I sentieri di Cimbricus / Tra i Blues e l'Albiceleste, non solo football

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Giovedì 15 Dicembre 2022


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Francia-Argentina: su un prato a palmi lungo 100 metri per 60, non c’è di meglio. E non solo per via del vertice Messi-Mbappè, ma anche per il parallelo con la World Cup di rugby, per una nuova sfida nel 2023 e proprio in Francia.


Giorgio Cimbrico


La Francia, campione del mondo in carica e quarta nel ranking FIFA, punta al terzo titolo; l’Argentina, terza nella classifica mondiale, anche. I Galli-Galletti nutrono un’ambizione improntata alla solita grandeur: uno Slam unico, solo sfiorato. Confermarsi campioni del mondo con la palla rotonda e tra nove mesi con quella quella ovale, nella World Cup che ospiteranno nel 200° anniversario della nascita del gioco.




Nel ’98 ci andarono vicini: vittoria 3-0 sul Brasile, nel ’99 battuti 35-12 dall’Australia. Il palcoscenico era lo stesso, lo Stade de France di St Denis. Quest’anno i francesi hanno vinto il 6 Nazioni con il Grande Slam, in autunno hanno battuto Australia e Sudafrica e sono secondi nel ranking mondiale, dietro solo l’Irlanda, vero rullo compressore.

L’accoppiata può anche vibrare nelle corde e nei cuori dell’Argentina che insegue il terzo titolo, da dedicare alla memoria di Diego Armando Maradona, e può scaldare forti ambizioni nel gioco quindici contro quindici. Quest’anno i Pumas, ottavi nel ranking di World Rugby, hanno piegato gli All Blacks in Nuova Zelanda (impresa riservata a pochi, ad esempio a una Francia annata 1994) e sono andati a violare la cattedrale londinese di Twickenham. E non è la prima volta.

Nel 2007, nella Coppa del Mondo organizzata in casa, pessimi ricordi per i Bleus: gli argentini li sconfissero sia nell’incontro inaugurale, sia nella finale per il terzo e quarto posto. E questa albiceleste con lo stemma che presenta un felino che è un giaguaro piuttosto che un puma, è più forte di quella di quindici anni fa. Tra i tanti record inseguiti, la Francia, campione in carica, si sta ponendo quello di diventare la nazionale europea in grado di conquistare il terzo titolo – e la quarta finale – in tempi rapidi: 24 anni. Nel caso centrasse l’obiettivo, avrebbe davanti solo il Brasile, tre coppe, ancora Rimet, in dodici anni, tra il 1958 e il 1970. Alla Germania sono stati necessari 36 anni (1954-1990), all’Italia 48 (1934-1982). Se la spuntasse l’Argentina, i sudamericani scavalcherebbero gli azzurri: tre successi in 44 anni.

Gli altri record sono stati sufficientemente pubblicizzati: Deschamps come Vittorio Pozzo, due Coppa di seguito da ct, dopo quella in campo, e la Francia come l’Italia del 1934-38 e il Brasile del 1958-62. In finale non è andato il Marocco ma c’è molta Africa, Africa nera o, come usa dire oggi, subsahariana, e non Africa araba. Molto dello scheletro dei Bleus ha radici in quella enorme area che sui vecchi atlanti era colorata in viola tenue: Africa Occidentale e Africa Equatoriale Francese.

Tutti nati in Francia ma con radici che portano al Mali (Konatè e Dembelè), al Camerun (Tchouameni e Mbappè, che ha madre algerina), alla Guinea Bissao (Upomecano), al Benin già Dahomey (Koundé), al Congo (Kolo Muani, quello del gol lampo, dopo 44 secondi passati in campo), al Senegal (Fofana). Per infortuni, assenti Pogba (Guinea), Kantè (Mali) e Benzema (Algeria). La nazionale che vinse nel ’98 era ancora più variegata: il guadalupegno Thuram, il basco Lizarazu, l’armeno Boghossian, l’armeno-calmucco Djorkaell, l’oceanico Karembeu, il maghrebino Zidane, il bretone Guivarch, il ghanese Desailly, il senegalese Vieira.