I sentieri di Cimbricus / La lunga stagione dei poppies

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Venerdì 4 Novembre 2022

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Quelli sotto l’arco di Ypres, adorno di un bassorilievo di decine di migliaia di nomi, mentre negli stadi suonano il Last Post: segna la fine del giorno, traccia un’incerta alba. Dalla prima all’ultima nota, un silenzio di cristallo.

Giorgio Cimbrico 

4 novembre, il Giorno della Vittoria: non c’è più. L’Anniversario dell’Armistizio; sparito anche questo. Ora c’è il Giorno dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate. E queste sono le “papere”, non gli uccelli palmati ma gli errori compiuti da un portiere improvvido. Meglio parlare dei poppies, dei papaveri di Fiandra che, di carta, di panno, di plastica, finiscono sul bavero e vengono stampati sulle maglie dei calciatori e dei giocatori di rugby nel mese della Rimembranza che tocca il suo momento più alto all’undicesima ora dell’undicesimo giorno dell’undicesimo mese quando i cannoni tacquero. 

Per il rugby coincide con le sfide tra un emisfero e l’altro, rievocando fasti imperiali, rivalità vaste e profonde come gli oceani che separano le contendenti e spettri che risorgono dal fango, dal deserto, dal mare. Australiani, canadesi, sudafricani, rhodesiani, neozelandesi pagarono la fratellanza di sangue con la madre patria e persero prima l’innocenza, poi la vita.

Il tributo offerto dal rugby supera quello di ogni altro sport: scomparve una generazione e il movimento più dolente in questa sterminata partitura, il “lacrimosa”, toccò al pilone scozzese Tom Usher che il 1° gennaio 1920 suonò la cornamusa prima che francesi e scozzesi tornassero ad affrontarsi dopo aver contato gli assenti. Tanti. La chiamarono anche la battaglia dei ciclopi: un saltatore scozzese aveva perso un occhio, come il francese schierato accanto a lui in touche.  

Nel novembre 2014, centesimo anniversario dell’inizio della Grande Guerra, il verde del fossato della Torre di Londra si trasformò in una distesa di poppies in ceramica, 888.246, in ricordo dei caduti britannici. Un editorialista del Guardian osservò che per quell’installazione sarebbe stato meglio che Paul Cummins e Tom Piper, gli autori, avessero usato altri materiali, brutali e eloquenti: filo spinato e ossa. Perché la guerra che doveva porre termine a tutte le guerre fu spaventosa, una macchina perfetta per il più grande mattatoio della storia. Poco più di vent’anni dopo sarebbe capitato anche di peggio.  

E tutto diventò chiaro sin dal primo scontro, a Mons, quando il corpo di spedizione britannico affrontò per la prima volta le armate del Kaiser, cedette senza finire in rotta e ringraziò gli angeli di Mons, i fantasmi degli antichi arcieri inglesi e gallesi che a Azincourt, cinque secoli prima, agli ordini di Enrico V, avevano massacrato la cavalleria del re di Francia. 

Gli inglesi sono sempre stati bravissimi a dipingere con colori gradevoli l’orrore, a trasformare il dolore individuale in virtù nazionale. E così Mons diventò un’onorevole sconfitta, una vittoria tattica, ma finì per segnare anche, sin dal primo capitolo, la fine della guerra di movimento. Il Fronte Occidentale si assestò, dalle Alpi svizzere alla Manica, affidato ai generali che, quindici anni prima, da luogotenenti, avevano trasformato la guerra con i boeri in una faccenda lunga e penosa, gravida di un odio destinato a trasformarsi in virus. 

Stava iniziando la lunga stagione dei papaveri (finiti negli appunti e poi nei versi di Siegried Sassoon e di Wilfred Owen, i poeti del fango delle trincee), fiori effimeri come la vita, rossi come il sangue, che sarebbero cresciuti, una primavera dopo l’altra, su quella terra sconvolta, e poi avrebbero invaso gli sterminati cimiteri (di quelle ordinate distese parla, in un magnifico racconto molto commosso, Rudyard Kipling che nel ’15, vicino a Loos, aveva perso il figlio John) che riuniscono quelli che hanno un nome ai tanti ignoti.

A St Symphorien, non lontano da Mons, hanno riunito Tom Parr, del 4° Middlesex, a George Price, della fanteria canadese, l’alfa e l’omega di questo macello: Tom cadde il 21 agosto 1914, George l’11 novembre 1918, poco prima che fosse firmato l’armistizio e che si spegnessero il fragore e la follia. Ora sono due papaveri. 

Papaveri e e trombe, quelle che sotto l’arco di Ypres, adorno di un bassorilievo di decine di migliaia di nomi, e negli stadi suonano il Last Post: segna la fine del giorno, traccia un’incerta alba. Dalla prima all’ultima nota, un silenzio di cristallo.