in una ONG: sei le organizzazioni che finora se ne sono andate da quello sfortunato paese.

I talebani hanno mentito: si sono rimangiate tutte le promesse. Sono schiavi della propria religione. Che è violenta. Io l’ho letto (con grande fatica, perché è una “pizza”) il Corano. Cito solo due brani (ma potrei citarne molti altri): “Sura 8-12-17. Istillerò il terrore nel cuore degli infedeli, colpiteli sul collo e recidete loro la punta delle dita ... i miscredenti avranno il castigo del fuoco. Non siete certo voi che li avete uccisi: è Allah che li ha uccisi”. Non basta? “Sura 2-191. Uccidete gli infedeli ovunque li incontriate: questa è la ricompensa dei miscredenti”.

Ebrei, cristiani, buddisti, miscredenti, atei, agnostici, infedeli: a tutti devono essere tagliate dita e braccia. Devono morire in questa vita e devono bruciare per l’eternità. Questo è il Corano, mi spiace per il Papa che la pensa diversamente: un libro di guerra e di morte. Non un libro di pace. Così come quello spregevole Kirill che invoca il martirio per i combattenti russi è un ortodosso da condannare e da evitare. Come stanno facendo gli ortodossi ucraini. Kirill è il braccio (armato) religioso di Putin: un ex-KGB come lui. Un profittatore del popolo come lui. Con la stessa villa che ha Putin sul Mar Nero. Una vergogna per l’umanità, l’arcivescovo Kirill.

Ma l’Occidente si gira dall’altra parte. L’Occidente non vede la “metastasi” (che attraverso moschee, associazioni, centri culturali, case editrici, una grande televisione come Al Jazira, eventi sportivi come i Mondiali di calcio o il Gran Premio di F1, istituti scolastici legati ai Fratelli Musulmani, investimenti immobiliari) da anni si sta espandendo in Italia, in Francia, in Belgio, in Svizzera, in Gran Bretagna e persino nei Balcani. Non ci sono chiese cristiane in Qatar. Anche se gli imbecilli occidentali, hanno avuto una erezione per gli alberelli di Natale che quest’anno sono apparsi nei supermercati di Doha.

Per gli omicidi quotidiani contro inermi in Iran, il ministro degli esteri Tajani ha voluto un incontro con l’ambasciatore (in attesa) del governo di Theeran. “L’Italia deplora gli abusi e le violenze”. Ma ha spiegato Tajani, “un canale che porti ad una trattativa sul nucleare va tenuto aperto”. Ma lo sa il ministro Tajani cosa farà il governo israeliano se appena il completamento da parte iraniana della “bomba” dovesse arrivare a limiti intollerabili per la sicurezza di Tel Aviv? Lo sa cosa farà, nel caso, il Mossad?

L’Occidente dovrebbe essere terrorizzato per l’espansionismo islamico. I corrotti di Bruxelles non hanno esibito alcun senso politico. Al pari dei politici occidentali. Che dovrebbero studiare la storia. Ma sono cretini. Infantino l’ineffabile presidente della FIFA (ma non solo lui) nulla ha avuto da dire per l’ambasciata (unica a pieno titolo nel mondo intero) che i talebani hanno a Doha. Talebani chi? Prima o dopo il conflitto sarà inevitabile. E stavolta l’Occidente che ha vissuto da Biancaneve e da cicala per secoli, potrebbe perderlo. Chi scrive certamente non ci sarà più: siamo tutti “in lista” e abbiamo come certi prodotti una “scadenza”. Non vedrò. Ma sono terrorizzato all’idea che possa “vedere” mia figlia.

CARO BASKET – “La nostra America” è un bellissimo libro del collega Antonio Dipollina, dedicato al basket dei nostri anni verdi e a quei meravigliosi giocatori che sul parquet rivaleggiavano (allora) con il basket dei professionisti della NBA. Lo “Spaghetti circuit” era il migliore dopo il basket degli USA. Gli slavi che ancora erano Jugoslavia erano fortissimi, al pari dei russi che allora erano URSS. Ma con gli americani che venivano a giocare a Milano, a Varese, a Cantù, a Bologna, a Livorno, a Udine, a Gorizia, a Napoli, a Caserta, a Torino e a Biella, a Venezia e a Padova crebbero anche i Meneghin i Marzorati, i Brumatti, i Bisson, i Caglieris, i Villalta, i Premier, i Binelli, i Riva, i Bortolotti, i Bariviera, i Recalcati, i Della Fiori, i Cerioni, gli Ossola, i Rusconi, gli Zanatta, i Masini che si erano ispirati ai Vittori, ai Lombardi, ai Bertini, ai Vianello, ai Pieri, ai Riminucci, ai Flaborea, ai Calebotta, ai Sardagna, ai Cescutti, agli Zorzi delle precedenti stagioni.

“Gli anni d’oro del basket italiano” è un atto d’amore di Dipollina, che lo ha ripercorso – per Hoepli Editore –, facendo parlare oltre a molti dei citati campioni anche Da Peterson, Mike D’Antonio, Chuk Jura (il mancino che esaltava l’altra Milano, quella di All’Onestà) Sandro Gamba, Romeo Sacchetti, Marco Giordani nel ricordo dell’indimenticabile Jordan che al Guerin Sportivo, poi ai Giganti del Basket e infine alla RAI, insegnò (assieme all’ottimo Sergio Tavcar su Telecapodistria) il basket a tutti noi. Ci sono anche alcuni colleghi. Anche l’Orso che avrebbe meritato qualche riga in più.

C’è l’anticonformista (chi l’ha conosciuta lo sa) Mabel Bocchi, la prima “divina” dello sport nazionale (con il suo GEAS e Rosi Bozzolo), prima di Federica e che aveva raccolto il testimone da Lea. A proposito: Mabel parla nell’intervista anche di Chazalon, la francese che dispensava in quelle stagioni punti e assist e che in qualche modo sto rivedendo in Matilde Villa. L’introduzione (noblesse oblige) è di “Sughero” Petrucci. L’amico Alfio Caruso gli affibbiò il soprannome di “Richelieu”. Per me resterà “Sughero”. Un giorno magari spiegherò (ma non è difficile intuirlo) il perché.

C’è anche la mia Reyer. Più che la Reyer c’è la Misericordia: giustamente definita “la più bella palestra del mondo”. Dove si giocava a contatto con gli ottocento sulle tribune circondati dagli affreschi del Sansovino. Chi scrive ci ha giocato il torneo delle scuole. Scoprendo alcuni anni più tardi con la maglia della Dienai e dopo aver preso una sonora “paga” (oltre agli insulti del coach Giorgio Dario) da Renato Albonico (che sarebbe stato ottimo giocatore oltre che con la Reyer, con la Virtus), che lo sport dei canestri non faceva per lui. Erano quelli, che racconta Dipollina, gli anni del boom economico: lo sport viaggiava con i “razzi” nel posteriore al pari del paese. E quindi il basket poteva, in diverse stagioni, permettersi i Bill Bradley, i Doug Moe, i Driscoll, gli Jura, i Raga, i D’Antoni, gli Haywood, i Dalipagic e i Mc Millen, gli Yelverton, i Danilovic, i Jo Barry Carroll e Bob Mac Adoo, i King, i Ginobili. Leggi e un poco (quando si parla di un amico come Riccardo Sales, il “Barone” con la erre moscia, vero scienziato del basket o di Cesare Rubini, a casa del quale andavi attorniato dalle Spirali e dai Totem di Crippa) ti commuovi.

Quindi grazie a Dipollina per l’esemplare lavoro e al coach Dan Peterson per il suo affascinante racconto. Non me la sono presa se non ci sono. Al basket qualche cosa ho pur dato (specie al Corriere d’Informazione) ma è stata una stagione breve. Impossibile, in ogni caso, citare tutti. Alcuni anche molto più bravi e presenti del sottoscritto. Ma una cosa non la perdono: né a Dipollina, né a Peterson con il suo “elenco”. La Canon di Tonino Zorzi con la sua “nursery” di sei bambini accanto ai draghi Bufalini, Medeot e Gennari, fu un esperimento esaltante che portò alla consacrazione dei Carraro e dei Goghetto. Ma tra i “draghi” ce n’era uno che a Venezia ancora venerano (amato quasi come Drazen Dalipagic): Steve Hawes.

Una “enciclopedia” del gioco. Arrivò dal college nel 1972. Restò una sola stagione. Poi per dieci anni calcò i parquet della NBA con varie franchige. Per tornare (ancora per una sola stagione) a Venezia nel 1984. Strano che il coach (che allenava allora a Bologna alla Virtus) non se ne sia rammentato. Visto che fu lui a segnalarlo agli Houston Rockets, che nella stagione seguente lo misero sotto contratto. A Venezia non se lo sono mai dimenticato. E se a un veneziano parli di Dan Peterson fanno l’innominabile gesto che i rancheros dell’Arizona facevano quando qualcuno gli nominava “Colui che Sbadiglia”. Che gli americani conoscevano con il nome di Geronimo. Coach Dan, Antonio Dipollina che grande amnesia: Steve Hawes, i fondamentali del basket fatti “giocatore", dimenticato. Imperdonabile.